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Storia di una Sincope: Quando ho Salvato e Quando Sono Stato Salvato

| 24 Agosto 2021

Con questo racconto, prosegue il nuovo progetto editoriale orientato alla sicurezza in mare. La sincope, ancora oggi, è un tabù di cui non si parla volentieri. Non si raccontano le proprie disavventure anche per paura di essere giudicati, in maniera sprezzante, da chi si sente infallibile. Eppure le esperienze degli altri ci possono insegnare tanto, soprattutto perchè sott’acqua c’è molta più fortuna e meno consapevolezza di quello che pensiamo.

Che ti sia o ti abbiano salvato, che abbia salvato o perso un amico, puoi raccontarci la tua storia, scrivendoci una e-mail ad apneamagazine15@gmail.com. La pubblicheremo (anche in anonimo se preferisci) perchè possa essere d’aiuto per tutti.

di Antonello Angius

È probabilmente naturale evitare di ricordare le esperienze tristi e dolorose, dunque il racconto di una sincope con esito mortale rientra tra queste. Allo stesso tempo però ritengo indispensabile che tutti i pesca sub, ed in particolare i giovani, possano conoscere questi episodi e recepire quello che, pur essendo evidente, in tanti non vogliono accettare e cioè che il nostro è uno sport molto pericoloso se non affrontato con la giusta preparazione fisica e “culturale”, se si sottovalutano tutti quei segnali che ci dovrebbero suggerire di annullare o almeno modificare la tipologia di una uscita in mare e se non eseguito in coppia con un compagno in grado di prestare soccorso e dunque idoneo per caratteristiche psicologiche ed atletiche.

Ho 59 anni ed ho iniziato quando ne avevo 13, ho avuto come compagni di pesca sia il pescatore della domenica sia atleti di livello internazionale o professionisti, ho purtroppo perso per sincope diversi amici e conoscenti, tra quelli fortissimi come tra quelli scarsi, ed io stesso a 17 anni sono andato in sincope e sono stato salvato dal mio compagno di pesca.

In quella occasione, su un fondale di soli 10-12 metri, avevo prolungato molto un tuffo cercando di estrarre un pesce malamente incastrato ed al momento di risalire ero rimasto bloccato perchè il laccetto della pila si era arrotolato su una delle sagole. Invece di tagliare tutto ho perso secondi preziosi a sgrovigliare il tutto. Nonostante le contrazioni non ho mollato i piombi e la luce si è spenta a pochi metri dalla superficie. Per fortuna pescavamo in coppia (ma forse solo perchè avevamo sparato entrambi allo stesso pesce) il compagno mi ha afferrato mentre iniziavo a sprofondare e, tolta la maschera, è stato sufficiente uno schiaffo per rinvenire. L’esperienza non mi ha limitato psicologicamente ma mi ha logicamente reso molto più cauto. Ho capito che gli errori sono stati tutti miei: io ho tirato troppo l’apnea, e sempre io non ho avuto la prontezza nè di dare un colpo di coltello per tagliare la sagola, nè di mollare i piombi in risalita.

Un’altra volta, quando di anni ne avevo 20, le parti di invertirono. Eravamo un gruppetto di “accaniti” che non perdevano occasione per andare in mare tutto l’anno, d’estate poi si andava in campeggio per circa 3 mesi consecutivi uscendo a pesca quasi tutti i giorni (permanenze di 5-7 ore e pescando in media su batimetriche di 15-25 metri). La maggior parte di noi praticava attività sportiva a livello agonistico. Un giorno di fine settembre si parte in tre per una uscita da terra, in una località turistica ad una quarantina di chilometri da casa, il programma prevede di entrare da una spiaggetta per pescare nella frana e nei sommi antistanti una articolata parete, in gran parte a picco sul mare, con profondità non superiori ai 18 metri.

Inevitabilmente ci si separa, i miei due amici pescano praticamente in coppia, io da solo ma a breve distanza. Dopo alcune ore passate tra la sabbia e il limite della frana, li avviso di essere un po’ stanco e che mi sposto in pochi metri d’acqua. Mare piatto o quasi, silenzio assoluto, non una barca in mare, siamo sotto la parete a picco sovrastata dal faro, quando improvvisamente sento uno dei miei compagni urlare disperato a 30 o 50 metri da me. Capisco subito, mollo fucile e pallone mi precipito verso di lui che mi sta venendo incontro nel panico urlando: “Gianfranco sta morendo”.

Mi porta sulla verticale e lo vedo supino sul fondo, al limite tra roccia e sabbia, ci saranno una quindicina di metri di fondo. Cerco, per quanto possibile, di rilassarmi; due respiri profondi e vado giù, mollo i suoi piombi i miei e lo riporto in superficie, via maschera e boccaglio, è cianotico. Schiaffi, urla, gli apro la bocca, compressioni toraciche, nulla. Lo riportiamo a terra, su uno scoglio inizio il massaggio cardiaco ed urlo al mio amico di correre a chiamare soccorsi (la spiaggia non è vicina). Gianfranco comincia a respirare autonomamente anche se non riprende conoscenza ed ha chiari sintomi di annegamento.

Dopo un tempo che a me pare infinito, ma sicuramente non inferiore ad un’ora, arrivano i soccorsi con una barchetta, lo carichiamo e arrivati in spiaggia lo trasferiamo su un pulmino e poi via verso l’ospedale. Dopo una ventina di chilometri ci raggiunge l’ambulanza, veloce trasbordo e si continua verso il nosocomio. Gianfranco putroppo non ci arriverà mai, andrà in arresto cardiaco a tre chilometri dal pronto soccorso e lo perderemo per sempre.

Non potremo mai sapere quali danni avrebbe riportato, se si fosse salvato, dopo un’anossia così prolungata, ma di sicuro sono stati commessi diversi errori che evitati avrebbero potuto condurre ad un esito differente. È evidente che il compagno di pesca non si era psicologicamente preparato per prestare soccorso; pur essendo atleticamente un superman ed apneisticamente forte, non è stato abbastanza lucido da riuscire a ventilarsi adeguatamente e da mollare la sua zavorra e quella del compagno in sincope. Lo aveva infatti afferrato ma in risalita lo aveva dovuto lasciare per non andare in sincope anche lui, inoltre se fossero stati soli non avrebbe avuto la capacità di praticare le manovre di rianimazione.

Di questi due episodi sono stato attore diretto, di vari altri ho solo sentito il resoconto. Posso dirvi quale sia stata per me la “lezione”: pesco ancora da solo ma solamente in acqua bassa o comunque ben al di sotto delle mie quote limite, se pesco a quote per me impegnative pesco in coppia con un compagno fidato ed esperto, se non sono in forma rinuncio all’uscita e comunque non pesco mai fondo. Ritengo che un buon corso di apnea (io ho un terzo livello Apnea Academy) sia indispensabile per sapersi valutare e per apprendere le manovre di recupero e pronto soccorso.

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Category: Articoli, Medicina e biologia, Pesca in Apnea

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