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Viaggi di pesca: Diario Australia (6a parte)

| 8 Novembre 2003 | 0 Comments

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13.01.2003 (La grande pescata, il violino, ed il combattimento in solitaria)

I nostri amici australiani, di qui a poco, ci lasceranno di nuovo soli in mezzo al deserto.
Dovranno tornare a Perth, per continuare a lavorare ed “immergersi” nuovamente nella vita di tutti i giorni. Davvero belle persone.
E pensare che ci conosciamo da così poco tempo che è quasi impensabile riuscire ad immaginare come si sia entrati in una tale confidenza. Ci si capisce con il semplice sguardo. Sicuramente, la condivisione degli aspetti di questa vita “al limite” ci ha uniti, e all’accampamento si è creata una vera e propria armonia, quella con la A maiuscola.

Sono quindici giorni che ci cibiamo esclusivamente di pesce, e variare l’alimentazione, a questo punto, è diventata un’ esigenza improcrastinabile. Abbiamo approfittato per pescare delle aragoste.
Il pesce, purtroppo, non ci va più giù, e lo scrivo con l’animo di chi se ne è cibato esclusivamente per quindici giorni. Alla fine hai davvero la nausea, ti disgusta.

A dire il vero avevamo pensato di catturare qualche lepre, ma la caccia con i lacci, che pure proviamo da tre giorni, non dà i frutti sperati. Sono animali maledettamente furbi e scaltri.
Ed allora Pallino è dovuto scendere in acqua e catturare, nel giro di poco tempo, ben sette aragoste. Sette aragoste vere di circa un chilo ciascuna, buone da impazzire, come le nostre. Sapore identico e tipicamente dolciastro.
Il mare prospiciente il nostro accampamento è un vero e proprio allevamento di aragoste. Non l’avremmo mai fatto se non costretti dalla paradossale situazione.

Il frigo degli australiani ha ancora un discreto spazio da riempire. Servono ancora filetti di pesce e loro, domani, rientreranno in città.
Appuntamento alle 10 di mattina fuori dalle camere.
Il sole è già alto e fa molto caldo. La barca ci attende alla solita baia ed il mare è piatto e cristallino. Fuori, la solita imponente onda oceanica come sfondo.
Anche oggi direzione nord, oltre la fascia di sicurezza per diverse miglia alla ricerca di qualche secca inesplorata.
Quaranta minuti di navigazione veloce, tenendo bene in vista i colori dell’acqua per scorgere eventuali risalite “a vista”. Oltre il reef solo sabbia, procediamo con cautela e Shine si mette in piedi sulla pilotina per guardare meglio.
Eccola.
Una meravigliosa risalita di circa 3.000 metri quadrati che da un fondo di oltre venti metri arriva a dodici, tredici metri. L’ecoscandaglio segna il solito “muro” di pesce ed io e Massimo decidiamo di sparare esclusivamente maccarelli giganti. Io sono immediatamente pronto ed entro in acqua in un baleno. Sotto, l’universo.
Testuggini enormi, nuotano tranquille come se nulla fosse, e fermo a mezz’acqua in corrente un maccarello di oltre venticinque chili. E’ enorme. Mi dirigo sulla verticale e faccio la capovolta. Lui tranquillo mi porge il fianco, ed io sparo. Tiro poco dietro la branchia leggermente basso.
La partenza è blanda, segno che ha accusato il colpo … e compio un errore imperdonabile: lascio filare il sagolino per circa venti metri, stringo subito (maledettamente subito) la frizione e cerco di lavorarlo a mano.
Appena lascio il fucile per afferrare il sagolino il pesce parte a razzo e porta via tutto.
Seguo il fucile, che è positivo, per circa trenta metri, poi una scodata fulminea del pesce, e lo perdo definitivamente. Non lo ritroveremo più.
Il mio Mares Apnea 110 ad elastici. Era mio dal 1993, anno in cui partecipai, per la prima volta, ai Campionati di Prima Categoria a Santa Margherita di Pula. In quell’anno ero portacolori del Team Mares e, tra l’altro, mi diedero anche quel fucile. Dieci anni di onorata carriera.
Dentici, ricciole, cernie in candela, saraghi, spigole e quant’altro erano caduti grazie a questo meraviglioso arnese al quale avevo dato il nome di “violino”.
Il prolungamento ideale del mio braccio destro, il mio caro violino, con il quale suonavo la musica ai pesci … e come gliela suonavo.
Ahi violino!!! Insieme a te, premevo il grilletto senza nemmeno mirare, d’istinto, e tu rispondevi sempre immediato. Quante ne avevamo passate insieme. Addio mio caro ed unico “violino”. La musica, non sarà mai più la stessa. Speriamo, almeno, che qualcuno ti ritrovi in qualche parte sperduta dell’Oceano Indiano e ti usi a dovere, magari non come antenna televisiva.
Che peccato mortale!!
“Ho visto i dentici – passame er violino che je sono la musica!!” … non sara mai più la stessa cosa. Ahi lasso. Qualsiasi idillio, prima o poi, si interrompe.
Insomma, la mia pescata è ormai dimezzata, galleggio atterrito in mezzo ad un mare di pesce senza il mio violino. Devo purtroppo reagire e risalgo in barca.
Sono passati solo cinque minuti e meno male che Massimo ha avuto la buona idea di portare due fucili. Gli elemosino un Apache 100 e dovrò fare molta attenzione. Abbiamo una sola asta di riserva. Per cui tiri precisi e recuperi veloci. Me la prenderò con prede minori (si fa per dire!!).

Avanziamo verso il largo seguendo il ciglio. Sotto di noi, nuotano indisturbate tre cernie giganti disumane. Una di settanta chili, una di oltre cento, ed una che sembra una Fiat 124. Oltre i due quintali abbondanti.
Ammirarle è un’incanto. Facciamo tre o quattro aspetti ciascuno e loro si dispongono a circa un metro da noi ferme a capire che razza di esseri siamo. Per un momento ho paura di finire nello stomaco della più grossa che sarà lunga il doppio di me pinne comprese. Ci accompagneranno, discrete, per tutta la pescata.
Più a largo ci viene incontro un branco di maccarel dal peso di 4/5 kili mischiati a carangidi da 10/15 chili. Spariamo ciascuno un Maccarel ed ingaggiamo il classico tira e molla.
Io però sono stuzzicato dai carangidi, che mi ricordano molto la ricciola mediterranea, rivolgo esclusivamente a loro la mia attenzione.

A fine pescata ne prenderò quattro, di cui due fulminati al primo colpo.
Massimo intanto mette a pagliolo un altro maccarello e due pesci imperatore di dimensioni generose. Come dicevo, sono un misto tra il dentice ed il fragolino mediterranei, e sono diffidentissimi. La cattura avviene solo dopo estenuanti aspetti misti ad agguati.
Massimo comincia a fare sci nautico e gli vado incontro. Ha appena sparato un “Copia”, pesce bellissimo. Una sorta di testa di muggine e corpo di ricciola dal colore del cuoio. Le sue carni sono prelibatissime e farà oltre venti chili.
Questa cattura, condita da un estenuante tira e molla, sancisce definitivamente l’avvicinamento di una grande moltitudine di squali, che hanno tutta l’intenzione di non rimanere a bocca asciutta.
Massimo si dirige verso la barca per posare il pescione ed io, a circa cento metri, riceverò il battesimo di un combattimento in solitaria.
Passa sotto di me un branco di bei carangidi. Scendo sulla verticale e sparo il più grosso.

Nonostante abbia afferrato la preda rapidamente e l’abbia subito finita con il coltello, tre squali, di cui uno di oltre tre metri, salgono veloci dal fondo e cominciano a ronzare intorno alla mia sagoma molto minacciosi.
Respingo la prima ondata di carica da parte dei più piccoli (due metri) con l’asta alla mano. Stacco immediatamente il pesce e rimetto l’asta in posizione. Non riesco a ricaricare che arriva immediatamente il più grosso.

Lo respingo con il calcio del fucile. Rieccoli tutti e tre insieme.

Punto quello più grosso tenendo a bada quelli piccoli con le pinne in verticale. Il bestione becca una bella stilettata vicino all’occhio ma non lo scalfisco nemmeno. Ritorna immediatamente e gli do un’altra punzecchiata con l’asta mentre quello più piccolo becca un pugno sul muso (incredibile).
Sembrerà strano, ma non ho pensato minimamente di mollare il carangide.

Riecco i due piccoli insieme.
Prima uno, poi l’altro, tutti e due accontentati con una nuova punzecchiata d’asta vicino agli occhi.
Tutti e tre ora si tengono a debita distanza, ed io li seguo con lo sguardo mentre cerco di riguadagnare la barca controcorrente. Ma ecco che il più grosso torna alla carica deciso più che mai. Io lo punto appena capisco le sue intenzioni, e lo becco con l’asta precisamente sull’occhio. Se ne andrà definitivamente. I più piccoli mi seguiranno a distanza ma non attaccheranno più.

Sistemato il pesce in barca, insieme a Massimo spareremo un altro carangide e verremo attaccati da altri due squali. Uno per uno. Li terremo a bada senza problemi.
Trascrivere queste scene pacatamente e puntualmente, cercando di non apparire ridicolo o sciocco, vi assicuro che non è facile. Ma questi sono i fatti realmente accaduti.
Io e Massimo, nella vita quotidiana ragioniamo cento volte prima di fare qualsiasi cosa, e chi ci conosce lo sa. Ma quando ti trovi in un ambiente del genere esce fuori l’uomo allo stato brado. Quello vero, l’animale nudo e crudo. Quello più cattivo sulla faccia della terra. E vivere questa esperienza è una cosa unica che ti fa conoscere da dentro e che tira fuori un aspetto di te di cui non sapevi prima. Non so se riesco a spiegarmi. Ma di questo ne vorrò parlare e rifletterci sopra dettagliatamente più tardi.

Sistemiamo di nuovo il carangide sulla barca, e vengo chiamato da John che ha incastrato l’asta su una cernia di una specie minore.
Il fatto è che a fare la guardia fuori la tana c’è il solito squalo più incavolato che mai, che non riesce ad addentare il pesce perché nascosto dietro la roccia.
John non riesce a lavorare bene il pesce a quella profondità ed io mi ventilo e scendo.
Il filo ha fatto due giri sul corallo ma il pesce non si è arroccato. Con un occhio allo squalo, ed una mano al filo, sciolgo la scotta ed estraggo il pesce tornando in superficie.
Per Jon ormai sono un eroe e mi fa segno OK dalla superficie. Ho scastrato la sua asta artigianale altrimenti irrimediabilmente persa… compreso il pesce. Intravedo, attraverso la maschera, gli occhi che ridono come per dire grazie. Tutto questo ha smosso l’appetito di un notevole squalo tigre che si aggira sotto di noi, così risaliamo tutti in barca velocemente.

L’anno scorso, nei pressi di questa zona, un simile animale se la prese con la scaletta di alluminio della barca mentre John e Shine pulivano il pesce e gettavano a mare le interiora.
Sulla scaletta sono ancora molto evidenti i segni della dentatura.
A proposito, risaliti sulla barca, come per incanto, ci rendiamo conto che il paiolato è pieno di pesce.

Sommario Diario di Viaggio in Australia di Alessio Gallinucci:

1° Parte

2° Parte

3° Parte

4° Parte

5° Parte

6° Parte >> sei qui

7° Conclusione

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Category: Articoli, Pesca in Apnea, The Box

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