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Sua Maesta’ Esox Lucis

| 5 Maggio 2001 | 0 Comments

Esox Lucis

Se in mare la palma di preda più pregiata spetta al dentice, in acqua dolce lo scettro è saldamente nelle ma… hem, pinne del luccio (Esox-lucis, infatti).

Cosa volete che vi dica, sarà il risultato gastronomico delle sue carni delicate cucinate con i tradizionali sistemi locali, o forse la difficoltà della sua cattura, molto spesso caratterizzata dall’impegnativa profondità di esercizio, o magari, per concludere, le generosissime dimensioni che l’esocide può raggiungere nei nostri laghi.

Una cosa è certa, il luccio si trova in cima ai desideri dei pescatori professionisti e sportivi lacustri.

La sua forma ricorda marcatamente il barracuda o anche quella del più conosciuto aluzzo nostrano, somiglianza che ha portato ad un bizzarro rimescolamento dei nomignoli con cui sono anche conosciuti i suddetti pesci. Ad esempio, l’aluzzo è spesso denominato “luccio di mare”, mentre il luccio viene spesso definito anche “barracuda d’acqua dolce”.

“El lùs”, come viene chiamato in dialetto gardesano, raggiunge notevoli dimensioni, ad esempio nel Benaco sono stati catturati esemplari di 16-18 chili ma notizie non “ufficiali” parlano di esemplari superiori ai 20 chilogrammi. Più concretamente, la media degli esocidi vittime del fucile subacqueo si aggira intorno ai 2-3 chili. Una sorta di codice morale, ormai adottato dai pescasub lacustri,”vieta” la cattura degli esemplari inferiori al chilo, chilo e mezzo.

Stefano Govi con due grossi esemplari

La sua colorazione varia molto a secondo dell’ambiente in cui il luccio dimora, passando dal marrone al verde scuro sul dorso.

Le striature laterali subiscono anch’esse l’influenza dell’habitat, risultando più o meno marcate nelle tonalità descritte a secondo che il luccio viva preferibilmente tra le alghe o in profondità. Anzi, spesso i grossi esemplari catturati a quote impegnative denunciano una livrea tendente all’argenteo, chiaro sinonimo della permanenza del predone a buone profondità.

Se si dovesse usare un aggettivo per definire il luccio penso che questo sarebbe “vorace”oppure”famelico”.

In tanti anni che catturo lucci vi assicuro che sono state diverse le occasioni in cui all’interno di grossi esemplari ho rinvenuto lucci più piccoli.

In poche parole: Cannibalismo. Una pratica tutto sommato poco diffusa nel regno animale (molto di più in quello acquatico), invece nel caso del luccio si deve fare i conti con il suo famelico appetito, per soddisfare il quale non disdegna l’attacco ad individui della sua stessa specie di taglia inferiore.

Il luccio non lacera le proprie vittime e non conosce la masticazione,le prede catturate vengono dapprima bloccate dalla possente ed aguzza dentatura,successivamente il malcapitato viene rigirato con maestria ed ingoiato, intero, dalla testa.

La sua tecnica di caccia è semplice e primitiva, basata soprattutto sull’attesa di una buona occasione: spesso, infatti, lo si può sorprendere seminascosto nella vegetazione del fondo mentre tende pazienti agguati ai ciprinidi di passaggio, oppure lo si può incontrare nei fondali fangosi mentre con lenti spostamenti cerca di avvicinarsi alle sue prede per sferrare l’attacco.

L’esocide non è un buon nuotatore, difficilmente i suoi spostamenti sono a lungo raggio, un particolare che non sfugge al pescasub attento che grazie a questa sua caratteristica sa che è possibile ritrovare, non molto lontano, il luccio precedentemente avvistato.

Foto Credit: Andrea Busso

In compenso questi famelici pennuti sono in possesso di uno scatto bruciante, una dote loro necessaria per il coronamento delle tecniche di caccia, ma anche un valido metodo di difesa.

Spesso, infatti, appena raggiunto il fondo non sarà difficile udire il rumore della sua scodata e scorgere la “nuvoletta” di sospensione lasciata dal pesce in fuga.

Pensate che una volta mi è capitato di vedere un grosso luccio (circa 6 chili) scattare verso il largo di traverso (parallelamente al fondo).

Complice la torbidità dell’acqua è spesso impossibile capire la direzione presa dall’esocide.

Solo a questo punto entrano in gioco la bravura e, soprattutto,l’esperienza del sub che osservando la sospensione intuisce con buona approssimazione la direzione di fuga presa dal pesce.

Per effetto di quanto affermato in precedenza, il luccio avrà già rallentato la sua andatura e con un pizzico di fortuna ci offrirà l’opportunità di scoccare il tiro, anche se la sua aumentata diffidenza lo porterà a mantenere un buon numero di metri tra se ed il sub inseguitore.

Splendida accoppiata

Le situazioni cambiano leggermente con la buona visibilità. In inverno, infatti, l’acqua lacustre è decisamente più limpida, al punto che spesso si può avvistare il pesce con buon anticipo.

L’occasione migliore si presenta quando il luccio, disteso sul fango, sta digerendo una preda; in quel momento le sue difese sono notevolmente inibite e se ci muoveremo con circospezione ci verrà concesso di avvicinarsi moltissimo al pesce. In queste rare occasioni la cattura non ha storia se non per il poco trascurabile particolare di realizzarsi spesso a profondità veramente impegnative.

Ricordate che nel precedente articolo vi ho parlato dell’uso di “cannoni” da 100 ed anche 115 centimetri in acqua dolce?

Ebbene l’uso di tali armi si riferiva proprio alla pesca profonda al luccio con visibilità accettabile.

Escludendo le rare e fortunate opportunità sopra descritte, quasi sempre gli ecocidi tendono a mantenere un buon numero di metri tra se ed il sub in caduta.

Senza contare che superato lo stadio giovanile (diciamo fino ai tre chili di peso) gli esemplari più anziani sono ben poco inclini a farsi soggiogare dalla curiosità.

Quindi diventa giocoforza scoccare il tiro da distanze spesso notevoli.

Vi prego anche di non farvi troppo influenzare dalla tanto decantata torbidità del lago.

E’ vero, nel periodo estivo spesso non si vede neanche la punta del fucile, anche se si tratta di un quaranta, ma sovente in profondità e soprattutto nel periodo freddo, l’acqua migliora in trasparenza, pur restando cupa per la mancata penetrazione dei raggi solari.

Lo scuro abisso del lago rimane il regno del grande luccio,sicuramente questa è la regola,tuttavia non mancano le eccezioni e queste ultime si manifestano soprattutto nei vasti tappeti algosi del bacino lacustre.

Il luccio è ghiottissimo di ciprinidi,soprattutto scardole e tinche,tutti pesci che hanno nelle alghe un habitat del quale non possono fare a meno;e il luccio lo sa.Ma la cosa non è sconosciuta neppure al pescatore subacqueo esperto che non disdegna di controllare il manto erboso’..ma questa è un’altra storia.

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