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È Successo in Gara: Claudio Martinuzzi e Quella Cernia Impossibile!

| 26 Settembre 2012 | 1 Comment

Quattro o cinque anni fa intervistai il grande Claudio Martinuzzi. Ricordo che ripercorremmo in lungo ed in largo la sua carriera,  indugiando a lungo sui variegati risvolti del suo amore per la pesca in apnea. L’episodio che vado a proporvi fu quello che più mi colpì. Un racconto ricco di suspance, di energia e di valore sportivo, la vicenda di un uomo che visse un’avventura  incredibile al di là della mera conclusione. Un’avventura thriller e mozzafiato, una lotta quasi impossibile che questa volta si risolse (non senza patemi) a favore di un atleta che, indossando la maglia della Nazionale, forse, in quel preciso momento, andò oltre i suoi stessi limiti spinto da una padronanza tecnica, da una sicurezza nei propri mezzi, da una fredda cieca incoscienza ed un coraggio quasi inimmaginabili. Eppure questo era Claudio Martinuzzi, scomparso esattamente un anno fa, alla cui memoria la Redazione di Apnea Magazine dedica questo articolo con la convinzione che ai lettori verranno i brividi che lo stesso atleta provò in quei fatidici momenti. Buona lettura!

Ustica: Campionato Europeo 1977….

Quel giorno ero al massimo della condizione fisica e mentale. Venivo dal successo degli Assoluti dell’anno prima ed ero pronto per disputare alla grande questo Europeo. C’erano tutte le squadre più forti dell’epoca ed i migliori fucili. C’erano Amengual, Esclapez, Nanai, Zanki e, tra i nostri, il grande Santoro.

Ustica era un posto meraviglioso, con acqua sempre limpida e pesce in abbondanza ma molto smaliziato. Infatti viveva in frana ed era difficilissimo da insidiare. Inoltre, essendo Ustica tappa abituale per le gare più importanti dell’anno, la zona era molto conosciuta. Figuratevi che c’erano cernie che erano chiamate per nome, tipo Rosalia, Maria, Benedetta etc. Tutti pescioni visti per anni e mai presi.

Ma veniamo alla gara. Il fatto che vado a raccontarvi riguarda la prima giornata. Durante i pochissimi giorni di preparazione avevo deciso di impostare questa frazione su alcune cernie avvistate presso lo Scoglio del Medico (che insieme alla Colombara costituivano i due hot spot dell’Isola) e precisamente nella zona che guarda a terra. C’era una bella frana ed alcuni cigli interessanti.

La prima cernia catturata da Martinuzzi nella prima giornata dell’Europeo 1977 disputato ad Ustica (foto Mondo Sommerso)

Proprio su uno di questi cigli, in circa 21 metri di fondo, avevo visto questo cernione che, dopo aver seguito la mia caduta per qualche secondo, scodava ed andava rifugiarsi in un labirinto a prova di minatore. Avevo provato ad addentrarmi in quella impervia tana nella quale passavo a stento, ed ero riuscito anche a vedere dove la cernia andava a rifugiarsi, ma era troppo difficile e rischioso e l’opzione fu di lasciare questo segnale in caso di emergenza.

Certo un pescione di quella mole portava tanti punti ma, ripeto, per me era una seconda scelta. Al via venivamo trainati da pescherecci a centro campo gara, ma in quell’occasione il nostro ebbe dei problemi e, per non perdere tempo prezioso e raggiungere il prima possibile la zona che tutti conoscevano, chiesi ai carabinieri di darmi un passaggio. Arrivai sul punto e ci trovai  Amengual  e Esclapez che già pescavano da 5/10 minuti. Esclapez aveva due saraghi ed Amengual stava lavorando una cernia.

Il mio primo segnale era un bel serranide di una dozzina di chili che solitamente sostava sotto un ciglio per poi andarsi a rifugiare più all’interno e sparire. Avevo scoperto un’altra apertura dalla quale gli potevo vedere la testa e, con un po’ di lavoro, lo avrei potuto estrarre. Come in un film già visto, tutto andò come immaginavo e, nonostante la discreta corrente ed i 28 metri di fondo, dopo 6 tuffi portai il pesce in barca. Ero bello carico. Catturare un bel pesce senza grossi problemi è un bello scarico d’adrenalina. Intanto Esclapez aveva 4 saraghi ed una cerniotta ed Amengual aveva a bordo già due bei serranidi, un tordo ed una mostella. Il pesce bianco era scarso e smaliziatissimo in quella zona, ma questi due fenomeni erano vere e proprie macchine da pesca.

Nel frattempo io continuavo a visitare la zona senza successo. Avevo un paio di cernie ma non riuscii a ritrovarle, mentre in testa mi ronzava l’idea di andare su quel bestione impossibile: una preda a coefficiente da ben 15.000 punti. Io avevo un difetto che poi poteva diventare un pregio: i pesci difficili me li legavo al dito. Tante volte sono stato premiato, altre volte ho compromesso la gara, ma ero così: difficilemente avevo mezze misure. O bianco o nero.

Tornando alla gara, nel frattempo riuscii a catturare una cernia di 7 chili circa con un clamoroso tiro al volo nei meandri della frana e poi decisi di spostarmi sul ciglio della cernia impossibile. Giunto sul posto, programmai bene la discesa e l’azione di pesca. Dovevo stare attento perché con un errore…. da quel buco non sarei più uscito. Già dalla superficie vidi che m’aspettava in candela come sempre. Impugnavo un oleo da ottanta centimetri molto carico e con un robusto arpione. Sapevo che non avrei mai potuta spararla in caduta, quindi lasciai il Supersten in barca.

Martinuzzi premiato al Campionato Italiano 1978 di Capo Rizzuto (foto R. Borra)

Mi ventilai bene, feci la capovolta e venni inghiottito dal blu cobalto di quelle splendide acque. Tutto era programmato: 30 secondi circa per arrivare sul fondo, una volta dentro avevo calcolato che tra andata e ritorno non avrei dovuto starci più di 20/22 secondi, e poi un’altra trentina per risalire. Mi ero lasciato un margine di 5/10 secondi per eventuali imprevisti.

Anche questa volta quando ero a mezz’acqua, come da programma, il cernione scodò e sparì nel suo inespugnabile labirinto. Mi affacciai al buco, mollai il sagolone col pedagno nei pressi e cominciai ad entrare. Ricordo perfettamente che il mio corpo passava a stento. Entrando sentivo chiaramente le pareti del buco premere su pancia e schiena. Con un movimento del diaframma facevo arretrare la zona addominale per agevolare il passaggio del busto. Però sapevo anche che passato il busto all’interno avrei avuto un po’ più di spazio per muovermi. In certi punti era parecchio buio e mi aiutavo illuminando con la torcia, in altri sfruttavo alcune lame di luce che penetravano dall’esterno. Una volta dentro col corpo il budello sgomitava 90° circa a sinistra per circa 7/8 metri. Poi passavo di pancia un sasso posto al centro di questa strada immaginaria e successivamente, qualche metro più avanti, trovavo l’ostacolo più complicato: un altro pietrone quasi tondo che pareva precludere ogni tentativo di avanzamento.

Nei giorni di ricognizione, però, avevo scoperto che girandomi di schiena risuscivo a passare il massone attraverso un piccolo pertugio triangolare che si formava tra lo stesso e la volta, sul lato sinistro. Superato il varco, mi lasciavo cadere sul fondo e , percorsi pochi metri, raggiungevo un camino che saliva verso l’alto dove il pescione si andava a posizionare. Erano manovre che con le pinne in gomma di una volta era possibile effettuare ma che sarebbero impensabili con le pinne in carbonio o altri materiali rigidi usati oggi: ci si incastrerebbe inesorabilmente.

Il primo tentativo fu vano. Il pesce era messo male ed il colpo non sarebbe mai stato efficace. Quindi rinunciai e con una manovra molto delicata riuscii ed uscire dal budello e riguadagnare la superficie. Ci sarei tornato più tardi.

Cominciai a pescare nella frana e riuscii a catturare un altro bel serranide, mentre Esclapez portava su pesce bianco a ripetizione ed Amenugual si era spostato ma aveva preso un’altra cernia. Quaranta minuti dopo mi riportai sul posto, pronto a ripetere la manovra d’avvicinamento al budello.

Entro ed inizio ad avanzare verso il camino: passo l’ultimo sassone di schiena e m’affaccio al sifone. Il cernione è lì e stavolta mi dà il muso. Allungo il braccio e sparo ma, proprio nel momento in cui parte l’asta il serranide fa un movimento ed il dardo gli si va a piantare tra il labbro e la guancia… e qui succede il finimondo. Nel tentativo di fuggire, la cernia mi si butta contro con l’asta che sembra una baionetta. Mi colpisce almeno due volte. Sento nitidamente il suo corpo. Io supino ed impossibilitato a qualsiasi manovra incrocio le braccia sul viso a protezione della maschera e vedo l’asta passarmi a pochi centimetri dal viso almeno 3/4 volte, se  la maschera si fosse rotta…. lì dentro ci sarei rimasto.

Il serranide ritorna verso l’alto e l’ultima immagine che ho, prima di ritirami dalla caverna, è quella del cernione che non riesce ad entrare in un taglio del camino a causa dell’asta che glielo impedisce. Fortunatamente il terreno non è fangoso e, nonostante il trambusto, la visibilità rimane buona. Il percorso a ritroso è automatico ma sono ancora frastornato per l’accaduto. Nella mia vita mi ero trovato a tu per tu con la mia anima nei buchi almeno un altro paio di volte, ma questa è stata veramente la più pericolosa.

Un’altra immagine di repertorio di Martinuzzi con una cernia appena catturata (foto Ghisleri Sub)

In superficie ripenso all’accaduto e comincio a ragionare. Ormai il conto è aperto ed ora so che la cernia è in difficoltà e scoperta. Lascerò calmare la situazione e poi riproverò. Mancano 2 ore circa a fine gara ed ho 3 cernie. Gli altri si sono allontanati e nei paraggi ho solo alcuni atleti minori di cui non mi preoccupo. Sono pronto per risolvere la situazione nella “tanaccia”.

Scendo e ripeto, con molta calma, tutta la manovra da quadro svedese in quel labirinto di roccia. Mi affaccio con cautela al sifone e vedo la cernia vicina, appoggiata ad una rientranza del camino nel goffo tentativo di mimetizzarsi. Prendo con calma la mira e sparo.

Il colpo questa volta è letale ed il bestione sbianca prima di cadere a peso morto verso di me in basso. Con un piccolo arretramento evito che mi finisca addosso. L’afferro per le cavità orbitali e mi accingo ad uscire. La parte più difficile arriva ora: devo passare il masso che ho davanti andando all’indietro e col pesce a rimorchio. Ho paura che non passi dal buco tra il sassone ed il soffitto. Faccio passare le gambe (mettendomi quasi in verticale), il bacino, il busto ed, una volta al di là mi giro e tiro la sagola verso l’alto. Un’asta gli impedisce lo scavalcamento. Sarò costretto a fare un’altra immersione per svitare l’arpione e toglierle il ferro di dosso.

A quel punto il pesce passa senza problemi e, una volta al di qua, tutto è più facile. La porto in prossimità dell’uscita, la spingo fuori e poco dopo la seguo. Arrivato in superficie sono in estasi e esplodo di gioia. Poco prima della fine della manche catturerò un altro serranide concludendo primo con 5 cernie davanti ad Esclapez, con due cernie e diversi saraghi, ed Amengual con 3 cernie e 4 pesci.

Quel cernione “impossibile”, che con i suoi quasi 21 chili e 15.000 punti sarà la preda più grossa dell’Europeo, risulterà decisivo per quella prima giornata e per il titolo. Nella seconda frazione mi piazzai secondo a pochi punti di distacco da Amengual con 6 cernie e diventai Campione Europeo per… quindicimila punti di distacco dallo spagnolo, che precedette un grande Esclapez per 2000 punti.

Tutte le fasi di questa cattura furono riprese dall’equipe della RAI capitanate da Danilo Cedrone. A quei tempi era consuetudine per la Radio Televisione Italiana seguire e riprendere le gare più importanti di livello nazionale. Tutto quel materiale ora sarà tra la polvere negli archivi storici sportivi dell’azienda, insieme a tanti altri momenti epici della nostra amata disciplina.

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Commenti (1)

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  1. walter indrigo ha detto:

    voi non avete neanche l’idea di quante volte ho sentito queste storie da Claudio ,eppure mi emoziona sempre e sono talmente impresse nella mia mente che rivivo i momenti di pesca e di gara come fossero i miei…grazie di aver messo questo articolo a nome del grande ed unico Claudio Martinuzzi!!!

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