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È Successo in Gara: Fabio Antonini Vince l’Assoluto a Suon di Saraghi

 

Fabio Antonini recupera una stupenda orata. (foto AM)

Quello che vi sto per raccontare è il mio primo Assoluto vincente: non potrò mai scordare quelle giornate e tutti i risvolti. Era il Settembre 1994 ed il Campionato si disputava nello splendido scenario della Costa Smeralda. Avevamo 10 giorni di preparazione, ma per un guasto al motore persi due giorni ed un altro (l’utimo) lo impiegai per andare a prendere la mia famiglia. Dunque, coadiuvato dal mio secondo Graziano Sanna, preparammo per sette giorni.
Il primo campo gara era situato a nord da Capo Ferro fino a Porto Liccia ed il secondo andava da Porto Liccia fino ad appena oltre l’Isola dei Soffi. Fu una ricognizione entusiasmante, perché il pesce era abbondante e si trovava a tutte le quote: si trattava di un campo gara veramente adatto ad una prova di così alto livello. C’era moltissimo pesce bianco, in particolar modo saraghi, ma vedemmo anche cernie, dentici, ricciole eccetera, e segnai pesce sia a terra che a fondo.
Ogni tuffo era un’emozione e pian piano il taccuino delle mie mire cominciava a riempirsi.
Sul primo campo gara, nei pressi della Secca del Cervo, trovai una zona granitica che moriva a circa 28 metri, i cui spacchi più angusti erano pieni di saraghi pigiati uno sull’altro.
Successivamente, fuori dalla secca scoprii un altro posto con una piccola franetta a 32 metri. C’erano un cernione, 2 orate da 4 chili e ancora un pullulare di saraghi. Ma non era ancora finita, anzi il bello doveva ancora venire: mentre facevo paperino nel canale tra i Soffi e Mortorio, sul secondo campo gara, mi imbattei in un sommo che da 26 metri cadeva a 31 metri con almeno mille saraghi attorno, un cernia a coefficiente ed altri pesci. Mi trovavo in superficie, trainato dal paperino, e l’acqua limpida -circa 20 metri di visibilità- mi consentì di notare le specchiate di un branco di pesci a mezz’acqua. Mi fermai pensando ad un branco di tanute, ma immergendomi sulla verticale del branco notai che si trattava di una sterminata pallonata di saraghi… che al mio arrivo scese fino ad intanarsi in uno spacco. Erano talmente tanti che molti rimanevano fuori tutt’attorno. Mentre ero intendo a riprendermi dallo shock, sentii il rumore di un gommone che s’avvicinava: era Bellani. Vidi che si buttò 300 metri avanti a me e continuava a far tuffi venendo nella mia direzione. Fu il panico!
Decisi di andargli incontro con un nuoto forsennato e, quando lo raggiunsi, quasi si spaventò.
Mi disse che aveva appena trovato delle piccole risalite con qualche pesce e stava cercando se nei pressi ci fosse un sommo.
Cominciai un teatrino facendo il classico ‘pianto’ e gli replicai che erano 3 ore che ero in zona e non c’era nulla. Salii sul gommone e lo salutai. Per mia somma fortuna ‘ abboccò, infatti fece ancora un tuffo e poi s’allontanò.

Un bel tordo nero colpito in caduta. (foto AM)

Il giorno della gara arrivò e con esso speranze e tensioni.
Sapevo di poter fare un buon Campionato, ma allo stesso tempo pensavo che se avevo trovato io tutto quel pesce, chissà cosa potevano aver trovato i profondisti come Mazzarri, Cottu, Bellani eccetera.
Comunque io dovevo fare la mia gara e così iniziai: quando il giudice diede il via non dovetti neanche accendere il motore del gommone: ero già sulla mira.
Sulla stessa c’era anche Marco Bardi e quindi concordammo di scendere sulla tana affacciandosi in due buchi opposti senza danneggiarsi. Presi il Tempest 50 e fiocinai subito un sarago all’imboccatura. Lo stesso fece Bardi. Al secondo tuffo trovai un altro sparide appoggiato ad un sasso e ne anticipai la fuga fiocinandolo in caduta. Il terzo tuffo misi la testa nello spacco e nel torbido riuscii a fiocinare il terzo pesce. Un tiro al volo ad una sagoma argentea che rimase attaccata ad un sola punta della fiocina. Marco prese 4 pesci. Decisi così di fare il mio primo spostamento.
Mi diressi alla Secca del Cervo dove avevo una cernia e zone con diverso pesce bianco.
Il primo tuffo lo effettuai col T20 da 86 cm per cercare di colpire il serranide. Feci un paio di planate ma capii immediatamente che il pescione s’era spostato, probabilmente per colpa di una correntina di fondo che portava un po’ di sospensione. Allora mi feci passare il corto oleo e cominciai ad ispezionare i piccoli sassi e le crepe più minuscole attorno alla zona.

Cadde subito un bel maggiore da chilo che tentava di nascondersi dietro una piccola sporgenza rocciosa. Poi freddai un altro sparide mentre s’affacciava da una spacchetta per curiosare.
Successivamente feci una coppiola di saraghi con la fiocina. In questo spacco, alla base di un pietrone granitico, trovai 4 saragoni appiccicati nell’angolo del pertugio che si muovevano appena, sicuri di non essere visti. Sparai il primo, centrandolo, e due ardiglioni della fiocina fulminarono il testa anche quello dietro. Che tiro! A quel punto rivisitai il buco ma gli altri erano scappati.
Feci qualche giro attorno ma senza successo, così decisi di andare fuori la secca nella zona ricca di saraghi tra i 30/32 metri.
Iniziai con una planata sempre col T20 da 86 cm per vedere di catturare un pesce in caduta.
I saraghi erano ancora lì che facevano avanti ed indietro negli spacchi. Finì nella tahitiana un bel tordo nero e poi decisi di prendere il Tempest 50 per pescare “a tu per tu” nello spacco con gli sparidi. Se avessi fatto le cose perbene e senza fretta avrei potuto catturare diversi pezzi.
In questi casi un corto ad aria armato di fiocina è insostituibile.

Saraghi, corvine e tordi in un ricco carniere. (foto AM)

La profondità, di per sé rilevante, era resa più impegnativa da una fastidiosa corrente, e tutti questi tuffi sul filo dei trenta metri erano sempre più faticosi. Io poi non ho mai sganciato [la zavorra] per abitudine e quindi la fatica si fece sentire. In più a quei tempi non ero molto abituato a pescare a 30 ed oltre metri. Pensate che il patron della Omer, il Sig. Ciceri, passando di lì e vedendomi mi diede del matto e corse a terra a prenderemi 35 metri di sagolone per lo sgancio. Fu inutile perché così non riuscivo a pescare.
Per la cronaca da quello spacco tirai fuori ben 13 saragoni di cui l’ultimo (un pesce di 1,2 chili) fiocinato a 32 metri dopo averlo sparato, strappato e risparato. In pratica, mentre scendevo l’ho visto scapolare una pietra ed ho tentato di anticiparlo, ma quando mi sono affacciato era già oltre ed ho provato un tiro al limite. Colpito nei pressi della coda si è liberato, ma si è infilato in una pietra cieca. A quel punto ho ricaricato il Tempest 50 e, affacciandomi con cautela, l’ho fulminato. Tornato in superficie mi sentii un po’ imbambolato, allora risalii sul gommone.
Ero stremato ma avevo un buon carniere.
Decisi dunque di andare in una zona di medio fondo che avevo trovato in preparazione. Era un posto dove non avevo visto granché, ma in cui credevo di poter catturare qualche pesce al razzolo.
Negli ultimi 40 minuti di gara ho preso un altro sarago, due tordi ed una bella corvina, trovata in un buchetto assurdo tra la posidonia. Vedevo solo la coda che di tanto in tanto faceva capolino da questo spacchetto. Dopo diversi tuffi ho sparato alla coda, che per ua breve frazione di secondo m’è riapparsa, e sono riuscita a colpirla benissimo ed ad estrarla con grande soddisfazione.
Al rientro con 25 pesci validi fui primo di giornata, seguito da Mazzarri con 8.000 punti circa di distacco, da Bellani e da Bardi.

Fabio in azione. (foto AM)

Sono molto contento del risultato, ma ho anche la certezza che sarà dura comunque.
Ho molta fiducia in me stesso e anche per la seconda manche ho posti importanti sui quali poter fare affidamento.
Il giorno dopo siamo tutti radunati a Portisco e pronti per la seconda e decisiva frazione. Rispetto alla giornata precedente soffia un discreto maestrale che è dato in aumento.
Tutti a centro campo gara e dopo poco il giudice dà il via. La mia tattica è delineata: partenza a terra in una zona sui 15 metri con qualche pesce… soprattutto per depistare gli avversari. Solo successivamente andrò nel canale, sulla zona ricca di saraghi.
Mi dirigo velocemente a Cala di Volpe e mi trovo ad ingaggiare una corsa sfrenata con Stefano Bellani. Stefano m’anticipa d’un soffio sulla tana principale e la pedagna. Decido di pescargli attorno a una distanza tale da non disturbarlo.
Siamo in 14/15 metri d’acqua tra roccia e posidonia e Bellani comincia ad arpionare qualche bel sarago. Io girando intorno sfrutto al meglio la situazione e con una certa regolarità fiocino 4 bei tordi.
Ad un certo punto, mentre sono intento a razzolare, mi pare di vedere qualcosa tra la posidonia.
Comincio a fare qualche planata esplorativa osservando bene soprattutto al limite dell’alga.
Dopo poco scorgo le labbra bianche di una bellissima corvina intenta a mimetizzarsi. Mi avvicino con cautela e gli sparo: è un’esemplare di oltre 1.5 chili che ridendo mostro a Stefano.
A quel punto decido di spostami su una zona poco distante. Avevo visto girare qualche sparide e contavo di poterne catturare qualcuno. Il mare mosso comincia a farsi sentire e gli spostamenti sono parecchio rallentati.
Arrivo sulla zona e trovo Nino Piras che mi dice che sta disperatamente cercando un sommo sui 26 metri ricco di saraghi. Non perdo tempo e faccio qualche tuffo.
Il primo non mi frutta nulla, ma al secondo trovo lo spacco giusto e, dopo non poche peripezie visto lo spazio decisamente angusto, riesco a illuminare un bel sarago. Il pinnuto è nervoso e sparisce dietro gli angoli. Cerco di mettermi a testa in giù per sfruttare al meglio la visuale.
Il sarago passa veloce ma io sparo al volo e con precisione lo colpisco e lo estraggo.
E’ una cattura importante perché veramente difficile e l’azione mi carica parecchio. Il pesce è di 9 etti circa.
Ancora un paio di tuffi mi fruttano un altro sparide, questo trovato sotto un sassotto insignificante. Decido che è il momento di andare nel canale tra i Soffi e Mortorio. Arrivato sulla zona capisco subito che la faccenda sarà dannatamente complicata. C’è una corrente mostruosa tanto che devo pedagnare il posto con ben 5 chili di zavorra. Parto 100 metri a monte della corrente ogni volta che devo fare il tuffo. Per fortuna l’acqua è pulita. Siamo tra i 30 ed i 32 metri.
Scendo subito con un’arbalete da 90 cm per cercare di prendere un pesce in caduta. A pochi metri dal fondo vedo sul sommo un branco di dentici di 4/5 chili. Più sotto la solita pallonata di saraghi che fa avanti ed indietro tra le spaccature. Eseguo la caduta ma desisto dallo sparare al dentice.
Ho paura che, una volta colpito, possa andarsi a rifugiare negli anfratti sottostanti facendo scappare tutti i saraghi.

Una grande gioa a fine gara. (foto AM)

Punto un grosso sparide e lo colpisco a centro corpo, ma sfortunatamente mi si strappa la sagola ed il pesce, pur colpito bene, si libera della freccia e scompare. La caduta prosegue per recuperare l’asta…afferro la tahitiana e mi giro per risalire quando mi accordo di essere circondato da un paio di ricciole sui 20 chili!!
Torno sgomento il superficie e salgo sul gommone. Mi concentro, cerco di dimenticare, prendo il corto oleo e mi preparo a dare battaglia ai saraghi.
Comincio una serie di tuffi entusiasmanti. Ogni discesa equivale ad una risalita con un pesce.
La tattica è chiara: devo cercare di non entrare negli spacchi ma affacciarmi con cautela e cercare di fiocinare e fulminare gli sparidi più curiosi. Mi riesce per ben 17 volte e solo con l’ultimo sarago, anche a causa della stanchezza, un tiro basso mi costringe ad entrare nello spacco per recuperare il pesce.
Poco male: è l’ultimo tuffo. Ormai sono cotto ma il carniere è decisamente valido. Salgo in gommone e mi riposo per qualche minuto.

Manca mezz’ora circa alla fine della gara e decido di giocarmi l’ultima carta.
Ho una vecchia mira risalente al Campionato per Società di 4 anni prima. Si tratta di un ciglio in 25 metri d’acqua, fuori la Secca dei Poveri, con alla base una pietra che mi ricordo nascondeva pesce bianco.
Finalmente arrivo sul punto. Impugno ancora il Tempest 50 con la fiocina e mi preparo al tuffo.
C’è poca corrente ed una visibilità perfetta. Mentre scendo individuo subito il ciglio ed appena lo oltrepasso trovo una bella corvina che fa la sentinella davanti alla pietra.
Mi affaccio con cautela ma capisco che mi ha sentito. Le sparo al volo prima che s’intani e la fulmino. In risalita penso che dentro la pietra possa esserci qualche altro pesce. Altra ventilazione e sono di nuovo sul ciglio. M’affaccio e pratico un beve aspetto. Nulla.
Allora mi lascio cadere verso il sasso pronto ad affacciarmi a testa in giù.
Un attimo per abituarmi all’oscurità ed intravedo un movimento alla mia destra. Parte immediato il tiro e l’asta sobbalza. Afferro il tutto e tiro verso l’uscita, provocando la breve fuga di un bel cappone che s’adagia appena fuori lo scoglio. Risalgo con un altro stupendo corvo.
Manca poco alla fine e sono nuovamente sul sasso. Lo scorfano è ancora lì e poco dopo sul gommone.
Manca veramente pochissimo alla fine della competizione e mi appresto all’utimo tuffo, pronto ad esplorare la tana.
M’affaccio ed illumino bene il pertugio prima a destra, poi a sinistra. Intravedo la sagoma di una bella corvina che se la sta sfilando alla chetichella. Sparo il pesce e lo estraggo.
Volo in superficie e lo passo al barcaiolo. Salgo sul gommone per riposarmi ma, dopo un paio di minuti, il giudice dice che è finita.
Iniziamo a contare i pesci: ci sono 20 saraghi, 4 tordi, 4 corvine ed un cappone. Al rientro in porto è festa. Solo Bardi con 33 pesci ha fatto meglio di me oggi.
Sono per la prima volta nella mia vita Campione Italiano di pesca in apnea. E questo resterà per me un giorno indimenticabile.

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