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Barracuda: Cosi’ mi sono meritato il soprannome

| 7 Febbraio 2002 | 0 Comments

03/06/2001 Giornata con mare forza olio, dalle mie parti si usa dire “arbataliscia”. Finito di lavorare intorno alle 13:00 decido di impostare una battuta di pesca nei pressi di Torre S.Giovanni Marina di Ugento (LE), località nota ai più per essere stata teatro di alcune edizioni dei Campionati di pesca subaquea sia di 2° che di 1° categoria.

In questo posto conosco alcune zone di fondale raggiungibili agevolmente anche a pinne con partenza da terra, che in varie occasioni mi hanno consentito di realizzare dei carnieri di pesce bianco composti in prevalenza da saraghi, spigole e qualche orata.

Le quote operative non superano mai i 15 mt e il fondale morfologicamente si presenta con delle strisciate di lastroni affiancati, parallele alla costa. Entrato in acqua e raggiunta la prima strisciata di lastre intorno ai 7m, che è quella che conosco meglio, dopo qualche perlustrazione in tana e qualche aspetto mi rendo conto che oggi a questa quota non si vede l’ombra di un pesce.

Decido allora di sfruttare la bella giornata, che tra l’altro mi regala una visibilità in acqua superiore ai 15 mt e la quasi totale assenza di corrente, per ampliare la conoscenza di questo tratto di mare, quindi abbandono la prima zona e puntando verso il largo mi butto sul fondale debolmente degradante, caratterizzato da posidonia e sabbia.

Nel perlustrare zone sconosciute cerco di tenere una rotta a zig zag in quanto, dopo i molti anni di esperienza in perlustrazione partendo da terra a forza di pinne (non ho mai posseduto un mezzo nautico), mi sono reso conto che è il metodo che offre la maggior garanzia nell’avere un quadro dell’andamento del fondale più veritiero.

Ma oggi nonostante abbia gia percoso un sacco di strada non sono riuscito a trovare nulla di interessante, sembra non ci sia una pietra oltre la zona da me conosciuta. Alzo la testa dall’acqua e mi rendo conto che sono molto distante dal punto di rientro, sono su una profondità di 15m ad una distanza dalla costa di circa 1 mgl e ormai la buona volontà non è supportata dal risultato, così prendo la strada del rientro allargando comunque per non ripassare sulla stessa rotta appena percorsa.

Mentre nuoto in superficie ormai ubriaco di macchie di sabbia e posidonia, intravedo una sfumatura di colore differente sul fondale davanti a me sembrerebbe l’inizio di una serie di lastre di roccia. Speranzoso, mi dirigo in quella direzione e arrivato sulle prime pietre mi immergo per tentare un aspetto al limite della zona, metodo che uso sempre quando esploro nuovi fondali in quanto ritengo dia la possibilità di verificare se ci sono pinnuti nei paraggi e quindi di pianificare la tattica di pesca più idonea alla situazione.

Arrivato sul fondo intorno ai 13m mi appiattisco in mezzo a due lastre affiancate che formano un ottimo nascondiglio all’intera mia sagoma, compreso il mio fedele compagno di avventure, un master 96 omer della prima generazione, di quelli con il fusto verde per intendersi. Con molta discrezione comincio a guardarmi intorno, ma tra le lastre che si estendono davanti non noto nessun movimento di pinnuti. Passano circa una trentina di secondi e sto per abbandonare il nascondigio per andare a mettere la testa sotto una lastra invitante qualche metro più avanti quando sulla mia sinistra intravedo una sagoma che, sollevata di un paio di metri dal fondo, viene nella mia direzione.

Non capisco subito di che razza di pinnuto si tratti, è velocissimo e in men che si dica e d’avanti ai miei occhi: a circa tre metri dalla punta dell’asta ha rallentato l’adatura e si mostra in tutta la sua bellezza, di fianco. Ripresomi dalla sorpresa mi rendo conto che si tratta di un barracuda mediterraneo, o aluzzo, di dimenzioni notevoli; avevo avuto la fortuna di incontrarne altri in altre occasioni anche sui tre chili, ma questo e proprio fuori misura.

Alzo il fucile, inquadro e premo il grilletto che il pesce è quasi fuori tiro; riesco però a scorgere che l’asta a raggiunto l’obbiettivo ma, non avendo avuto molto tempo per curare la mira, il tiro è risultato basso, nel ventre dell’animale subito sopra le pinne ventrali.

Attimi di panico, in cui penso che sicuramente non riuscirò a trattenere quel pescione, e mi torna alla mente come un flash la mancata cattura di una spigola di circa 8 kg. avvenuta non molti giorni addietro, che ancora la delusione brucia.

L’avevo sparata bene ma non l’avevo trapassata e sicuramente non l’avrei persa se avessi avuto la brillante idea di allentargli il mulinello; come si dice che di ogni esperienza bisogna far tesoro, prima che il barracuda si renda conto di esser trattenuto e quindi si dia alla fuga, con la mano sinistra sblocco la frizione del mulinello e accompagno l’uscita del nailon collegato all’asta. Il pesce parte con tutta la sua rabbia verso il largo e subito ne perdo il contatto visivo mentre riguadagno la superficie. Giusto il tempo di riprendere fiato che i circa trenta metri di nailon nel mulinello sono finiti, e sono costretto a pinneggiare come un forsennato per non rischiare di mettere in tensione il pesce e quindi, con molta probabilità, perderlo.

Dopo una sparata di circa duecento metri “a tutta birra”, mi rendo conto che il barracuda ha rallentato un po l’andatura in quanto incomincio a recuperare filo.

Quando sono più o meno ad una quindicina di metri di distanza intravedo la sagoma che nuota sinuosamente verso il largo sollevato di un paio di metri dal fondo, che è tornato ad essere caratterizzato da macchie di sabbia e posidonia.

Il pesce denota una crescente stanchezza, anche perché la ferita si è allargata e gli fa perdere molto sangue, ma nello stesso tempo mi rendo conto che l’asta è penzoloni e tiene grazie al fatto che, essendosi rovesciata, la monoaletta è capitata nell’unico punto di tenuta e cioè sui tendini delle pinne ventrali del pesce.

Lo seguo dalla superficie, ormai riesco a stargli agevolmente sopra, ma ad ogni mio tentativo di affiancarmi per bloccarlo il pesce aumenta l’andatura facendomi temere di vederlo liberarsi dall’asta da un momento all’altro.

Non ho con me il secondo fucile per doppiare il tiro, quindi decido di limitarmi a controllarlo dalla supeficie e aspettare il momento propizio, che non tarda a venire.

Di li a poco, infatti, il pescione ormai stremato va ad adagiarsi nella posidonia del fondo, dandomi l’opportunità di bloccarlo con le mani non senza, però, un po di apprensione per l’incolumità delle mie mani: il barracuda è provvisto di una dentatura che incute timore a vederla da vicino. Dopo aver messo fine alle sue sofferenze e averlo assicurato al portapesci sotto la boa segna sub, sono ritornato sui miei passi e, ritrovata la zona scoperta in precedenza ho potuto continuare la battuta di pesca e riuscire a prendere anche un dentice di 1,2 kg. Questa zona si rivelerà degna di attenzione anche in successive uscite, regalandomi bei carnieri.

Il protagonista di questa storia,” barracuda mediterraneo” o “aluzzo”, farà fermare l’ago della bilancia a 6,4 kg per una lunghezza di 110 cm.

La soddisfazione per l’ottima qualità delle sue carni espressa dai partecipanti al conseguente banchetto è stata grande e l’occasione ha fornito lo spunto per il conio del soprannome che mi porto dietro da allora – BARRACUDA -, cui sono affezionato.

Fa piacere essere paragonato ad un pesce così bello.

Sperando di aver soddisfatto i lettori di questa storia e magari esser riuscito anche a dare qualche suggerimento utile, vi saluto e vi rimando magari alla prossima avventura…… senza fiato.

Saluti a tutti gli amici pescasub VS. Barracuda.

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