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Stefano Bertini: Corsica, gioie e dolori


Domenica 16 sono tornato dalla Corsica e vorrei tanto aver avuto in acqua con me qualcuno di Voi durante una battuta di pesca che non dimenticherò mai e che andrò a raccontarvi di seguito. Prima vi dico che mi sono divertito e ho pescato abbastanza bene’chiaramente sempre in relazione alle mie capacià e aspettative.

Generalmente mi alzavo alle 5, indossavo la muta in spaccato sotto la doccia e partivo in macchina muovendomi, a rotazione, in tutta la zona che va dalle ultime zone raggiungibili ai limiti del deserto degli Agriati, fino a ridosso di Calvi dalla parte opposta, battendo così sia zone note che nuove e rispettando sempre la regola di far riposare almeno 36 ore i posti dove decidevo via via di pescare.

Non consiglio e sconsiglio nessun luogo, non per gelosia di quanto potrei illudermi di aver scoperto, ma perché troppo spesso uno stesso posto ha risposto in maniera diversa, e spesso indecifrabile, al variare delle condizioni esterne. Questo mi ha fatto pensare che, probabilmente, lungo quel tratto di costa non esistono “posti buoni” e “posti cattivi”, ma solo posti in cui bisogna capitare al momento giusto e nella stagione adatta. Il consiglio che invece mi sento di dare a chi non è munito di gommone come me, è quello di cercare sempre nuovi accessi in mare attraverso stradine sterrate o residence, visto che qualunque strada può essere quella giusta e i meno pigri pescano da soli visto che sull’isola si pesca spesso dove si riesce, non dove si vorrebbe. Una volta in mare gambe in spalla e abituatevi a lunghe percorrenze silenziose, senza mai dare nulla per scontato, nel bene e nel male. Altrimenti rischiate di fare 30 chilometri in macchina o in gommone, proprio il giorno in cui il pesce girava sotto casa vostra.

Tornando alle mie abitudini di quest’anno, posso dirvi che in genere max alle 6.30 ero sempre in acqua per almeno 2-3 ore.

Complice la pazienza e la golosità di pesce della mia compagna, di solito replicavo il tardo pomeriggio per chiudere verso il tramonto. Il mare è stato impraticabile solo un giorno, lunedì 10 giugno, ma in altri due mi ha costretto a pescare in ridossi parziali con visibilità nulla, grande spreco di energie e catture modeste. Ho preferito di gran lunga pescare con mare calmo e grande visibilità che mi aiutavano negli agguati, infatti il mare calmo non è stato assolutamente sinonimo di assenza di pesce anche se queste condizioni richiedevano un maggiore silenziosità.

Infatti almeno in due tra le pescate più interessanti (una bella orata e una tripletta di spigole) il mare era praticamente immobile.

Vi dico anche che non ho riscontrato grossa differenza tra alba e tramonto, preferisco da sempre la prima sia per il fascino che possiede, sia perché non amo trovare altra gente in acqua. Ma in questa stagione, ancora povera di turismo, si possono fare bellissimi incontri in posti che non sono stati ancora battuti, anche a mezzogiorno. La caratteristiche comune a tutte le mie perlustrazioni è stato il riscontro di un’ eccezionale presenza di minutaglia e di conseguenza predatori, piccoli e grandi, sempre in caccia, soprattutto spigole, occhiate e qualche barracuda. Le prime erano numerose ma molto suscettibili e mai enormi, ne ho prese e viste molte, ma nessuna di taglia veramente considerevole. Piacevole la presenza di ricciolette sul chilo-due che assecondavano l’aspetto abbastanza frequentemente permettendomi alcune catture relativamente facili.

Molto piccole le orate (mezzo chilo/sette etti), anche se presenti quotidianamente e dal comportamento indecifrabile, cosa che rendeva la cattura banale o impossibile a seconda dei momenti. Ne ho viste solo due belle, e una ho avuto la fortuna di catturarla. I dentici invece erano proprio in formato “tramezzino”, infatti ne ho catturati solo 2-3 di quelli appena più grossi e degni di presenziare in un piatto. Penso che comunque questa tipologia di avvistamenti sia normale in relazione alle modeste batimetriche che praticavo e che rendono remoto l’incontro con i bestioni. Di questi infatti ne ho avvistati solo due, veramente enormi, e riconosciuti inequivocabilmente come ombre tra sabbia e posidonia su un fondale di circa 15 metri. In quelle occasioni i successivi aspetti non hanno dato alcun frutto, probabilmente hanno saziato la loro curiosità a distanza. A proposito di aspetti, ho notato un costante abbassamento della temperatura dell’acqua appena dopo pochi metri di profondità e non so se anche questo sfavoriva la riuscita di aspetti appena più profondi, visto che le catture oltre i 10 mt spesso erano più agevoli in caduta.

Ma veniamo al “fattaccio”‘.. mercoledi 12, entro in acqua verso le cinque del pomeriggio, appagato del pesce delle 4 ore mattutine, ma deciso a sgranchirmi un po’ mentre la mia compagna si gode il tiepido sole sugli scogli. Il posto è nuovo, un normalissimo posto come tanti lungo la strada che da Ile Rousse va verso Bastia.

Come accennavo prima, in questa vacanza ho pescato in maniera itinerante, rendendomi conto che non è tanto il posto a fare la differenza ma tanti altri fattori, non tutti percepibili, almeno dal sottoscritto. Quindi spesso mi sono lasciato guidare dal caso o da fattori di simpatia o comodità svinvolati all’attività venatoria.

Indosso la muta e una volta in mare mi trovo in soli due metri d’acqua, su un enorme scalino di roccia, posizionato longitudinalmente rispetto alla costa e ricoperto di un “tappetino” di alghe. Scoprirò poco dopo che questa enorme piattaforma priva di tane si sviluppa verso il largo per una quindicina di metri e qui finisce quasi ad angolo retto su un classico fondale misto attorno ai 10-12 mt. Inizio a pinneggiare con sotto questa “moquette” giallina sperando che la stessa finisca presto visto non sembra proprio un fondale da pesci. In quel momento vedo in lontananza un “pizzutino” che mangiucchia e ne valuto le dimensioni, in quel momento penso sia troppo piccolo per dedicargli attenzione e per questo motivo mi stupisce la sua fuga precipitosa e anticipata visto che era ampiamente fuori tiro e parzialmente nascosto con la testa tra le alghe. In quel momento mi auguro che non tutti i pesci siano così nervosi.

Come tutti avrete capito per esperienza diretta, non ero ancora “in pesca” bensì in quei primi minuti di studio in cui la mente prova a mettere insieme sensazioni e osservazioni per ottimizzare le scelte da fare su un posto sconosciuto. Infatti sollevo la testa, mi giro e guardo la mia compagna per memorizzare la sua posizione tra le roccie e non avere esitazioni sul dove uscire dall’acqua al mio ritorno. Non è distesa ma seduta e mi guarda curiosa come sempre, quasi per accompagniarmi con la mente in quella passione che lei sa essere tanto grande. Cancello i pensieri “romantici” e rimetto la testa giù, altre dieci pinneggiate e all’improvviso arriva, sulla mia destra l’enorme pinnuto. Vi descrivo tutto nei dettagli perché voglio darvi più elementi possibili in base ai quali fare i vostri commenti. Infatti sia il tipo di pesce, che gli errori da me commessi in seguito, mi hanno lasciato molti dubbi, dimostrandomi con i fatti che dopo 20 anni di pesca e di vacanze in giro nel Mediterraneo l’incompetenza e l`errore sono sempre in agguato.

Infatti “quando il gioco si fa duro” tante teorie e convinzioni si sbriciolano in un secondo, ridicolizzando chiacchiere da bar, scelte, muscoli e attrezzature.

Torniamo al pesce, non mi vergogno a dire che non sono ancora certo cosa fosse: senza presunzione posso dire che conosco bene (anche se ne ho catturati relativamente pochi) leccie, ricciole serra e tutto il resto. Quindi poteva essere una leccia ma di lei non mi hanno convinto due cose: non aveva la classica forma romboidale, era più slanciata e robusta, ma soprattutto mi è sembrata di un colore blu/grigio. Vi ricordo che sono in superficie, respiro, il pesce è un metro sotto il pelo dell’acqua a 3-4 metri da me, il sole è alto, quindi sul colore non ho dubbi, anche se spesso le pigmentazioni dei pesci fanno brutti scherzi. Del tonno però, di cui aveva il colore, il nostro pesce misterioso non aveva altre caratteristiche quali la rotondità della sezione e le classiche pinnette sulla coda. L’animale di cui parliamo sarà stato lungo tra il metro e mezzo e il metro e ottanta, non sono solito esagerare, se sbaglio è in buonafede, ma mi è sembrato proprio grosso. Non azzardo un peso perché è più difficile da stimare rispetto alla lunghezza. Lateralmente mi è sembrato enorme ma visto in sezione, di coda, non era larghissimo, anche se neanche sottile come la classica leccia. Scusate le apparenti contraddizioni, ma sono in cerca di pareri e riscontri.

Tornando al racconto, lui nuota velocissimo nella mia direzione descrivendo attorno a me una specie di “S” che alternativamente lo porta a tiro e fuori. Tutto è stato rapidissimo. Per non perderlo, mi trovo costretto a ruotare su me stesso rapidamente per scegliere il momento migliore per sparare; errore numero uno, il più macroscopico: miro frettolosamente al bersaglio grosso (metà corpo) e valuto il pesce più vicino di quanto non sia. Me ne rendo conto perché l’asta colpisce più in basso di dove avevo mirato, quindi troppo verso la pancia, e so che non è colpa del fucile, risultato sempre sufficientemente potente, ma ovviamente se usato alle distanze giuste.

Appena colpito l’animale scoda verso il largo (non dimenticate io sono sempre in superficie!!), e in quel momento mi accorgo che l’asta è passata e che lui non è “spesso” come sembrava. Ma è una frazione di secondo, i miei occhi passano sul mulinello facendomi compiere l’errore numero due: probabilmente frastonato dalla situazione, inconsciamente dimentico che sto respirando, dimentico che sono ormai discretamente allenato e ad inizio pescata, quindi in piena forza, ed infine dimentico che ho comodi accessi a terra a soli 5 metri da me. Così anziché tentare di bloccarlo alle branchie, “spiaggiarlo” di forza, morderlo o quant’altro, libero la frizione e così facendo do inizio alla mia disfatta.

Il mulinello si srotola alla velocità della luce ed i 30-35 metri di monofilo da 150 finiscono in un attimo: che fare?

Mi lascio trascinare un poco verso il largo e vista la velocità crescente del pesce, ed il relativo basso fondale, la sua posizione risulta diagonale rispetto alla mia, quindi fuori vista, impedendomi qualunque supposizione o intervento. Terzo errore: infastidito da tanta dimostrazione di forza decido di fare altrettanto, sia per recuperare un po’ di filo che per stancarlo: la lotta non è ancora cominciata e già ho fretta di recuperarlo’.pessima idea. Questa stupidaggine favorisce il materializzarsi del quarto errore compiuto in fase di assemblaggio del mulinello: ho fissato il monofilo con un nodo di arresto, dopo aver passato il filo attraverso il foro trasversale, come faccio nel codolo dell’asta. Ma l’asta è di acciaio e il mio mulinello in plastica di modesta qualità. Come naturale risposta ai muscoli del pesce e ai miei che si contrastavano senza un briciolo di intelligenza (lui è giustificato) si sente un “‘.TTTEHHNNN’!!” come la rottura di una corda di chitarra

Cosa è successo? probabilmente il nodo terminale è passato a forza attraverso il foro del mulinello ed è arrivato in testata dove ha letteralmente fresato quel che restava del foro longitudinale, probabilmente già indebolito dall`attrito di scorrimento del nylon durante la fuga precipitosa. Infatti sulla testata adesso non ho più un foro, ma una simpatica canaletta con sezione a U come ricordo. Da qui individuo il quinto errore, non aver cioè fatto passare il filo nel foro traversale che avrebbe offerto più “carne” attorno al foro e quindi, forse, ma dico forse, avrebbe potuto impedire l’ultimo atto del mio disastro.

Come si dice : “chi è causa del suo mal pianga se stesso”, questa non è sfiga, sono stato parecchio fortunato ad incontrarlo e non ne ho saputo approfittare, molto semplice. Rimane la soddisfazione di aver fatto un’ottantina di ore di mare in due settimane, solo e senza mezzo nautico, e tirando le somme rendersi conto che non sono mancate belle catture e avvistamenti, a dimostrazione del fatto che è importante il “dove” (confermo che la Corsica non regala nulla ma non è sicuramente avara come la mia Liguria) ma anche la frequenza, la mentalità e la preparazione con cui si affrontano le pescate.

Quello che mi meritavo ho pescato, nulla di più nulla di meno.

L’anno scorso venivo da quasi un anno di inattività ed ho pescato un terzo, così come anche il mio inverno è stato modesto. Quindici giorni così intensi invece sono valsi un anno vissuto nei week-end e l’unico rammarico è che probabilmente quel pesce non sopravviverà.

Altrimenti potrei solo sorridere, pensando che quell’emozione di pochi attimi, con tutte le implicazioni che ha portato, sarà sempre e solo mia comunque. In fondo mi piace pensare che il mare abbia deciso di ricordarmi i miei limiti a modo suo, forse per anticipare eventuali contraddizioni in cui sarei potuto scivolare dopo un’ eventuale cattura, nel dimostrare qualcosa che non ha nulla a che vedere con la passione.

Stefano Bertini

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