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il "Depiranon" di Giovanni Boccabonifaccio


Ospite RickCT75

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Eccolo: una promessa è una promessa. Rimetto tutto perché ho dovuto aggiornare il prezzo dell'arbalete per far tornare i passaggi di mano (se c'ero io al posto del protagonista il diavolo mi fregava subito). In fondo c'è anche il racconto originale di R.L. Stevenson, "Il diavolo nella bottiglia", che vale davvero la pena :bye:

 

IL RAMPONE DEL DIAVOLO

Parecchi anni fa, quando la Polinesia era un orizzonte perduto dipinto da Gauguin e cantato da Jacques Breil, e non un catalogo Valtour, viveva un pescatore giovane e bello di nome Keawe. Un giorno Keave mentre tornava dal mare con i suoi quattro pesciotti a tracolla si fermò davanti a una casetta sul mare, piccola ma rifinita come una casa di bambole, con un giardino tutto frutti e ghirlande di fiori.

“Com’è bella questa casa- pensava Keawe – e come deve essere felice e senza pensieri la vita di chi abita lì dentro” . E per usare le parole di Stevenson, stando così fermo, si accorse di un uomo che lo guardava da una finestra così trasparente che Keawe lo vedeva come si vede un pesce in una pozza fra gli scogli. L'uomo era attempato, aveva la testa calva e la barba nera; e il suo viso era grave di dolore, e sospirava amaramente. E la verità è che, mentre Keawe guardava l'uomo lì dentro e l'uomo guardava Keawe là fuori, essi si invidiavano a vicenda. Improvvisamente l'uomo sorrise e fece un cenno col capo, invitò Keawe ad entrare e lo accolse sulla porta di casa.

Keawe riconobbe subito il vecchio: era una leggenda in fatto di imprese subacquee in tutto l’arcipelago. Nessuno aveva mai fatto i suoi carnieri, e le dimensioni delle mascelle degli animali essiccati e appesi alle pareti stavan lì a testimoniarlo; nessuno era stato abile come lui nell’immergersi in profondità; nessuno aveva fronteggiato e schivato tanti pericoli, e nessuno aveva una simile collezione di arbalete sulla rastrelliera, che Keawe stava ora fissando in estasi. Uno di essi in particolare attrasse la sua attenzione tanto era bello e diverso da tutti gli altri. Nero e lucente, pareva fatto di pietra ossidiana, senonché a muoverlo era insospettabilmente leggero e, se messo controluce, mandava un bagliore cangiante e emetteva un leggero sibilo, come di un ferro rovente immerso in un secchio d’acqua. L’arpione pareva temprato in maniera tale da essere indistruttibile, gli elastici avevano una morbidezza e mandavano un suono finora sconosciuto a Keawe e l’insieme era quello di un attrezzo tanto comodo da usare quanto rapido e letale.

- Che strano fucile! – disse Keawe –pare di vetro, ed è come se dentro ci fosse qualcosa.

-E in effetti è vetro – disse il vecchio – un vetro soffiato nelle fiamme dell’inferno, e dicendolo lo scaraventò contro una prete senza che si facesse un graffio. Guarda bene! quella che intravedi è l’anima stessa del demonio imprigionata lì dentro.

Keawe si ritrasse spaventato.

- Non devi averne paura. Tutti i più grandi pescatori dell’arcipelago l’hanno posseduto: alcuni sono finiti male, altri no, dipende da quanto uno è disposto a accontentarsi. Ma tutti sono stati grandi come nessun altro. E ti garantisco che senza di esso io per primo non sarei stato niente di speciale. E io te lo cedo volentieri per la somma che hai in tasca ora.

- E perché parlate di venderlo? - disse Keawe.

- Ho tutto ciò che desidero e sto invecchiando, - rispose l'uomo. - C'è una cosa che il diavolo non può

fare; non può allungare la vita; e, non sarebbe onesto nascondervelo, l’arbalete ha un inconveniente: se

uno muore prima di venderlo, dovrà bruciare per sempre all'inferno.

- Certo, questo è un inconveniente, è chiaro! - disse Keawe. - Non voglio averci niente a che fare. Posso

fare a meno di essere il più grande pescatore, grazie a Dio; ma c'è una cosa che non vorrei mai, cioè essere dannato.

- Dio mio, non siate così precipitoso nelle cose, - rispose l'uomo. - Tutto quel che dovete fare è usare il

potere del diavolo con moderazione, e poi venderlo a qualcun altro, come io a voi, e finire in agiatezza la

vita. Dopo aver pescato tutto ciò che volete ed esservi arricchirto.

- Com’è possibile? – disse Keawe rigirandoselo con una mano, mentre con l’altra quasi soprapensiero estrasse dalla tasca un nichelino, moneta del valore di cinque centesimi.

- Questo complica le cose –rispose il vecchio accigliandosi-. Devi sapere che l’arbalete deve essere venduto a un prezzo inferiore a quello a cui è stato acquistato. Inizialmente, quando fu forgiato, ai tempi del mito di Glauco e di Colapesce, il suo valore era inestimabile; ma dopo innumerevoli passaggi di mano il suo valore è sceso a soli cinquanta dollari, e se tu ora hai solo un nichelino, questo sarà il suo nuovo prezzo, e sarà più difficile per te liberartene a meno. Ma non impossibile. Devi sapere altre due cose. La prima è che lo stesso vale per il pescato: qualunque pesce lo dovrai vendere, non potrai tenertelo per te o la tua famiglia, non potrai regalarlo o mangiarlo con gli amici; e ogni volta il prezzo del pescato sarà più basso, indipendentemente da quanto hai preso o dalla sua qualità. Ultima cosa, perché io sono un uomo onesto e tengo a dirti tutto, anche perché non potrei fare diversamente: queste condizioni le dovrai dire palesemente al prossimo compratore, che non potrà essere ingannato sulla presenza del diavolo. Allora accetti?

E il nichelino e l’arbalete di pietra nera cambiarono di mano prima ancora che Keawe dicesse sì.

 

Keawe si trovò così messo alla porta con l'arma del diavolo in pugno. Bisogna dir questo di lui: che non era un ragazzo cattivo, né era abbastanza incallito da essere una di quelle persone dominate dalle proprie ossessioni o dai propri vizi; per completare questo processo è indispensabile la sedimentazione degli anni. Infine non poteva nemmeno dirsi ambizioso, giacché l'unica vera ambizione presente in lui era quella di compiere qualcosa di grande, qualcosa per cui fosse riconosciuto come tale dagli altri. Insomma, in due parole, era giovane. La sua anima dunque poteva esser terreno molto fertile tanto per il grano che per la zizzania, per usare le parole degli antichi, che sapevan di mosto. O, se vogliamo dirla con quelle di un orientatore scolastico di oggi, saporite come una bicchierata d'acqua fresca: aveva delle potenzialità, ma non conosceva ancora le proprie inclinazioni.

-Se è vero tutto ciò che mi è stato detto sull'arbalete, non credo di aver fatto un buon affare- pensò Keawe - Ma può darsi benissimo che tutto ciò sia solo una favola.

-Di sicuro questa è una grande arma, ed è questo che conta -pensò ancora soppesandola - Bisogna anzitutto che la provi

E così di diresse verso il mare.

Appena si immerse notò subito che l'arma mandava un bagliore più forte del solito man mano che aumentava la profondità, e che nel muoverla non faceva alcuna fatica: era come non avere in mano nulla. Si appostò dietro una roccia aspettando inutilmente che si avvicinasse qualche pesce, e quando giudicò di esser stato sotto abbastanza, si stupì di avere ancora fiato. Non volle fidarsi di quella sensazione e risalì, ma quando ridiscese una seconda volta si accorse che poteva disporre di tutto il fiato che voleva: respirava sott'acqua, e, ogni volta che inspirava, l'anima che era dentro la pietra dell'arbalete mandava un bagliore acora più intenso. Poi accadde un altra cosa strana: l'arbalete cominciò a suonare: un rumore come quello di un serpente a sonagli. Il suono divenne più forte. Allora Keawe vide un carangide sfilare davanti alla punta del fucile, come fosse attirato da quel suono. Sparò senza pensarci: non sentì nulla, penso che il colpo neanche fosse partito, ma il pesce già fluttuava a pancia in su davanti ai suoi occhi e mandava dalle branchie un fiotto di acqua tremula e torbida. Allora Keawe si fece coraggio e nuotò verso il largo, su una secca dove, da solo, non si era mai avventurato a pescare.

La sera irruppe nella sua casupola spalancando la porta e alzò al soffitto il suo trofeo che gocciolava ancora sangue: un gigantesco snapper luccicante d'oro, mentre con l'altra mano stringeva il suo nuovo fucile. Le due donne che vivevano con lui, Kokua, una ragazza del posto con cui si era sposato la settimana prima, e l'anziana madre, rimasero senza parole.

-Con questo mangeremo come re! -disse Keawe, e stava per dare istruzioni alle due donne su come cucinarlo, ma poi si ricordò delle condizioni a cui gli era stata ceduta l'arma e ammutolì.

"Non potrai sfamarti con ciò che pescherai e dovrai venderlo ogni volta a un prezzo minore!"

E come se Kokua avesse sentito l'eco dei pensieri che agitavano il marito gli disse:

-Vendiamolo domani al mercato, ne ricaveremo di che mangiarci dieci volte tanto.

Così Keawe portò il pesce al mercato, e ne ricavò tanto da mantenere la famiglia per tutta la settimana. Il giorno dopo Keawe prese due pompano, grandi almeno quanto lo snapper, e vendette anche quelli a un buon prezzo. E il terzo giorno fu anche meglio: due wahoo alti quanto un cristiano. Adesso, quando lo vedevano, i venditori e gli altri pescatori gli si avvicinavano in silenzio facendo capannello. Qualcuno buttava là dove li avesse presi, ma senza chiederglielo apertamente, così, come per ingannare il tempo; altri gli davano una pacca sulla spalla, come farebbe un allenatore col suo campione preferito, e gli dicevano:

-Allora Keawe, anche oggi pesca grossa? Vediamo cosa ci hai portato.

In pochi giorni la sua fama crebbe e superò quella dei migliori pescatori polinesiani. I suoi erano di gran lunga i pesci più grossi, i più pregiati a tavola, e spesso facevano la loro comparsa sui banchi del mercato anche specie strane, che nessuno aveva mai visto prima di allora. Tanto che gli altri pescatori smisero presto di chiedergli dove andasse a prendere tutto quel pesce.

Un giorno Keawe trovò un mercante di pesce ad attenderlo sulla spiaggia. Come sempre ricevette i complimenti per la pesca, dopodiché il grossista gli fece una proposta.

-Senti Keawe – disse – io e gli altri mercanti dell’isola avevamo pensato di farti entrare in società con noi. Insieme potremmo piazzare il tuo pesce nei mercati delle altre isole dell’arcipelago.

-Perché non venderlo qui?

-Potresti pescare molto più pesce di quello che poi riusciresti a piazzare agli abitanti di quest’isola.

-Loro non hanno bisogno di più pesce né io ho bisogno di più di quello che ho – rispose Keawe.

-Tutti quelli che rispondono così è perché non ci hanno pensato su, ma poi finiscono col pensarci, e allora si accorgono che ci sono un sacco di cose che si possono desiderare. Potresti comprarti una casa più grande per tua moglie, per tua madre e per te.

La sera Keawe parlò con Kokua della società con i mercanti di pesce, e il giorno dopo marito e moglie andarono in banca a firmare per la nuova casa. Avevano saputo che il vecchio pescatore che gli aveva venduto l’arbalete era morto e la casa che aveva sognato era in vendita. Così la comprarono e andarono a viverci.

La casa sul mare, alle pendici del monte, era magnifica e Kokua seppe renderla ancora più bella adornando il giardino di nuove piante fiorite e dando alle stanze il suo tocco femminile: cambiò le tendine e fece mille decorazioni.

Era destino però che in quella casa Keawe trascorresse sempre meno tempo insieme a Kokua. Ora doveva rifornire i mercati di tutto l’arcipelago: pescava ogni giorno, dall’alba al tramonto, tutti i giorni della settimana, senza sosta. Non toccava nemmeno terra per portare il pesce: le barche arrivavano, lui sfiocinava il pesce sulla fiancata e subito ridiscendeva, mentre le barche correvano veloci a vendere tutto nelle altre isole. L’uomo cormorano, lo chiamavano,e a lui stesso pareva di essere uno di quegli uccelli tenuti dai pescatori con l’anello sul gozzo per costringerli a pescare per loro. La sera si trascinava a casa e si buttava sul letto così com’era. E all’alba ricominciava.

Ma nemmeno questo bastò. Le barche dei mercanti viaggiavano senza sosta e aumentavano di numero ogni settimana che passava; presto Keawe fu costretto a andare in mare anche di notte. I pesci nei mari intorno all’isola diminuirono di numero e di taglia, e così anche il ricavato di Keawe.

Non ci aveva mai pensato finché pescava sempre maggiori quantitativi di pesce, ma in realtà il prezzo del singolo pesce che Keawe vendeva era diminuito di giorno in giorno, proprio come gli aveva predetto il vecchio pescatore. Nella società i guadagni erano andati tutti ai grossisti che avevano piazzato il pesce ai quattro angoli dell’arcipalago, mentre lui aveva ottenuto solo di svuotare il suo mare.

E adesso i grossisti gli avevano fatto capire che, anche se lui era il miglior pescatore che avessero mai conosciuto, erano costretti a spostare la flotta sulle altre isole.

Il giorno dopo Keawe lottò e prese un tonno gigantesco, ma quando lo mise all’asta, i grossisti glielo pagarono un tozzo di pane. Keawe si ribellò e non glielo vendette. Quando vide che tutti i venditori si erano accordati per affamarlo rovesciò i banchi del mercato buttando per terra il pescato

-Così non si può andare avanti. – disse Keawe – devo vendere qual maledetto arbalete e trovarmi un altro lavoro.

-Sei pazzo? E di che vivremo? Con cosa finiremo di pagare casa?– gridò Kokua, che non conosceva il segreto dell’arbalete.

Keawe invece vedeva che quello che gli stava accadendo era ciò che il vecchio gli aveva predetto.

Voltandosi vide l’arbalete di ossidiana appoggiato a una parete brillare della sua solita luce cangiante. Non ci aveva mai pensato tanto come adesso, alla sua anima che bruciava nelle fiamme della geenna. Sua moglie vedendolo così depresso provò inutilmente a scuoterlo, con l’unico risultato d’irritarsi entrambi.

La mattina dopo l'anziana madre di Keawe rimase a letto malata. Keawe disse che quel giorno non sarebbe andato a pesca, ma la madre dal letto gli fece cenno d'andare in mare. La moglie gli disse di fare lo stesso, a maggior ragione ora che i venditori di pesce minacciavano di trasferirsi in un'altra isola. E di non preoccuparsi, che ci avrebbe pensato lei a chiamare il dottore. Le domande che l'attanagliavano erano sempre le stesse: di che vivremo? cosa mangeremo?

Così Keawe partì in mare, e quando tornò la madre era morta come i pesci che aveva sulla spalla, ed egli rimpianse di non potuto nemmeno salutarla come si deve.

Il giorno dopo venne un missionario a celebrare il funerale. La cerimonia si tenne in una chiesa costruita con canne di bambù davanti al mare. Salito su un pulpito rudimentale fatto con la prua di un'imbarcazione, il prete cominciò a leggere il Vangelo.

"Il diavolo allora gli si accostò nel deserto e disse a Gesù affamato:

-Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane"

"E Gesù disse: sta scritto che non di solo pane vive l'uomo"

Bisogna dire che Keawe non era come molti di quelli che vanno a messa; quelle parole le sentiva ora per la prima volta e trovarono nel suo animo terreno fertile. Si ricordò delle sue pescate miracolose e fu come se il diavolo stesso gli avesse messo quei pesci davanti alla punta del fucile.

Ma lui invece aveva raccolto quel pane, non l'aveva mangiato; ma l'aveva venduto, che era anche peggio.

Il prete continuava a leggere:

"Allora il diavolo condusse Gesù con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà l'ordine di sorreggerti con le loro mani".

"Sta scritto anche: non tentare il Signore Dio tuo."

E a Keawe questo ricordò le sue discese miracolose nell'abisso senza fondo e gli sembrò che il demonio stesso l'avesso spinto la sotto.

"Di nuovo il diavolo lo condusse con sè sopra un monte altissimo, gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse:

-Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai."

Questo per Keawe era ancora più chiaro: era l'arbalete stesso, che lui aveva accettato di prendere e di pescarci.

 

Seppellita la madre, Keawe andò in mare come al solito.

-Che ci vai a fare?- gli domandò Kokua - Dopo la scenata che hai fatto al mercato nessuno ormai comprerà più il tuo pesce.

-Devo vedere una cosa.- rispose Keawe, e prima di avviarsi staccò un fiore rosso dalla pianta di melograno in giardino, di quelli che usava Kokua per adornarsi i capelli, e lo tenne stretto nel pugno, mentre nell'altra mano impugnava l'arbalete.

C'era un punto fuori dal pass chiamato la fossa del diavolo, dove si diceva che il mare non avesse fondo. Era lì che Keawe era diretto. La corrente era molto forte e dovette nuotare al massimo delle sue forze per uscire dal pass. Poi incontrò le onde del mare aperto e continuò a nuotare; giunto in un tratto di mare liscio come l'olio e di colore più nero che blu si lasciò galleggiare e cominciò a prender fiato alzando gli occhi ogni tanto a guardare i gabbiani volteggiare sopra la sua testa.

Stringendo sempre il fiore di melograno nel pugno iniziò la discesa, prima con fatica per staccarsi dalla superficie, poi senza muovere più un muscolo, infine mettendo le mani avanti e il corpo in orizzontale per frenare la caduta verso il basso. E gli tornò in mente l'immagine vertiginosa della caduta, con gli angeli che stendevano le loro ali per sorreggerlo; soltanto che non erano angeli ma demoni, e s'era ingannato a pensare che lo sostenessero, mentre in realtà lo stavano tirando verso l'abisso. All'inizio il fondale intorno alla fossa senza fondo era di rocce e coralli, pieno di pesce multicolore che volteggiava, ma, man mano che scendeva, la desolazione aumentava. Sulle nude pareti intorno a lui ormai c'eano soltanto briozoi contorti e ragni di mare dalle esili zampe; ctenofori gelatinosi fluttuavano nel blu. Poi più nulla. Era giunto a una profondità tale che non si vedeva niente, tranne il bagliore dell'arbalete che ora brillava come una torcia e sibilabva davanti a lui.

 

http://www.youtube.com/watch?v=1u7vzaqITMA

 

La discesa fu come la caduta in un sonno profondo; si trovò davanti i fantasmi delle persone morte che avevano vissuto sull'isola generazioni prima. Era questo il regno e la gloria che il diavolo aveva il serbo per lui? Keawe aprì gli occhi e intravide il fondo: sotto di lui si apriva una spaccatura da cui uscivano vapori sulfurei. Si appostò su una roccia vicina, stese il braccio che impugnava l'arbalete e chiese al diavolo, quindi a se stesso, dato che non poteva parlare sott'acqua, di manifestarsi. Dalla nube si materializzò un pesce orrendo dalle zanne di vetro e dagli occhi che esplodevano fuori dalla testa. Lentamente Keawe distese il braccio prendendo la mira come se stesse per sparare a un pesce qualsiasi. Ancora una volta gli vennero in mente le parole del prete "Se la tua mano ti dà scandalo, strappala da te". Sparò al pesce colpendolo due dita dietro l'occhio e l'attimo stesso in cui lo colpì sentì una fitta bruciante alla spalla destra dove gli si era conficcata l'asta dell'arbalete.

Fino a quel momento non aveva avuto il bisogno di respirare, ma ora, improvvisamente ne sentì la necessità imperiosa. Nuotò verso la superficie con tutte le sue forze senza pensare a nulla per non sprecare un solo atomo di ossigeno in un pensiero soltanto. Man mano che risaliva sentiva il braccio ferito bruciargli; ma nonostante questo non poteva mollare la presa sull'arbalete incandescente come un tizzone. Poi lo strazio dell'asfissia gli esplose nel torace; centinaia di bolle d'aria rotearono e turbinarono intorno al viso; ad un certo punto le gambe cedettero di schianto, come se fossero appartenute a qualcun altro che ne aveva abbastanza di lui; sentì un rombo, come di una cascata d'acqua che irrompeva nei timpani, gli parve di cadere rotolando per i gradini di una vasta scala interminabile e di fluttuare in un mare di vaghe visioni. Una luce bianca come un faro squarciò le tenebre tutto intorno a lui. E nel momento stesso in cui ebbe coscienza di queste cose, cessò di averne coscienza.

Keawe fu raccolto mentre galleggiava a pancia in su da una barca di pescatori. Rimase a letto in stato di incoscienza per due giorni, al terzo giorno aprì gli occhi. Sul palmo aperto della mano rosseggiava il fiore di melograno.

Una volta ristabilitosi, il primo pensiero di Keawe fu quello di liberarsi dell'arbalete. Una ad una bussò a tutte le case dei pescatori del paese offrendo l'arbalete per quattro centesimi. Gli altri lo guardavano come se fosse matto a vendere un così bell'oggetto per così poco; poi, quando seppero la storia del diavolo, che Keawe a un certo punto era costretto a raccontare - perché almeno in questo il diavolo costringeva a esser onesti - lo guardarono come uno che trafficasse col demonio. Una a una tutte gli si chiusero tutte le porte. Infine trovò un pescatore più giovane di lui e ancora più entusiasta di lui per la pesca, che, si vedeva, moriva dalla voglia di possedere l'arbalete di pietra nera. Keawe gli spiegò tutto e gli chiese quanto aveva in tasca. il ragazzo cavò fuori un centesimo soltanto.

-E' tutto quello che hai?- gli chiese Keawe impallidendo.

Il ragazzo fece cenno di sì. Keawe non ebbe il cuore di vendergli l'arma per un solo centesimo. Significava che il ragazzo ne sarebbe rimasto il possessore per tutta la vita. Significava per lui una sicura condanna all'inferno.

Keawe ebbe un'altra idea, che lo faceva soffrire molto meno: rifilare l'arbalete ai grossisti di pesce che l'avevano truffato. Così si diresse nella via principale, dove stavano le abitazioni dei ricchi. Le case dei grossisti di pesce erano allineate sul viale, una dopo l'altra, come singoli anelli della catena che l'aveva ridotto in schiavitù; una uguale all'altra, con i loro usci spazzati e sprangati, gli zerbini con la scritta "bienvenue", i giardini discreti, gli stipiti e le colonne di marmo che le rendevano simili a sepolcri imbiancati.

-Così adesso vuoi venderlo, ne hai abbastanza di fare il cormorano? - disse sghignazzando il primo dei mercanti a cui aveva bussato - Beh, auguri figliolo, ne avrai proprio bisogno!

Keawe si rivolse ad altri mercanti ma ebbe più o meno le stesse risposte di scherno da quelli che si degnarono di aprirgli la porta di casa. Capì allora che i grossisti erano sempre stati al corrente del segreto dell'arbalete e, loro sì, l'avevano sfruttato per arricchirsi. E l'inganno più grosso era che gli era stato venduto per un segreto ciò che in realtà era sulla bocca di tutti. Tutti si erano arricchiti con quell'arbalete, e tutti se ne erano liberati in tempo o ne avevano semplicemente tratto profitto. Tutti tranne lui. La sua era la tragedia di una grande ingiustizia e di una grande solitudine insieme.

La giornata era stata amara, ma la sera quando tornò a casa fu anche peggio. Kokua gli venne incontro sulla soglia dicendogli che la banca si era ripresa la casa. Keawe non fu più capace di tenersi per sé un segreto così grosso e le raccontò l'intera storia dell'arbalete.

- Che marito stupido mi son preso! - gridò Kokua - Basterà andare in un altra isola meno maledetta di questa e vedrai che troveremo facilmente qualcuno a cui vendere il tuo arbalete. Così il mattino dopo fecero i bagagli scegliendo con cura i vestiti migliori, perché dovevano darla bene a intendere per riuscire a trattare senza troppi sospetti un oggetto strano come quello. Sulla soglia si voltarono un ultima volta a guardare le stanze vuote ed ebbero un tuffo al cuore nel lasciarsi dietro la loro bella casa aperta con le chiavi sulla porta per andare a imbarcarsi.

Ma le cose non andarono come Kokua aveva previsto: per quante miglia facessero, la fama dell'arbalete arrivava su un'isola lontana sempre prima di loro due e faceva sì che fossero evitati da tutti. Gli unici acquirenti erano invariabilmente bambini o ragazzi che si avvicinavano a quel pericolo mortale imprudenti come piccoli pesci. Ma Keawe e Kokua non ebbero cuore di vendere l'arma a uno di loro né per un cent né per tutto l'oro del mondo.

Una sera Keawe stava seduto sul letto d'albergo ad aspettare che anche Kokua rientrasse; era stanco e depresso per aver girovagato inutilmente tutto il giorno. Sentì due colpi alla porta e sulla soglia si fece avanti un uomo bianco, conosciuto sull'isola semplicemente come "Il Pittore".

-Buonasera- disse - ho saputo che possedete qualcosa di prezioso di cui volete disfarvi. L'arte è la mia passione e se quell'oggetto è antico e in buono stato come si dice, sono disposto a farvi un buon prezzo.

-Se è stata mia moglie a mandarvi qui, avrebbe dovuto dirvi che il suo prezzo non deve superare i quattro centesimi.

-Se è quello che stabilite, sarà comunque un buon prezzo per voi.

-C'è dell'altro.- disse Keawe, e raccontò l'intera storia dell'arbalete, senza omettere nulla.

-All'inferno ci andrò comunque e certo non intendo rivendere questo bel fucile a un prezzo così ridicolo. - rispose il pittore prendendosi l'arbalete e mettendo quattro centesimi in mano a Keawe.

Quando Kokua tornò, Keawe le corse incontro, la abbracciò sollevandola da terra e le raccontò di quel pazzo che aveva voluto portarsi il diavolo con sè pagandolo quattro centesimi. Keawe era instupidito dalla felicità: parlava soltanto lui, come a volersi mettere a posto la coscienza diceva che il pittore doveva essere un poco di buono per prendersi un oggetto simile; faceva mille progetti, voleva tornare subito nella sua isola, trovarsi un nuovo lavoro e ricomprare una casa ancora più bella.

-Vedrai Kokua, non ti devi preoccupare..ma che hai?

Kokua non aveva il coraggio di parlare e non aveva bisogno di stare a ascoltare. Sapeva già tutto: era stata lei a accordarsi col pittore perché Keawe gli vendesse l'arbalete a quattro centesimi soltanto per ricomprarlo poi lei a tre. Aveva avuto un attimo di esitazione giù al molo nel riprendersi l'arma, ma poi non venne meno al suo impegno. Anche perché il pittore l'aveva guardata in un modo che, se si fosse rimangiata la promessa, pensò, gliel'avrebbe fatta pagare cara. Così era ritornata da Keawe con la morte nel cuore.

Le cose andarono sempre peggio tra loro. Keawe non si faceva una ragione dei silenzi e dei continui malumori di Kokua, mentre quest'ultima, che si sentiva le fiamme dell'inferno sotto i piedi, rimproverava in cuor suo a Keawe la sua ottusità e la sua durezza d'animo e si domandava a cosa il suo gran sacrificio fosse servito. Non tornarono alla loro isola. Keawe tutte le sere andava al bar del porto a bere e a ascoltare i racconti del pittore, che aveva girato tutto il mondo e conosceva tutti, a quanto pareva. Quella sera, come spesso gli accadeva, il pittore era accompagnato da un donna giovane e molto bella. Agli occhi di Keawe, che non aveva mai visto una bianca, si trattò di una vera e propria apparizione. Il pittore volle far loro un ritratto e li fece avvicinare sotto la luce fioca del bar. Keawe sentendo il contatto con quella pelle che pareva non esser mai stata arsa dal sole la desiderò più di ogni altra cosa.

Tornò in albergo a tarda notte e prima di entrare volle sincerarsi che Kokua stesse dormendo, così spiò dalla finestra e ciò che vide al di là del vetro gli fece mancare il terreno sotto i piedi. Sua moglie stava pregando inginocchiata al centro della stanza e in un angolo, appoggiato alla prete baluginava l'arbalete ancora presente tra loro. In un istante capì tutto: si voltò e corse di nuovo al bar del porto dove il pittore sembrava lo stesse aspettando.

 

-Sei sicuro di ciò che vuoi? -gli domandò il pittore ricapitolando la sua richiesta - Io comprerò l'arbalete al suo prezzo, che attualmente è sceso a due soli centesimi, sarò costretto a rivendertelo a un centesimo soltanto. Sai cosa significa questo? Sei pronto a accettarlo?

Il pittore lo sovrastava mentre parlava e, sudato com'era in volto, pareva brillare.

-Ma se glielo chiedo, significa che accetto tutto.- gemette Keawe accasciandosi sul tavolo

Il pittore s'incamminò verso l'albergo in collina, lasciando Keawe solo con la sua disperazione.

"Ora, moglie mia, tocca a te dormire. Quando ti sveglierai sarà il tuo turno di ridere e cantare. Ma per me, ahimè, non più sonno, non più canto, non più piacere, né sulla terra né in cielo." Con questi pensieri si diresse verso il mare per avere una compagnia al suo lamento. Il pittore impiegò molto più tempo di quello che sarebbe occorso per fare una vendita semplice come quella. Già albeggiava alle sue spalle quando Keawe lo vide scendere dalla collina stringendo in mano il fucile.

-Mi ha detto di dirti che torna dai suoi genitori. Non credo che la vedrai più.- disse dopo essersi seduto di fianco a lui sulla spiaggia.- Allora, sei pronto?

Keawe lo guardò e senza dire una parola tirò fuori un centesimo dalla tasca. Il pittore lo prese, consegnò l'arbalete; si fermò un attimo ad ascoltare i pensieri di Keawe.

-Tu non sei proprio l'uomo che mi serve -disse- E si riprese l'arbalete dandogli in cambio il suo quadro e una moneta da cinque centesimi: il nichelino con cui all'inizio Keawe aveva comprato l'arbalete al vecchio.

-Questo lo potrai vendere a un prezzo molto più alto -disse ancora - Ecco, la ruota è di nuovo all'inizio del giro.

E detto questo il demone s'incamminò nel mare inabissandosi con un sibilo. Keawe rimase sbalordito a guardare la nube che si era levata sul mare nel punto in cui era sparito.

Infine abbassò gli occhi sul quadro: era un ritratto perfetto di Kokua, con il fiore rosso di melograno all'orecchio e i neri occhi: guardandola sembrava che fosse sul punto di dirgli qualcosa che non sarebbe mai riuscito a capire. Il sole intanto si levò sull'orizzonte e, cambiando la luce, cambiò anche il soggetto raffigurato: ora c'era la donna bianca ritratta con tinte altrettanto vivide. Passando un dito sulla tela sembrava di sentire la sua pelle di seta. Poi il ritratto cambiò ancora; c'erano altre donne, alcune che non aveva mai visto, altre le conosceva, ma gli parve che fossero state invecchiate ad arte; c'era la casa che aveva sognato, ma era in rovina, e c'era sempre il mare sullo sfondo; poi il mare scomparve e al suo posto fecero la loro apparizione altri luoghi, altre strade e altre stanze. Keawe rimase tutto il giorno a fissare il quadro: i volti diventavano sempre più vecchi man mano che il sole completava il suo arco sull'orizzonte; i lineamenti dei personaggi ritratti più indefiniti fino a confondersi e gli oggetti sempre più sbiaditi; a un certo punto gli parve di rivedersi nella casa dei suoi vecchi genitori, disteso nel suo letto. Finché tutto si dissolse in un alone di luce e polvere.

 

Il sole è tramontato e la storia è finita: un angelo e un demone sono appollaiati su uno scoglio davanti alla spiaggia dove sedeva Keawe fino a poco prima, l'uno simile a un enorme gabbiano, l'altro uguale a un cormorano altrettanto gigantesco. Il nichelino brilla sulla spiaggia. Non è sfuggito ai loro occhi d'uccello; occhi neri e tondi come biglie, un'unica pupilla sferica che occupa l'intera orbita; occhi fatti per vedere nelle tenebre e per fissare direttamente il sole. Si conoscono da sempre e hanno un'eternità davanti: il demone fa un passo d'anatra verso l'angelo e gli dice indicando il nichelino:

-Lo vedi? Quello è il suo prezzo.

E l'angelo risponde:

-Se anche hai fissato il prezzo per ogni uomo o donna, non hai ancora detto tutto. Non hai detto niente.

E con questo l'anima di Keawe fu liberata dal patto col diavolo.

Poi è la volta dell'angelo di fare un passo accostandosi al demone.

-E dunque, a cosa ti è servito il nichelino?

-Il nichelino? - ripete il demone ghignando - Ma è servito solo a fare della letteratura.

 

http://www.youtube.com/watch?v=v8F0PCasMhI

 

http://www.marcodeli...L-Stevenson.pdf

Modificato da zefiro
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  • 2 mesi dopo...
Ospite RickCT75

La leggo solo ora perchè sono stato in vacanza a pescare davvero. E' davvero una bella storia! Anche le metafore sono azzeccate e tutte piene di senso...

Bravo Zefiro! :clapping:

P.s.: Di sicuro l'orata di circa 3 kg che ho strappato l'altro giorno ad Augusta (Siracusa) non era indemoniata come i pesci di Keawe: infatti l'ho colpita "alta" da soli 2 metri di distanza e si è liberata quando l'avevo quasi bloccata in mano... L'avranno aiutata tutti gli angeli del paradiso!

:bye:

A presto metterò una nuova storiella

Modificato da RickCT75
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