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Il mio primo denticione

| 6 Gennaio 2002 | 0 Comments

Una foto d’altri tempi: Maxfox, Stefano Mazzi e Giorgio Volpe di fronte al negozio Acquasport aperto da poco

Quel giorno di fine estate del 1984 io e Marco Bardi eravamo andati a pescare come di consueto a Talamone, che all’epoca costituiva la nostra meta preferita in quanto, pur presentando un basso fondale adatto a pescatori con poca esperienza, offriva comunque la possibilità di catture interessanti.

Il nostro mezzo nautico era il mitico “Toppone”, un gommone con chiglia pneumatica che aveva più toppe che tessuto sano: pagato all’epoca 200.000 lire, era motorizzato con un Evinrude 360 cc 25 cavalli (il vero 25 cavalli) dai consumi astronomici. Difatti, beveva più miscela lui in un uscita che vino io alla festa dell’uva, cosa ben risaputa e spesso puntualizzata dai nostri amici.

Partivamo ben equipaggiati, con il gommone gonfio alloggiato sopra il portabagagli del 127 special verde acqua che Marco aveva comprato da poco.

Motore, dotazioni e attrezzature da pesca, invece, finivano nel bagagliaio.

Arrivati allo scivolo, occorrevano un’ora e tanta passione prima di aver allestito tutto l’armamentario ed essere pronti a partire. Il rito finale prevedeva come al solito il controllo di tutto l’occorrente: la benzina di scorta, il famoso pranzo che mamma Mazzi preparava con cura (una tanica di insalata di riso) e le bevande, con il consueto Brunello che da noi non manca mai.

Alla vista dell’armamentario e delle consistenti derrate alimentari, sicuramente qualcuno avrà pensato che ci stavamo preparando ad una qualche prova di sopravvivenza !

Quel giorno, arrivati sulla zona, ancorammo il gommone presso una franetta interessante, con massi che digradavano da zero fino a 10 12 metri, dopodiché ci tuffammo.

Come al solito, dopo una mezz’ora di pesca cominciai ad accusare sonno e fame e così pensai di tornare verso il gommone. In quel momento vidi Marco immergersi ad una decina di metri di distanza e allora mi fermai in superficie ad attendere la sua riemersione.

Già all’epoca Marco adoperava un fucile ad elastici: era uno dei primi modelli, un’arma che non dava nessun affidamento, ma Marco c’era molto affezionato e diceva che l’arbalete sarebbe stato il fucile del futuro.

A vedere quell'”accrocco” che Marco imbracciava con tanta fierezza, mi sembrava semplicemente impossibile! Nel silenzio del mare e del fucile, non sentii lo sparo, ma subito dopo vidi Marco riemergere con decisione di fronte a me: stava filando il mulinello. Pensai subito che doveva aver sparato a qualcosa di grosso. Dallo sguardo felice capii che era tranquillo e difatti esordì dicendo: “Ho sparato a un grosso dentice, è preso bene e non sfuggirà”.

Poco dopo, infatti, il bestione giunse in superficie: era ancora vivo, ma il colpo preciso ne aveva già segnato la sorte.

Eccitato, mi avvicinai per contemplare la bellezza dei suoi colori e l’ armonia delle sue forme: da incorreggibile maldestro, vidi bene di avvicinarmi fino a toccare con la mano i denti del predone che boccheggiava in superficie e……zac, rimediai un dolorosissimo morso!

Stefano Mazzi con i dentici del racconto

Marco scoppiò a ridere e mi disse: “Grande e grosso bischero, mica pensavi che si facesse curare i denti da te, vero? Andiamo al gommone, presto, mettiamo questo bambino nella cesta e lasciamo riposare il branco, così poi torniamo a prenderne un altro”.

Oggi se Marco parlasse con quel tono la cosa sarebbe normale, perché è un grande campione con anni di esperienza in tutti i mari del mondo, ma allora sentirlo parlare con tanta sicurezza mi faceva davvero uno strano effetto. Saliti sul gommone e riposto il bel denticione, Marco mi guardò e mi disse: “Preparati, che adesso provi tu”. Mi sentii morire, mentre l’ agitazione cominciava ad aumentare sensibilmente: all’epoca ero un diciassettenne tutto fumo e poco arrosto, la responsabilità di fare un tuffo su un branco di pescioni….. mi metteva ansia.

Marco, con calma e tranquillità, cominciò a spiegarmi esattamente come dovevo prepararmi, dove scendere, cosa avrei trovato sul fondo, dove puntare il fucile….. ricordo che mi sentii sollevato quando mi disse che se non prendevo niente …faceva lo stesso.

Finalmente giunse il mio momento: preparai il tuffo con calma e, dopo una capovolta silenziosa, iniziai a scendere. Raggiunto il fondo, mi appostai con cura dietro uno scoglio con il fucile puntato verso il largo. La visibilità era di circa quattro metri ed io ero concentratissimo: ad un certo punto, l’istinto mi avvertì che qualcosa stava per succedere e subito dopo un enorme testone si materializzò dal nulla. Senza esitare, inquadrai il bersaglio con il supersten da 100 centimetri che impugnavo e scoccai il tiro sperando nel “colpaccio”: preso in pieno!!

Mentre risalivo con il sapore della vittoria in bocca, vidi Marco, avvertito dal rumore dello sparo del mio cannone, scendere e seguire la sagola del mio fucile che filava dal mulinello.

Dopo un minuto circa lo vidi riemergere con un bellissimo dentice tra le mani, adesso trafitto da due aste: lo aveva colpito di nuovo per sicurezza. Mentre ammiravo incredulo il bestione, cominciai a realizzare cosa stava accadendo: anch’ io avevo catturato il mio primo denticione, poi risultato di ben 7 Kg.

Erano giornate memorabili, io avevo 17 anni: 20 Kg e 20 anni meno di adesso. In quei giorni assaporavamo la bellezza della gioventù e del mare di una volta, dove in otto metri di fondo si potevano anche prendere 2 grossi dentici in mezz’ora. Queste battute ti davano la carica per continuare a pescare anche nelle fredde giornate d’inverno, quando immergersi era davvero una sofferenza, visto che le attrezzature non erano certo come quelle di oggi. Si andava in mare con la sola forte passione e senza troppi discorsi: fucile perfetto o improvvisato, freddo o non freddo.

Insomma, si pescava e basta. Ai giovani d’oggi, consiglio di puntare sull’amicizia, di fare tesoro dei consigli dei pescatori più esperti e di andare in mare il più spesso possibile, senza riempirsi troppo la testa con sogni e fantasie, spesso più dannose che benefiche.

Marco Bardi alle prese con un grosso dentice

Le doti più importanti sono prudenza, passione e carattere deciso, mentre al resto è meglio non dare troppa importanza. Bisogna fare esperienza più che si può ma senza eccedere, tanto gli anni davanti sono molti e prima o poi il sogno d’una cattura memorabile s’avvera a tutti.

Finita la battuta ci dirigemmo verso una spiaggetta dove eravamo soliti riposare e rifocillarci.

Il pasto del dopo pesca era un vero rito: apparecchiavamo alla meglio sugli scogli e poi, quando vino, bevande e cibi erano pronti, iniziavamo il pasto con un brindisi di augurio.

Quel giorno la nostra soddisfazione era evidente, toccavamo il cielo con un dito.

L’insalata di riso era speciale, mentre…..lo erano meno le “dotazioni”, visto che mia madre si era dimenticata di darci le posate! Ma non ci perdemmo d’animo per così poco e sostituimmo le posate con due sassi piatti, da veri uomini di mare pronti a tutto.

Al ritorno allo scivolo, incontrammo un nostro amico pescatore che all’ epoca era molto più esperto e che non perdeva mai occasione di prenderci in giro. Senza bisogno di metterci d’accordo, inscenammo una commedia con l’intenzione di stuzzicare l’orgoglio dell’amico per spingerlo a sfotterci come suo solito: il malcapitato abboccò subito, e dopo averlo fatto sfogare ben bene gli sbattemmo in faccia i due magnifici esemplari di dentice appena catturati !

A momenti non lo facevamo morire d’invidia!

La notizia della mirabolante pescata si sparse in pochi giorni e tutti cominciarono ad andare in quella zona con la speranza di catturare questi dentici spettacolari.

Il ricordo di questa giornata di pesca è ancora vivo in me, il solo ripensare a quei momenti mi fa rivivere le emozioni di quei tempi. E’ stato il mio primo dentice, ma anche uno dei più grossi che abbia mai preso.

Ho continuato per anni ad andare a pescare con Marco ed ho avuto anche modo di fargli da barcaiolo alle gare e di condividere con lui molte altre emozioni, ma oggi che non riesco più ad immergermi con frequenza…. ricordo questa giornata come una delle più belle.

La volta dopo andammo all’Argentario e Marco bissò l’impresa con la cattura di una bella cernia di cui sono stato testimone (vedi racconto sul sito web di bardi).

Era un periodo davvero bello, il mare ricco di prede riservava vere avventure a noi ragazzi ed il suo fascino stimolava il nostro spirito di esplorazione e rafforzava il nostro amore per il blu e la pesca subacquea ad ogni avventura, puntualmente segnata da avvenimenti unici sia in acqua che fuori.

Stefano con una cernia

La passione era incredibile, eravamo pieni di entusiasmo e di voglia di scoprire. La nostra passione travolgeva non solo noi stessi e le nostre famiglie, costrette ad attendere pazientemente il ritorno di due scapestrati che sparivano per giornate intere, ma anche gli oggetti e le attrezzature in nostro possesso. Ricordo che non solo distruggevamo centinaia di attrezzature con i nostri esperimenti, ma che riuscimmo a mettere fuori uso persino il vespone con cui andavamo a pesca, che esalò l’ultimo respiro sui sentieri scoscesi dell’Argentario che percorrevamo per raggiungere le zone migliori.

Quando era il momento di rientrare, su quelle rapide salite si bruciava sempre la frizione e qualche volta siamo addirittura caduti con i borsoni a tracolla!

La passione era totale ed assolutamente non proporzionata ai carnieri effettuati. La bella cattura costituiva soltanto il completamento dell’ avventura, perché noi ci divertivamo anche senza prendere nulla! Certo, il bel pescione o il carniere abbondante stimolavano la voglia di immergersi di nuovo al più presto, ma non era l’obiettivo principale né la molla che ci spingeva a fare vere pazzie pur di trascorrere qualche ora a mollo.

Facevamo cose folli: per rubare due ore di pesca ci alzavamo alle 4 di mattina, perché alle 8 dovevamo andare a lavoro.

Ma non si rinunciava mai!

Andavamo col freddo e la neve, col sole e con la pioggia: niente e nessuno poteva fermarci o distoglierci dalla nostra passione!

Ricordo di una volta che, avvicinandoci al punto da cui eravamo entrati in acqua dopo ben otto ore di pesca vedemmo due ragazze della nostra età vicino alle nostre borse che, mezze nude, ci sorridevano e salutavano. Marco ed io ci guardammo e ci chiedemmo: “Che si fa, usciamo o peschiamo ancora?”. Otto ore non bastavano, così, di comune accordo, decidemmo di fare

un’altra oretta di aspetti: c’erano dei bei saraghi e delle spigole alle quali non potevamo assolutamente rinunciare, per cui ci allontanammo di nuovo da riva con la speranza di ritrovare le ragazze anche dopo.

Dopo circa un ora, morti di fatica, rientrammo finalmente a terra, ma, haimé, le furbe ragazze avevano visto bene di allontanarsi, lasciandoci alla nostra grande passione che, per una volta, ci creò forti rimorsi.

Possiamo davvero dire di aver sfatato il detto “chi dorme non piglia pesci”: quella volta noi abbiamo dormito…… prendendo pesci!! Oggi ci vergogniamo un po’ a raccontare questa storia, ma a ripensarci ci facciamo sempre delle grasse risate.

Com’eravamo tonti! Avevamo il pane e i denti, oggi ci sono rimasti solo i denti e per giunta poco buoni. Poco male, ci resta la consolazione di bei ricordi di gioventù che scaldano la vita di tutti i giorni ed una passione per il mare e la pesca sicuramente più matura ed in qualche modo meno irruente, ma non per questo meno intensa di quella di allora.

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