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Diario di viaggio: oceano indiano


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Tutto comincia un pomeriggio di inizio estate.

 

Stavo di guardia in ospedale ma, fortunatamente, non avevo emergenze per cui mi rilassavo scorrendo le principali testate giornalistiche on line. A piè di pagina di una di queste un titolo richiama l’attenzione: “Le Maldive degli anni settanta”.

 

Apro il link e divoro in 30 secondi l’articolo riguardante un piccolo arcipelago di tre isole nell’oceano indiano al largo di Bali, le isole Gili. Nei giorni a seguire mi documento un po’ e soprattutto cerco un contatto per organizzare qualche immersione. La cosa non è affatto facile ma, grazie alla buona sorte, dopo diversi giorni infruttuosi, riesco a rintracciare la mail di un ragazzo che mi potrebbe fare da guida. Lo contatto e ci ripromettiamo di incontrarci al mio arrivo. A questo punto la decisione è presa: si lavora tutta l’estate e a metà settembre, quando i colleghi sono rientrati, si parte.

 

Convinco la dolce metà e riesco perfino ad estorcerle tre mattinate da dedicare alla pesca. Nel frattempo lei si dedicherà alla tintarella e soprattutto ai trattamenti della spa dell’albergo.

 

Il viaggio è lungo, anche grazie alla cancellazione del volo che avevamo prenotato con successiva riprotezione dopo 7 ore di attesa in aeroporto e nuova rotta Roma-Monaco-Singapore-Bali.

 

L’arrivo a Bali è a notte fonda dopo oltre 30 ore di viaggio per cui, distrutti, ci addormentiamo non appena sfioriamo il letto. Purtroppo la notte indonesiana non è silenziosa come la nostra e ad intervalli irregolari siamo svegliati da versi indecifrabili di altrettanto indecifrabili animali, che verosimilmente abitano le risaie in cui il nostro albergo è immerso.

 

I due giorni successivi sono dedicati alla scoperta dell’isola, dei suoi templi, dei suoi paesaggi, delle risaie, delle scimmie che abitano la foresta (mia moglie ha avuto un “battibecco” interessante con una di loro), della sua gente sempre sorridente, della sua cucina. Proprio sulla cucina c’è da aprire una parentesi. I balinesi, probabilmente come tutti gli orientali, condiscono pressocchè tutte le pietanze con salsine varie delle quali, nel tentativo di integrarmi al meglio, ho abusato allegramente, con la conseguenza che, oltre ad essere mantenuto debitamente a distanza dalla consorte a causa del “profumo” di aglio e cipolla che emanavo, ho trascorso alcune dolorose ore alla toilette con dolori tipo parto...

 

Tra una cosa e l’altra arriva il momento di imbarcarsi per le Gili ove trascorreremo 5 giorni. Le isole sono raggiungibili da Bali con un traghetto veloce in circa 2 ore e mezzo oppure con una nave più grande in circa 6 ore. Il trasferimento è abbastanza piacevole e, se si vuole, c’è anche la possibilità di trascorrerlo sul tetto del traghetto ove è ricavato un comodo prendisole, che però facilmente, grazie alle onde dell’oceano, diventa piuttosto un prendi acqua…

 

L’approdo sulle isole avviene direttamente mediante l’arenarsi del traghetto sulla spiaggia e la discesa dei passeggeri è garantita dagli ultimi ritrovati della tecnologia: una sedia di plastica.

 

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Nella zona degli approdi (un vero e proprio porto non c’è ma solo una zona di spiaggia adibita) dell’isola più grande c’è una gran confusione: turisti che vanno e vengono; diving che a ritmo serrato caricano e scaricano sciami di bombolari; generi alimentari, contenitori di acqua potabile, bombole di gas e taniche di benzina che vengono scaricate dai traghetti e distribuite ordinatamente; mucchi di contenitori e bombole vuoti, sacchi e materiali di ogni tipo ammassati sulla spiaggia e pronti per essere imbarcati; file di carrozzine trainate da cavalli a fare le veci dei taxi (alle Gili non ci sono macchine), gatti senza coda (particolarità di queste isole) che gironzolano un po’ ovunque pronti a “marchiare il territorio” se gli si lascia qualche zaino o valigia a tiro…

 

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Usciti dalla zona approdi si riesce invece da subito a cogliere il carattere dell’isola e a farsi contagiare dallo stile di vita degli isolani.

 

Il tempo è scandito dal mare e dal sole e cose come stress e fretta semplicemente non esistono.

 

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La mattinata si trascorre in riva al mare o facendo snorkeling sulla barriera corallina (purtroppo in gran parte distrutta dalla deprecabile abitudine di tirare in secca le barche durante la bassa marea) tirati dalla fortissima corrente, o sorseggiando succhi di frutti e cocktail vari in uno dei tantissimi bar e ristoranti sulla spiaggia.

 

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Per pranzo non c’è che l’imbarazzo della scelta, ristoranti di tutti i tipi sono spuntati come funghi negli ultimi anni e addirittura c’è un locale italiano che fa la pizza meglio che da noi.

 

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Il pomeriggio è dedicato all’ozio più totale o a lunghe passeggiate sulla spiaggia, magari allontanandosi dal versante turistico fino a trovare angoli selvaggi dove non ci sono costruzioni ma solo alberi tropicali all’ombra dei quali ci si può sdraiare a leggere o a guardare il mare e il cielo fino al tramonto, momento magico in queste isole.

 

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Modificato da Uccio
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La serata si trascorre contrattando il prezzo del pesce appena pescato direttamente al mercato o in una delle bancarelle che ogni ristorante allestisce di fronte all’ingresso, per poi farselo servire arrosto con contorno di patate, riso o verdure.

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Dopo cena ci si può gettare di nuovo in spiaggia a guardare le stelle nelle zone più isolate o farsi trascinare dalla musica live di uno dei tanti locali all’aperto.

 

Come potete capire sono isole dalla doppia faccia, fortemente turistiche in alcune zone (soprattutto il versante est di Gili Trawangan) e ancora selvagge in altre (il versante ovest di Gili Trawangan e le isole di Gili Air e Gili Meno). Purtroppo il ritmo con cui si sta costruendo è forsennato e temo proprio che da qui a 5-10 anni il lato selvaggio, il più affascinante, scomparirà per sempre sotto la spinta di un turismo sempre più massiccio.

 

E la pesca?

 

Come detto ho potuto fare tre pescate in compagnia di una guida locale. Mario, questo il suo nome, si è dimostrato un ragazzo simpatico e davvero in gamba e con alcuni suoi amici mi ha portato su alcune risalite al largo dell’arcipelago. Fa impressione vedere qualcuno che in mezzo al mare si orienta con precisione millimetrica senza gps né ecoscandaglio e che sa prevedere con assoluta accuratezza persino la direzione della corrente. Il tipo di pesca da fare è l’aspetto a mezz’acqua, in corrente, e i pesci che speriamo di incontrare sono predatori come carangidi, barracuda, macarelli e, togliendo qualsiasi freno ai sogni, tonni, wahoo, pesci vela e altri giganti.

 

Guardando i vari video su youtube mi ero fatto un’idea di questa pesca molto lontana dalla realtà.

 

Prima di tutto l’impegno fisico è notevole: si nuota in un vero e proprio fiume di corrente, che rende faticosissimo qualsiasi spostamento subacqueo o in superficie e perfino la pinneggiata in discesa e risalita. Inoltre non si riesce mai a rompere il fiato in quanto nel giro di pochi tuffi si viene scaraventati fuori dalla secca o lontano dalla palla di mangianza e bisogna scaricare il fucile, riavvolgere sagolone e boe e risalire in barca per farsi portare nuovamente a monte della corrente oppure pinneggiare come dei matti per mantenere la posizione. Se non si fa così e si vaga a casaccio, riposandosi tra un tuffo e l’altro, le possibilità di incontro si riducono quasi a zero.

 

I pesci poi non sono abbondanti come ci si potrebbe aspettare: si pesca una giornata e magari non si fa neanche un avvistamento di pesci belli o se ne fa uno o due. E in ogni caso non si tratta di pesci suicidi, certo non saranno smaliziati come i nostri dentici ma il confronto avviene sempre a viso aperto, senza nascondigli o ripari, per cui non è affatto semplice ridurre le distanze fino a poter tirare il grilletto.

 

In ultimo il tiro: nel blu, senza riferimenti e con l’acqua limpida, si finisce col tirare sempre quando il pesce è ancora distante. Questa cosa l’avevo letta tante volte ma finchè non ti ci trovi non te ne rendi conto: pesci stimati a due metri dalla punta del fucile sono abbondantemente oltre la distanza di tiro utile con la conseguenza che l’asta o non arriva o gli passa sotto.

 

Insomma, complici le difficoltà di cui sopra, la stagione non adatta (mi dicevano che la stagione delle piogge sia molto meglio) e la mia pippaggine assoluta non ci sono state grandi pescate però, grazie soprattutto all’aiuto della mia guida, qualche pescetto per il barbeque è uscito…

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Lasciate le Gili, ci siamo concessi un altro giorno a farci coccolare a Bali in un albergo bellissimo per poi riaffrontare il viaggio Bali-Bangkok-Roma con un solo desiderio nel cuore: partire di nuovo il prima possibile!!!

Modificato da Uccio
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bella vacanza..altro mondo in tutti i sensi, altri ritmi di vita..che bello

mi ricorda un po' la thai di 20anni fa non a pukhet ovviamente.

 

:clapping:

 

questa la n° 1 :D :D :D

Convinco la dolce metà e riesco perfino ad estorcerle tre mattinate da dedicare alla pesca. Nel frattempo lei si dedicherà alla tintarella e soprattutto ai trattamenti della spa dell’albergo.

metodo infallibile :D :D :D

 

:bye:

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mi hanno detto che BALI non è bella (spiaggia brutta con alle spalle case poco curate) un posto per surfisti, all'interno risaie e templi

mentre mi sembra di capire che e isole come Gili sono carine con spiaggie bianche e mare cristallino

 

comunque Uccio bel racconto e belle foto

il carangide quanto pesava?

Modificato da fabrizio_b
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mi hanno detto che BALI non è bella (spiaggia brutta con alle spalle case poco curate) un posto per surfisti, all'interno risaie e templi

mentre mi sembra di capire che e isole come Gili sono carine con spiaggie bianche e mare cristallino

 

comunque Uccio bel racconto e belle foto

il carangide quanto pesava?

 

Onestamente non so dire il peso preciso in quanto non avevamo bilance e non avevo mai preso questi pesci prima per cui non mi so regolare dalle dimensioni.

 

Ciao

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