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La monopinna: un mondo tutto da scoprire

| 25 Gennaio 2010 | 1 Comment

Nel seguente articolo ci proponiamo di presentare la monopinna, i suoi vari modelli e la terminologia che riguarda questo originale attrezzo. L’intento è ben diverso dal voler offrire un trattato di tecnica sull’uso della ‘regina delle acque’. Una premessa è infatti doverosa: chiunque voglia avvicinarsi a questo fantastico mondo non può non considerare come si tratti di uno strumento altamente tecnico, per il corretto utilizzo del quale nessun articolo, manuale o video potrà supplire all’esercizio fatto in piscina, seguiti da un esperto in materia che valuti nello specifico le nostre capacità.

La mono ha ormai conquistato il mondo dell’apnea – Foto: A. Balbi

Detto ciò, la mono (come è comunemente definita soprattutto nell’ambiente del nuoto pinnato) è un attrezzo sicuramente affascinante che può regalare soddisfazioni incredibili e irraggiungibili con le bipinne, sia sotto il profilo delle sensazioni che sotto quello delle prestazioni. Non spaventi perciò la nostra premessa ma sia piuttosto uno stimolo a tuffarsi in acqua. E mi raccomando, va amata e rispettata, come una donna. Quindi la monopinna, non il monopinna!

Pillole di storia
Se nel mondo dell’apnea la monopinna ha una storia assai breve e limitata all’ultimo decennio, altrettanto non si può dire del nuoto pinnato. Dai primissimi anni ’70, quando i sovietici la introdussero per la prima volta alle competizioni internazionali, la sua diffusione è stata assai rapida visti gli indubbi miglioramenti cronometrici che ha fin da subito consentito. Così nel giro di pochi anni, la monopinna soppianta completamente le bipinne che spariscono dalle competizioni, salvo venire reintrodotte recentemente ma con uno stile separato e con limitazioni piuttosto stringenti. Le limitazioni invece non hanno praticamente mai riguardato le mono (se non nella grandezza massima della pala) consentendo negli anni un’evoluzione notevole se si considera che, salvo rare eccezioni, la costruzione delle stesse è stata sempre legata al lavoro di allenatori o degli stessi nuotatori, con studi scientifici più unici che rari. La stessa industrializzazione della monopinna, avvenuta in alcuni paesi tra cui l’Italia, è da considerarsi figlia dell’opera di artigiani così come lo è tuttora la produzione dei modelli top class. Dai primi prototipi costruiti addirittura con armature in titanio si passò così molto presto all’utilizzo di gomma e vetroresina che ancora oggi è il più utilizzato trai i materiali nonostante la comparsa sulle scene di più moderni, su tutti il carbonio. La relativa facilità nel lavorare la vetroresina consentì infatti molti esperimenti sulle pale per migliorarne la risposta e adattare i modelli ai vari usi. Recentemente invece l’attenzione è stata spostata più sulla scarpetta che sulla pala, sul bilanciamento della pinna e la sua idrodinamicità.

Mono in vetroresina con scalatura particolare – Foto: N. Negrello

Prima di vedere quali siano i tipi di mono attualmente in commercio e le loro caratteristiche è bene chiarire il significato di alcuni termini fondamentali.

Pala: inutile dire come con pala si intenda la superficie della pinna che va ‘in presa’ sull’acqua e consente l’avanzamento. Oltre che la dimensione, l’elemento che contraddistingue ogni pinna è la sua durezza. Tralasciando momentaneamente il carbonio, soltanto i produttori italiani sono soliti definire in maniera scientifica tale parametro, utilizzando come unità di misura il kilogrammo/spinta (KSP). Fino a 10 KSP la pala è da considerare morbida, tra 10 e 14 media, oltre dura. La maggior parte delle pale in vetroresina proviene però dai paesi dell’est che sono soliti classificare in maniera più empirica i loro materiali. E’ possibile perciò trovare pale soft, medium e hard o, con riferimento all’utilizzo nel nuoto pinnato, long distance, middle distance e sprint. La scelta di un modello piuttosto che un altro è molto personale, legata alla destinazione d’uso tanto quanto al tipo di fisico dell’atleta. La bontà di una pala rispetto ad un’altra è poi legata soprattutto al tipo di stratificazioni che la vetroresina ha subito. Le pale vengono infatti costruite incollando diversi fogli e seguendo dei disegni particolari in base alle varie finalità. Osservando con attenzione le pale – eventualmente in controluce – tali disegni saranno piuttosto evidenti. Si potranno così notare le classiche onde, stratificazioni dritte, incrociate, rinforzate lateralmente o centralmente. In linea di massima si può asserire come le pinne a stratificazione dritta siano più rigide e richiedano, a parità di KSP, un impegno muscolare superiore. Saranno adatte perciò a percorrere distanze brevi a velocità medio-alte (gare di sprint). Le pale ondulate invece tendono ad assumere una forma a cucchiaio e sono più morbide e perciò adatte a distanze più lunghe e all’apnea. La distinzione tra ondulata e reverse è legata all’andamento di queste onde: le prestazioni sono simili e la preferenza per un tipo piuttosto che per l’altro è molto soggettiva.
Le pale in carbonio invece hanno classificazioni diverse in base ad ogni produttore e alla percentuale di carbonio rispetto agli altri materiali (tessuti o resine) con cui è mischiato.

Pala con stratificazione ondulata (sx), reverse (centro) e dritta (dx) – Foto: N. Negrello

Scarpetta: è l’alloggiamento dei piedi, uniti e paralleli. E’ costruita in gomma di diverse durezze. Anche in questo caso come per le pale soltanto le scarpette di produzione italiana hanno una catalogazione ben definita della durezza in base alla mescola utilizzata. Tuttavia l’elemento su cui oggi è importante porre l’attenzione non è più il materiale delle scarpette ma la loro forma o, ancora più precisamente, la loro inclinazione. Su questa definizione si basa la rivoluzione più importante che hanno subito le monopinne negli ultimi 10 anni circa. Il piede umano infatti è abituato ad assumere una posizione trasversale rispetto alle gambe, formando un angolo retto con esse. In acqua però questa posizione si trasforma e una pinneggiata è tanto più efficace quanto più il piede – e con esso la pinna – rappresenta l’estensione del corpo e delle gambe, come avviene nei delfini. Per raggiungere una posizione parallela del piede è richiesto al nuotatore di avere una notevole mobilità a livello di caviglia, rara e alquanto faticosa da mantenere. Nell’ultimo decennio si sono così sviluppate le cosiddette ‘scarpette inclinate’ (fino a circa 20°) in contrapposizione a quelle ‘piatte’ in uso fino ad allora. Tramite una suola rialzata all’interno dell’alloggiamento del piede viene riprodotta la posizione parallela del piede senza domandare alle caviglie un’iperestensione difficile e pericolosa. Il vantaggio di prestazioni nel nuoto pinnato è stato notevole, ma il principio è valido a tutti i livelli e per tutte le specialità in quanto la nuotata con una scarpetta inclinata risulta più facile e fluida.

Tris di monopinne ucraine – Foto: N. Negrello

Nella scelta della scarpetta bisogna accettare il principio secondo cui la monopinna non sarà mai ‘comoda’, almeno non quanto possono esserlo le bipinne. Innanzitutto consideriamo che difficilmente nuoteremo con la mono per ore come potrebbe avvenire con le pinne. Quindi è accettabile un compromesso che privilegi l’efficienza alla pura comodità. Perché una scarpetta – e di conseguenza una monopinna – lavori bene, è necessario che sia molto aderente al piede. Bisognerà pertanto scegliere misure abbastanza strette ed evitare che il nostro piede possa muoversi all’interno, soprattutto in maniera trasversale alla pala. In caso contrario il rischio è quello del derapamento della pinna il cui controllo, già di per sè, è difficile per un nuotatore poco esperto. Alcune pinne presentano addirittura un sistema definibile ‘a ventosa’, e permettono l’eliminazione dell’aria interna della scarpetta quando si inserisce il piede attraverso una piccola valvola. In Italia le scarpette utilizzano le normali taglie ma, per quanto appena detto, è bene orientarsi verso misure inferiori al proprio numero abituale. Acquistando all’estero invece bisogna evitare di fornire qualsiasi tipo di taglia (variano infatti da paese a paese) ed utilizzare soltanto la lunghezza del piede espressa in centimetri.

L’assetto con tubo frontale – Foto: E. Traverso

Derive: le derive sono appendici di materiale plastico o gomma, applicate alla pala in modo longitudinale per aumentarne la stabilità o cambiarne la risposta. Generalmente si tratta di piccole strisce di lunghezza variabile poste sempre in maniera simmetrica rispetto all’asse della pinna.

Ali o wings: negli ultimi anni si sono sempre più diffuse, soprattutto per le mono da competizione, le carenature laterali dette ali o wings. Si tratta di rinforzi di vario materiale, posti sui lati e sulla parte superiore della pala (ma possono arrivare fino agli angoli inferiori come nel caso delle pinne di produzione cinese) e spesso solidali con la scarpetta. Tali carenature hanno fondamentalmente due obiettivi: aiutare l’equilibrio della pinna e aumentarne la galleggiabilità. Benché il peso di una pinna carenata aumenti notevolmente, in acqua ciò si trasforma in un aiuto durante la fase ascendente della pinneggiata.

Boccaglio frontale: prima della mono, l’elemento veramente indispensabile per imparare la nuotata delfinata è il boccaglio frontale. Il tubo, come viene più comunemente chiamato nell’ambiente, riveste un ruolo fondamentale nell’apprendimento perché, contrariamente a quello laterale tipico della pesca in apnea e dello snorkeling, permette il mantenimento della posizione allungata delle braccia in avanti (assetto).

Dettagli di monopinna inclinata di produzione ucraina – Foto: N. Negrello

Vediamo ora i vari tipi di pinna diffusi e le loro caratteristiche principali.

Pinna piatta o pinna inclinata? La prima suddivisione oggi giorno è proprio in base all’inclinazione della scarpetta che abbiamo visto poc’anzi. E’ naturale che l’ambizione di tutti sia possedere una mono inclinata visti i vantaggi di prestazioni che garantisce. Tuttavia, specie per i neofiti, una soluzione del genere è da sconsigliare. Usando una similitudine, cominciare da una mono di questo tipo equivarrebbe a voler imparare a guidare con un’auto col cambio automatico e una grossa cilindrata. Andremmo forti e ci sembrerebbe di essere degli assi del volante, ma ciò significa veramente saper guidare? Allo stesso modo, una pinna inclinata darebbe probabilmente grandi soddisfazioni nei primi tempi senza però avere margini di miglioramento, e non permetterebbe di acquisire il gesto tecnico proprio della mono che si impara solo con una progressione che passa necessariamente per la pinneggiata simmetrica con le bipinne, per una pinna piatta e poi eventualmente per una rialzata. Meglio quindi un semplice kart o un’utilitaria con cui fare esperienza. Senza dimenticare il fattore prezzo che non è mai un dettaglio da poco parlando di auto come di monopinne!

Monopinna per principianti in plastica – Foto: N. Negrello

In tema di monopinne piatte e non carenate ne esistono principalmente di tre tipi in base al materiale della pala: plastica, vetroresina e carbonio. La monopinna in plastica è utilizzata nel nuoto pinnato soprattutto per far muovere i primi passi acquatici ai bimbi, vista la sua estrema leggerezza e morbidezza. Non permette prestazioni elevate, al contrario è utile solo per l’acquisizione del gesto. Passando a pinne in vetroresina, il mercato offre invece soluzioni ben più variegate e adatte a un po’ tutte le esigenze. Si distinguono principalmente pinne di provenienza italiana e pinne di provenienza russa/ucraina. La preferenza tra i due tipi è soggettiva, cosiccome la scelta di misura e durezza. E’ bene ricordare come le monopinne, specie quelle sovietiche, nascano principalmente per i pinnatisti, atleti in genere dotati muscolarmente e già in possesso di buone basi natatorie. Per i neofiti, benché non sia una regola fissa, vale perciò il criterio di orientarsi verso pale morbide. Questo principio regge ancor più sul fatto che mentre l’obiettivo del pinnato è compiere certe distanze nel minor tempo possibile, il cronometro ha peso molto relativo nell’apnea dove ciò che conta è essenzialmente trovare un buon equilibrio tra consumo d’ossigeno e resa della pinneggiata. Una mono troppo dura, oltre ad essere difficilmente ‘gestibile’ durante la pinneggiata, non è sicuramente adatta a chi ricerca un gesto economico.
Le pinne in carbonio, particolarmente diffuse nell’ambiente apneistico, si distinguono per leggerezza ed elasticità. Tale diffusione è però forse da sottoscrivere anche ad una moda nel settore secondo la quale tale materiale avrebbe prestazioni ineguagliabili. Tale assunto non è necessariamente vero per quanto riguarda le monopinne, specie se il discorso viene posto con un occhio di riguardo al portafoglio. Il rapporto qualità/prezzo della vetroresina non ha infatti tuttora rivali.

Monopinna cinese – Foto: N. Negrello

Addentrandoci invece verso monopinne più impegnative, si comincia a parlare di derive e wings. Attrezzi del genere come detto hanno un peso decisamente superiore rispetto alle pinne non carenate. Il loro utilizzo è perciò consigliato a persone con un minimo di preparazione fisica in quanto lo sforzo può risultare più intenso. Anche in questo caso esistono diversi modelli. Oltre a pinne italiane e sovietiche tra queste possiamo annoverare anche le mono cinesi, non molto diffuse nel mondo dell’apnea ma con alcune eccezioni di tutto rispetto (Guillaume Nery per esempio).
Alcuni di questi modelli presentano già una lieve inclinazione della scarpetta. Tuttavia le pinne che più si caratterizzano per questo elemento (definite Glide, Hyper, Gyper… in base ai vari produttori) risaltano subito agli occhi per la particolare forma della calzata, non più piatta ma ovoidale. Russia, Ucraina e Ungheria sono i principali paesi da cui arrivano questi modelli che in molti casi vengono venduti direttamente dagli artigiani. L’annoso problema legato a pinne di questo genere è la difficoltà nel reperirle e la garanzia della bontà del prodotto. Salvo per chi ha la possibilità di recarsi in loco o di essere presente a meeting internazionali di pinnato, il solo modo d’acquisto è il web, senza perciò la possibilità di provare il materiale. Visto il costo non indifferente di monopinne di questo genere il consiglio è quindi sempre quello di iniziare per gradi, senza aver fretta di procurarsi gli attrezzi migliori per poi non poterli realmente sfruttare. Per chi volesse avvicinarsi a questa specialità dunque il primo suggerimento è quello di rivolgersi a tecnici preparati, di apnea o ancor meglio nuoto pinnato, che sapranno indirizzarvi sulla scelta migliore in base alle vostre esigenze e budget.

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Category: Nuoto Pinnato

Commenti (1)

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  1. Horst Langer ha detto:

    Molto interessante…una cosa che mi chiedo : Le pinne inclinate hanno certo vantaggi dal punto di vista di idrodinamica, ma forse c’è anche un elevato rischio che la pinna si rompa proprio a questo spigolo. Con una Leaderfins (in vetroresina) ho proprio avuto questa brutta sorpresa e sono passato ad una Mas-Mat in carbonio (che dopo un anno – piscina e mare -non da nessun segno di usura).

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