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Alle 5 Terre manca il pesce e per il presidente è colpa degli sportivi

| 17 Ottobre 2015 | 0 Comments

Nei giorni scorsi, il presidente del Parco Nazionale delle 5 Terre, Vittorio Alessandro, ha rilasciato delle pesanti dichiarazioni contro la pesca sportiva, a suo dire tra le principali responsabili del drastico crollo della presenza di acciughe nelle acque di pertinenza della riserva. Il problema non sarebbe minimamente imputabile alle unità dei pescatori professionisti che operano in zona e che sono in numero ridotto oltrechè sottoposte a costanti e rigidi controlli a terra, quanto “alle imbarcazioni di quelli sportivi che non possono essere censiti nè monitorati, possono arrivare dovunque senza l’obbligo di attracco per sottoporre a verifica il pescato, operazioni che possono essere svolte soltanto dalla capitaneria”.

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Come era comprensibile simili dichiarazioni hanno dato seguito ad una compatta e indignata risposta da parte delle associazioni della pesca sportiva che, per voce dei propri rappresentanti Stefano Menini, Roberto Benvenuto e Marco Castagneto, non ha tardato a farsi sentire. I tre sottolineano come, se qualcuno deve essere additato come causa del deapuperamento ittico della acque del parco, “è sicuramente chi è regolarmente autorizzato dall’ente gestore a posizionare ogni giorno chilometri di reti da posta, perfino da riva e sulle praterie di posidonia, così come chi circonda interi branchi di mormore, orate, saraghi e spigole durante la monta riproduttiva e li stermina ricorrendo anche all’uso dei sommozzatori dentro le reti”.

A detta dei tre, il presidente del parco “sembra essere alla ricerca del solito capro espiatorio con cui nascondere una deficitaria gestione del’area marina. Affermare che la pesca professionale nelle 5 Terre non sia più sostenibile per colpa degli sportivi (e ricordiamo che stiamo principalmente parlando di penuria di acciughe!!) è un’accusa priva di logica e di qualsiasi fondamento”. L’ente parco è perfettamente in grado di quantificare l’impatto della pesca sportiva in base alle licenze che rilascia e ai regolamenti restrittivi che limitano fortemente gli attrezzi da pesca consentiti e il quantitativo di pescato procapite (2 kg). Diversamente non è in grado di fare altrettanto per quantificare gli attrezzi professionali, nè per stimare l’impatto del bracconaggio, assai diffuso e molto poco contrastato, e dell’inquinamento derivante dalla totale assenza di depuratori.

Esiste poi, ed è francamente l’assurdità più incomprensibile, il concetto, quasi lombrosiano, secondo cui i pescatori sportivi e ricreativi dovrebbero essere geneticamente portati a infrangere qualsiasi regola sul prelievo, a differenza dei professionisti che, al contrario, avrebbero una legge morale interiore tale da impedirgli di violarle a prescindere.

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