Home » Pesca in Apnea » Interviste » I Profili di Apnea Magazine: Paolo Cappucciati

I Profili di Apnea Magazine: Paolo Cappucciati


Un bel primo piano del veterano ligure – Foto A.Balbi

Paolo Cappucciati, nato il 21/10/1955 a Piacenza, quindi lontano dal mare, è sposato, ha un figlio di 17 anni ed è sommozzatore di professione.
Pratica la pesca in apnea praticamente da sempre, e effettua immersioni con le bombole da ormai 34 anni.
Ha fatto di tutto: dal corallaro al raccoglitore di mitili, frutti di mare, vermi; tutte le attività che potevano essere svolte in mare lui le ha sperimentate.
Ha disputato il primo campionato individuale nel 1981 e, a seguire, una notevole quantità di campionati di prima e seconda categoria, coppa Europa, due campionati del mondo, due europei e trofei internazionali.
Attualmente si occupa anche di istruzione e fa corsi di pesca in apnea ed anche ARA; per un determinato periodo è stato titolare di un negozio di attrezzature subacquee.
Si diletta anche con la fotosub e con il videosub. Per quanto riguarda i video si sta dedicando prevalentemente alle riprese notturne per una questione di tempo, visto che di giorno deve lavorare.
Lui e gli altri soci del circolo federale di Spotorno, l’Olimpia Sub, si occupano perfino di educazione nelle scuole. Nel circolo si interessano anche di ambiente, infatti l’11 giugno si sono dedicati ad una giornata rivolta alla pulizia dei fondali antistanti il paese in collaborazione con altre associazioni.
L’abbiamo incontrato a Bosa in occasione del campionato di prima categoria e ha accettato volentieri di rispondere alle nostre domande.

A proposito di ambiente, vedi un contrasto tra la sua tutela e la pesca in apnea?

Ma no, non vedo contrasto. Per cominciare il prelievo dev’essere un prelievo intelligente: non prelevare pesci troppo piccoli e comunque non prenderne troppi.
Posso citare un aneddoto risalente al 2000 o al 2001, non ricordo di preciso. Durante una delle mie solite immersioni con le bombole notai immediatamente la spongina che creava un velo bianco e che, dopo qualche giorno, si staccava addirittura dalle rocce: un chiaro sintomo di una moria di spugne in atto. Rimasi colpito e allarmato dalla cosa e interpellai addirittura i biologi dell’Università di Genova. Un mio allievo allora arrivò a dirmi che gli sembrava quasi una mia faccenda personale e gli dissi che infatti lo era, anche la moria di un singolo organismo per me lo è.
Per fare un altro esempio vi posso parlare di quando andavo a pescare in Francia (prima lo facevo più spesso, ora un po’ meno).
Premetto che nella zona di Antibes accade di trovare il corallo rosso già a 13-15 metri.
Ebbene, durante una riunione del circolo A.S.A di Antibes del quale sono socio, chiesi al presidente da quando aveva avuto inizio la moria di corallo.
E lui mi rispose: “Quale moria?”.
Questo per sottolineare la differenza con la quale io posso vedere il fondale.
Pur andando a pescare, mi piace guardarmi in giro e avevo notato come, mentre prima in alcune grotte c’era tutto un fiorire di rami di corallo, a distanza di due anni tantissimo corallo era ormai morto e colonizzato da alcune spugne che prendono il sopravvento appena questi organismi muoiono. Era rimasto in vita solo un 10-15% di corallo e queste sono cose che colpiscono subito la mia attenzione, mentre loro non se ne erano neanche accorti.

Cappucciati all’assoluto di Bosa col suo fido barcaiolo Michele Marchisio- Foto A.Balbi

Ci hai detto che hai partecipato al primo campionato italiano nel 1981, ma la prima gara in assoluto quando l’hai disputata?

Eh, questa è una bella domanda. Alla prima gara avevo 22 anni, quindi sono passati 28 anni.
Io comunque sono arrivato abbastanza presto alla prima categoria, perché allora ci si poteva arrivare direttamente dalle selettive. Avendo fatto dei buoni punteggi avevo partecipato al campionato di Manduria in Puglia e quindi, arrivatovi decimo, ero entrato anche nella nazionale. Ricordo che Dapiran si qualificò nono, Martinuzzi ottavo e vinse Bacci. Insomma, ho pescato con metà della storia della subacquea italiana.

Dato che sei da 28 anni nell’ambiente dell’agonismo italiano, sei in grado di farne la radiografia. Come valuti le ultime evoluzioni e secondo te dove stiamo andando?

Secondo me ci sono un po’ di incongruenze. Per esempio in certe situazioni si spingono le gare a nuoto ed in altre situazioni ci si scontra con i limiti della formula a nuoto (FAN), nel senso che secondo me la FAN va bene solo in alcuni posti dove il fondale è adeguato. Per adeguato intendo un fondale in cui si possa entrare da terra e dove si possa restare almeno 3 ore su 4 non dico sul pesce, ma almeno su zone pescabili.
Non è facile anche se qui a Bosa sarebbe il caso, a me infatti ieri è capitato di entrare in acqua da terra e di trovare dei pesci che avrei potuto prendere tranquillamente.
C’è poi il discorso, che personalmente non condivido, del riposo di mezz’ora… perché secondo me la pesca in apnea è anche un gesto atletico. Già abbiamo ridotto le gare a 4 ore… io sarei più per le cinque, perché uno in un’ora, un’ora e mezza, può anche ribaltare il risultato o aggiustare una giornata cominciata male. Quattro ore sono veramente poche, se poi ci metti anche un riposo di mezz’ora si snatura il senso stesso della competizione. Se poi hai problemi di compensazione, dopo la pausa è facile che ne abbia ancora di più rientrando in acqua.
Quindi ci sono diverse cose che non condivido. Generalmente mi adeguo ai regolamenti perché tutto sommato me li faccio andar bene, però vedevo meglio un discorso di gara fatta a nuoto su cinque ore consecutive. Forse sarebbe l’ora di mollare i gommoni e prendere grosse barche, che tanto in questa stagione sono vuote perché abbiamo tutte le barche dei diving o di quelli che portano in giro i turisti inutilizzate. Potremmo tranquillamente caricare tutti a bordo e uscire in mare con la plancetta, costerebbe di meno a noi e forse un po’ di più all’organizzazione, ma metterebbe tutti sullo stesso piano.
Altro punto dolente è la preparazione del campo gara: se il campo gara non va preparato prima, non va preparato. Invece so che ci sono state discussioni sul fatto che alcuni atleti sono stati visti anche se poi ovviamente negano, ci vorrebbe un controllo ferreo effettuato almeno due mesi prima. Anche se è logico che chi abita in zona sulla carta è avvantaggiato.

Chi dovrebbe fare questo controllo?

Lo potrebbero fare tranquillamente le forze dell’ordine. Controllare sistematicamente nei due mesi precedenti la gara, tanto in periodi come questo, da marzo a maggio, non è che ci vada tanta gente in mare. In zone come questa, ma anche in altre, dato che provengo direttamente dalla Corsica e non ho trovato mai più di tre gommoni in mare, salvo noi della gara adesso non c’era nessun altro. Eppure pescatori locali ce ne sono…
Certo, non è facile perché poi può venirci l’amico che apparentemente non ha nessun collegamento con l’agonista, ma almeno non il diretto interessato.
Questo lo dico non per fare della polemica, ma per chiarire che capisco che tutto ciò è anche un po’ fisiologico; io non credo che lo farei, perché non rientra nel mio modo di vedere le cose e poi perché non ne avrei il tempo.

A bordo dell’inseparabile Corsair 480 con guida a barra – Foto A.Cardella

Torniamo al Paolo Cappucciati pescatore. Ci sono alcuni dati che l’appassionato ama conoscere: capacità polmonare, la tua tecnica di pesca preferita, fucile più utilizzato’ parlacene più in dettaglio.

Ah guarda, francamente non lo so, una volta avevo 8,5 litri di capacità polmonare ma ora si sono sicuramente ridotti con l’età.
Per quanto riguarda la mia tecnica di pesca preferita, io sono sicuramente un agguatista, è così che pesco preferibilmente, ma mi adatto benissimo alla tana e all’aspetto. Anche se mi rendo conto che all’aspetto non ho una grande pazienza, perché quando sono giù invece di stare bello fermo e immobile, comincio a guardarmi in giro, guardo verso le pinne’ e mi rendo conto che questo è legato all’esperienza, nel senso che tutto quello che uno fa dopo un po’ di anni che va a pesca lo fa in maniera anche inconscia, perché ormai si è rivelata la cosa più produttiva. A me capita tranquillamente di essere all’aspetto, poi di curiosare dentro uno spacco, e sono capace di sparare con un 110 pneumatico bi-aletta in tana, lo faccio senza problemi. Per cui mi adatto alle condizioni di pesca più disparate. Per esempio, sono di rientro dalla Corsica e lì ho fatto alcuni giorni di agguato al pesce bianco per poi trascorrere gli ultimi due giorni all’aspetto ai dentici e ne ho preso uno di 5Kg e uno di 7Kg.
Il mio fucile preferito è un 110 ad aria e qui vorrei fare una precisazione: io uso anche arbaletes, ma noi che apparteniamo alla vecchia guardia, e posso dirlo nel senso che ormai sono tutti più giovani, abbiamo sempre usato i pneumatici.
Però l’anno scorso, caricando un arbalete, ho avuto un incidente perché mi sono fatto male alle cartilagini dello sterno subendo uno schiacciamento, e quindi non potevo più armarlo. Di conseguenza consiglio a tutti di non caricarlo poggiandolo direttamente sullo sterno ma su un pettorale per un discorso di compressione, perché non è infrequente l’indebolimento o la rottura di qualche cartilagine dato che tendiamo a caricare gomme molto forti su un punto che in realtà forte non è. Lo sterno infatti non è un punto molto robusto, mentre il pettorale sicuramente lo è maggiormente e può anche essere contratto per supportare lo sforzo. Non a caso a mio figlio consiglio di fare così ma lo consiglierei a tutti.
Quindi, in conseguenza di ciò, ho rispolverato un 110 ad aria e alla prima uscita ho fatto 3 tiri fulminando 3 pesci: l’imprinting, se così possiamo chiamarlo, è rimasto.
In principio, negli anni 70, ho cominciato con i fucili ad aria come tutti, poi ho avuto una parentesi di un paio d’anni con degli arbaletes e successivamente, grazie a Valerio Grassi di cui sono molto amico e che mi aveva dato da provare prima il T20 96 e poi il 106, sono passato lentamente ai fucili ad elastico.
Però per quanto riguarda la pesca in tana sono un convinto sostenitore dello pneumatico corto con la fiocina, perché è in assoluto il più veloce e il più pratico come utilizzo.
Rammento una gara con partenza da terra che disputai in Francia, eravamo ben 126 coppie. Avevamo “schiacciato” i saraghi sul fondo e alcuni si erano infilati malamente in tana, anche in buchi facilissimi. Io ne sparai tre in un tuffo e mentre i francesi, con i loro arbaletes con tahitiana, sparavano un colpo io ne sparavo 5. Infatti con l’arbalete devi disarpionare il pesce riposizionare l’asta, sistemare la sagola e poi caricare mentre col pneumatico togli il pesce, ricarichi e puoi già sparare.
E poi secondo me c’è anche un’altra considerazione da fare: il fucile pneumatico lo puoi caricare a piacimento perché puoi ridurre la potenza, quindi lo puoi precaricare anche parecchio. Quindi se arrivi in tana e ti trovi un pesce di 3 chili, un’orata di grosse dimensioni oppure un grongo di 8-10Kg, lo puoi fulminare anche con la fiocina. Addirittura una cernia di 7-8Kg, colpita nel punto giusto, può essere catturata.
Vi racconto un altro aneddoto: in un campionato, credo nel 1988 a Porto Ottiolu, Rusticali aveva sparato a un dentice di 8,5Kg che sostava nella posidonia usando un ministen e la fiocina mustad classica. Ebbene, questo dentice fu pesato con la fiocina addosso e poi si fece la differenza pesandone a parte un’altra perché levarla era veramente difficile, avrebbero dovuto fare un macello e il pesce avrebbe perso di peso. Questo per farvi capire la capacità di tenuta della fiocina sparata da uno pneumatico.

Cappucciati durante la premiazione dei campionati italiani 2006 – Foto A.Balbi

Le tue prede preferite?

A me piace il dentice, secondo me è un po’ la tesi di laurea di qualsiasi pescatore, però mi piace anche catturare le ricciole per la reazione che hanno, e trovo divertentissima la cattura della palamita, anche se ha il problema di aver la carne molto tenera e quindi la devi colpire assolutamente bene, limare le alette per evitare che taglino e comunque recuperarla subito; infatti con questi pesci, secondo me, uno degli errori che non bisogna commettere è quello di filare il mulinello: recuperando la preda velocemente la carne si lacera ugualmente, ma magari se riesci ad afferrarla per la coda hai un punto di buona tenuta.

Che attrezzature usi?

Io uso attrezzatura Sdive, che è il mio sponsor, in particolare le pinne in kevlar-carbonio che sono morbide ma molto molto elastiche e durature, nel senso che sono pinne che uso ormai da quasi tre anni ininterrottamente su tutti ti tipi di fondali, anche uscendo da terra in inverno, e che non hanno mai presentato il minimo problema mantenendo l’elasticità nel tempo. Pinne relativamente morbide perché nel tempo c’è stato un ritorno alla pinna più confortevole, dato che le articolazioni delle caviglie, delle ginocchia e delle anche ne vanno un po’ a soffrire, quindi preferisco pinne morbide ma che spingono bene.
Per la muta uso quasi tutto l’anno pantaloni da 5mm e giacca da 7mm o anche 8mm, anche d’estate perché incontro sempre un discreto termoclino e mi capita spesso, mentre eseguo tuffi a 15-16 metri, di trovare una variazione di temperatura anche di 5 o 6 gradi. Io sono freddoloso e ne risento.
Oltretutto il fatto di avere una muta di grosso spessore che ti aiuta nella risalita è un vantaggio: visto che io uso poco piombo, il beneficio lo riottengo con gli interessi quando risalgo.
Come maschera uso uno di quei modelli senza telaio e purtroppo un po’ grossa di volume, ma io ho un profilo abbastanza particolare e non ci sono alternative; ho penato per anni perché prima usavo la mitica Falco della Technisub ma dopo più di vent’anni di utilizzo mi sono dovuto arrendere al fatto che non la producevano più.
Guanti e calzari senza eccezione perché c’è sempre un doppio discorso di protezione termica e meccanica. Meccanica perché le pinne ti posso procurare abrasioni ed anche una piccola in acqua diventa un cratere. I guanti li raccomando assolutamente per il discorso del caricamento del fucile, perché senza è molto più pericoloso.
Per quanto riguarda i fucili io uso un corto pneumatico da 50cm con la fiocina per la tana, e poi un 75 con elastici morbidi e k4 (quello che poi ho adoperato nella seconda frazione qui a Bosa), un 90 e un 110 per le uscite normali. Ammetto che se fosse per me userei sempre il 110 ad elastico; se arrivo in un posto sconosciuto entro proprio col 110. In gommone ho quasi sempre un 75 e un 90, quest’ultimo l’ho riscoperto negli ultimi anni perché comunque è molto versatile, ti permette tiri abbastanza lunghi.
Comunque difendo il 110 perché mi capita spesso di far lasciar avvicinare molto i pesci, scegliere quale prendere e se prenderlo, addirittura mi permetto il lusso di aspettare che si giri e cominci ad andarsene e, se nel frattempo non è arrivato niente di più appetibile, allora sparo prendendolo dalla coda verso la testa.
Raramente uso anche il 130 con doppio elastico in casi proprio eccezionali; è sicuramente un fucile divertente, però è anche molto impegnativo. Io invece sono per le cose molto pratiche, infatti le mie armature sono molto essenziali: le impiombature molto strette, nylon piuttosto grosso -io uso solitamente il 180, permette delle grosse trazioni e si consuma più lentamente… tenete presente che un 180 tiene anche trazioni di 115Kg! Questi accorgimenti mi permettono anche caricamenti molto veloci.
Poi naturalmente ho anch’io le mie ‘cabale’, tipo: il nylon nell’asta deve passare da sinistra e uscire da destra’ Queste sono delle fisse ma serve tutto a far sì che si instauri un automatismo che in acqua è importantissimo in generale ma soprattutto in gara.

Il carniere di Paolo alla prima frazione del campionato italiano – Foto A.Balbi

C’è un aneddoto che ricordi con più piacere rispetto ad altri?

Guarda, l’ho raccontato l’ultima volta a Carlo Lo Vicario ed è un aneddoto riguardante un campionato. Mi è capitato di andare a Cala Gonone con mia moglie, parliamo di circa 18 o 19 anni fa. Dovete sapere che a me piace pescare sia fondo che nella schiuma, alterno queste tecniche con la massima facilità e mi adatto benissimo. Tra l’altro, più che lo schienalino utilizzo la doppia cintura, perché è più veloce da mettere o togliere in caso di necessità.
Tornando alla preparazione, ricordo che trovai una bellissima zona decisamente fonda, sui 32-34 metri, dove c’erano tanti pesci, però decisi di variare scegliendo di andare a terra, al punto di entrare in una delle grotte che ci sono in quella zona. Quando mi addentrai nella grotta, avente fondo di sabbia e 7 o 8 metri di profondità, vidi due corvine sulla destra che stavano davanti ad una specie di cunicolo che si approfondiva parecchio. Feci un tuffo, le seguii e queste si infilarono nel cunicolo andando avanti per parecchi metri. A quel punto tornai indietro perché non era un tuffo molto sicuro, dato che il cunicolo andava verso l’alto. Quindi io avrei dovuto scendere, andare in alto e poi riscendere per venire fuori. Poi, non mi chiedete perché, mi venne in mente di arrampicarmi sulla roccia che delimitava l’acqua dall’aria. Quindi mi tirai su, impugnai la roccia, camminai prima un po’ curvo e poi un po’ più dritto, ormai al buio, e trovai prima un buco piccolo, poi uno un po’ più grande e poi un altro ancora più grande in cui pensai di poter passare. A questo punto come in un passo d’uomo di una nave mi calai, mi guardai intorno e trovai le corvine a 70-80 centimetri di distanza. Mi dissi: ‘va bene così’, uscii e tornai da mia moglie che mi aspettava ormeggiata dentro la grotta e ce ne andammo.

Il giorno della gara partimmo verso il largo, presi due cernie, un’orata grossa, dei saraghi e dei tordi e poi, a un certo punto, pensai di andare nella grotta. Io e il mio barcaiolo ancorammo, dopo una nuotata entrammo entrambi nella grotta, mentre lui mi illuminava da fuori io, preso un bel respiro, entrai nel passo d’uomo col ministen e fiocina, mi girai e presi una corvina da 1,4Kg, riemersi e uscimmo dalla grotta, nuovamente a nuoto tornammo in gommone e ci allontanammo per riprendere a pescare altrove!
Credo che sia un aneddoto quasi unico. Non domandatemi come mi sia venuto in mente ma è successo. E qui spezzo una lancia a favore di una delle cose che non deve mai mancare a un pescatore subacqueo: la fantasia. È una delle doti più pregevoli e importanti che bisogna avere, insieme alla determinazione, perché ti permette di catturare pesci dove, in condizioni normali, non ne cattureresti.

Le tue prede più grosse?

Sopra a tutte sicuramente una ricciola di 43Kg, poi un dentice di 9Kg, una rana pescatrice di 25Kg, un sarago di 1,8Kg, una spigola di 7,4Kg, una cernia di 23Kg, un’orata di 5Kg e via dicendo’ Diciamo che ho avuto belle soddisfazioni anche se c’è chi ha sicuramente preso pesci più grossi, ma c’è da tenere in considerazione che io pesco quasi esclusivamente in Liguria, nella zona di Savona, quindi con dei limiti legati a diversi fattori: inquinamento, sfruttamento intensivo della pesca e negli ultimi anni una migliorata qualità dei pescatori in apnea, quindi maggiore concorrenza ma anche più gente che ha fatto corsi anche con il sottoscritto: non essendo geloso dei posti spesso porto i miei allievi nelle mie zone, nelle mie tane, negli spot di pesca migliori. È quindi logico che il sabato e la domenica sia un piccolo dramma anche per me andare a pesca.

Quindi non sei pentito di queste scelte?

No no, anche perché per me è un piacere. Con i miei allievi mi sento anche a distanza di anni, c’è sempre un ottimo rapporto, ci vediamo, organizziamo cene. Sono cose che non penso siano tanto comuni nel nostro ambiente.

Come abbiamo visto sei da anni nell’ambiente della subacquea. Quindi conosci anche l’editoria del settore e saprai che c’è stato anche l’ingresso di internet, infatti Apnea Magazine ha praticamente realizzato una cronaca online del campionato di Bosa. Cosa ne pensi di questa nuova risorsa?

Io sono sicuramente d’accordo sulla diffusione dell’informazione anche per un discorso culturale tutto mio. Logicamente, parlando in generale, dev’essere un’informazione corretta, imparziale perché basta mettere una parola al posto di un’altra che cambia completamente il significato di ciò che uno dice.
Per quanto riguarda i forum ho qualche appunto da fare perché spesso l’ultimo arrivato, nascosto dietro una tastiera, può dire quello che diamine vuole e comunque non è possibile ‘pesare’ chi scrive cosa. Considerate che io parlo da persona non esperta di internet ma quel che voglio dire è che se leggo sulle riviste e mi documento posso dire la mia. Ma se è giusto e sacrosanto che ognuno possa dire la sua resta il problema che c’è chi esprime la propria opinione senza avere sufficiente cognizione di causa. Perciò trovo che questo sia un limite dei forum.

E invece, parlando dell’e-zine, saresti disposto a collaborare compatibilmente con i tuoi impegni?

Se questo è un invito ben volentieri! Un itinerario, un punto di vista, un articolo tecnico, ecc’
Io vi ringrazio e accetto ben volentieri.

Ti prendiamo in parola e attendiamo di rileggerti presto e con piacere sulle pagine di Apnea Magazine!


Il campione ligure in azione – Foto P.Cappucciati

La gara è terminata e Paolo scambia pareri con gli avversari – Foto A.Balbi

Paolo Cappucciati ripreso in una curiosa espressione prima della partenza – Foto A.Balbi

Il rientro in porto alla fine della competizione – Foto A.Balbi

Occhi puntati sulla bilancia: è in corso la pesatura – Foto A.Balbi

Cappucciati in compagnia di De Silvestri allo scorso campionato di seconda categoria – Foto A.Cardella

Si discute di tattica di gara con Carlo Lo Vicario o si ricorda il passato? – Foto A.Balbi

Tags: , ,

Category: Articoli, Interviste, Pesca in Apnea

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *