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La manovra globale di risalita

| 20 Febbraio 2010 | 0 Comments

Abbiamo incontrato all’Eudishow Gabriele Delbene, che ci ha descritto in anteprima la sua particolare manovra globale di risalita. Oltre a quanto anticipato nella video intervista, Gabriele spiega con maggiore dettaglio questa manovra.

Nel pubblicare questo contributo, la cui responsabilità appartiene all’autore e che vi proponiamo integralmente come pervenuto, ricordiamo che Gabriele Delbene è un campione di grandissima esperienza e consapevolezza delle proprie capacità e raccomandiamo a tutti i lettori molta prudenza nell’applicare le tecniche descritte che, fino ad una completa assimilazione, richiedono l’assistenza di persone che già le utilizzano.
Ma raccomandiamo soprattutto di effettuare immersioni in apnea rimanendo sempre di gran lunga entro i propri limiti e di considerare dunque questo articolo come un contributo all’accrescimento del vostro bagaglio culturale.

Gabriele Delbene durante l’intervista effuata a Eudishow (foto L. Sampogna)

PREMESSA

In relazione alla ripresa della respirazione dopo una lunga apnea attualmente le didattiche propongono due tipi di soluzione. La prima e la più classica prevede di tenere lo snorkel in bocca e di svuotarlo tramite un’espirazione forzata che ha lo scopo di spingere fuori da esso la colonnina d’acqua che vi si è accumulata. Questa ha il grande svantaggio di dover effettuare un vero e proprio sforzo muscolare esattamente nel momento in cui la tensione della pressione parziale dell’ossigeno è arrivata al suo minimo. Se da una parte lo sforzo può fare la differenza in negativo tra cadere o meno in sincope una volta arrivati alla superficie, dall’altra presenterà il vantaggio che, in caso di perdita di, coscienza affronteremo la fase del black out che precederà quella della ripresa involontaria dello stimolo respiratorio, in posizione supina ma con lo snorkel svuotato in una piena comunicazione dei polmoni con l’esterno. Naturalmente si presuppone da parte dell’apneista un tipo di assetto leggerissimo e cioè positivo anche in eventuale completa espirazione.
La seconda soluzione elimina il problema alla radice non prevedendo lo snorkel inserito in bocca. Vengono quindi eliminati diversi fattori di disturbo e rischio: il principale e più importante è ovviamente lo sforzo espiratorio necessario per spingere fuori la colonnina d’acqua che ha un certo peso, il secondario sono i maggiori tempi necessari all’espirazione e lo spazio morto che una volta liberato lo snorkel rimane comunque occupato da aria viziata che viene nuovamente reintrodotta nelle vie aeree prima dell’afflusso di aria atmosferica. La seconda manovra avviene in posizione verticale con la testa fuori dall’acqua espirando il meno possibile per evitare il repentino abbassamento della tensione di ossigeno ed inspirando il più in fretta e pienamente possibile per evitare il black out. Questa manovra se da una parte ci favorisce donandoci qualche attimo ed energia in più prima dell’eventuale sincope, dall’altra ci espone a rischi mortali lasciandoci totalmente indifesi qualora avvenisse.
Dobbiamo sempre immaginare un pescatore solitario che si trovi in difficoltà, in questo caso a testa in giù e con la bocca in comunicazione con l’acqua. La posizione a testa in giù viene infatti mantenuta dall’anatomia delle articolazioni scapolo omerale e coxo femorale che, funzionando da limitatori alle escursioni articolari, posizionano gli arti come bilancieri impedendo il rovesciamento sul dorso che non sia completamente volontario. Alla ripresa degli stimoli respiratori non avrà la benchè minima possibilità di insufflare aria e con un anche piccolo cambiamento d’assetto dovuto al parziale allagamento dei polmoni, precipiterà velocemente verso il fondo.
La manovra proposta mira ad AUMENTARE LE PERCENTUALI DI SOPRAVVIVENZA eliminando gli svantaggi delle due manovre precedentemente esposte.

PRESUPPOSTI FISIOLOGICI
Per poter spiegare la manovra descritta in questa relazione, dobbiamo partire con l’identificazione e la spiegazione di alcuni fenomeni fisiologici che avvengono nell’uomo immerso in apnea. Tratteremo il riflesso d’immersione (diving reflex), lo scivolamento ematico (blood shift) ed il suo incompleto recupero, le contrazioni diaframmatiche.

La risalita costituisce una fase molto importante dell’immersione (foto A. Balbi)

IL RIFLESSO D’IMMERSIONE

L’adattamento del corpo umano alla discesa in apnea comincia già con la semplice immersione del viso in acqua. Questo riflesso, chiamato anche ‘riflesso del lavandino‘, è utile a spiegarci che esiste una capacità innata e primitiva che consente di proteggerci dagli effetti dell’immersione e di prepararci per quella in profondità. Gli effetti immediati si evidenziano con una vasocostrizione periferica, associata al rallentamento del battito cardiaco. La vasocostrizione avviene prevalentemente nei vasi degli arti diminuendone il calibro con conseguente riduzione del volume del sangue in essi circolante. A ciò corrisponde un’iniziale migrazione di una piccola parte della massa ematica verso il piccolo circolo.
Il rallentamento del battito cardiaco, o bradicardia da immersione, si innesta come già detto al solo semplice contatto del viso con l’acqua ed è dovuto alla stimolazione del sistema nervoso autonomo ed in particolare all’attività del nervo vago (parasimpatico). Si ritiene che questi due adattamenti vadano nella direzione della termoregolazione cercando quindi di mantenere il sangue caldo ed al centro del corpo.

LO SCIVOLAMENTO EMATICO

La scoperta di questo fenomeno fisiologico è abbastanza recente e risale agli anni settanta nei quali l’apneista Enzo Maiorca raggiungendo i -51m dimostrò alla comunità scientifica che la conoscenza delle reazioni del proprio corpo d’atleta impegnato in gesti estremi in taluni casi anticipa l’elaborazione delle teorie scientifiche.
Il medico francese Cabarrou, fino ad allora considerato il più esperto in materia, ipotizzava infatti che un uomo con 6 litri di volume polmonare totale composti da 5 litri di capacità vitale e 1 litro di spazio morto bronco tracheale potesse al massimo spingersi fino alla profondità di 50m. In ragione della legge di Boyle e Mariotte, che dice che volume e pressione sono inversamente proporzionali, la profondità di 50m sarebbe quella alla quale quel volume di 6 litri si ridurrebbe per effetto della pressione 6 volte superiore a quella della superficie, a un solo litro, corrispondente al suo volume di spazio bronco tracheale, oltre sarebbe imploso.
Così non avvenne e ora sappiamo che il riflesso d’immersione precede e prepara lo scivolamento ematico. Infatti si è osservato un’enorme afflusso sanguigno che tramite la vena cava superiore ed inferiore arriva alla zona del cuore destro dilatando oltremisura la parete del ventricolo. Per effetto della pressione gravante sul sistema si assiste ad un’aumentata resistenza idraulica dei vasi che implica la difficoltà alla sistole, specialmente da parte del cuore sinistro, con conseguente ristagno di sangue nel cosiddetto piccolo circolo o circolo polmonare. In pratica, per impedire lo schiacciamento del torace (effetto teorico della legge di Boyle e Mariotte), il corpo si adatta occupando lo spazio dove normalmente si trovano quei 5 litri teorici d’aria con il sangue che sappiamo per sua natura essere incomprimibile, creando quindi una contropressione interna che impedisce di fatto l’implosione. Ciò è dovuto in larga parte alla capacità dei vasi polmonari di dilatarsi fino a cinque volte la dimensione originale.

L’INCOMPLETO RECUPERO DELLO SCIVOLAMENTO EMATICO

Ricapitolando possiamo affermare che dietro stimolo della pressione si instauri un grossissimo afflusso sanguigno ristagnante nel piccolo circolo. Sappiamo che gli effetti di detto ristagno rimangano anche a secco per un certo periodo di tempo, addirittura anche a secco e molte ore dopo la fine delle immersioni. Occupiamoci però nel dettaglio di ciò che avviene in risalita.
La diminuita pressione inverte le resistenze idrauliche e il ristagno tende a riequilibrarsi immettendo velocemente sangue questa volta dal piccolo al grande circolo. Il riequilibro avviene però in dipendenza dalla capacità del sistema di veicolare il flusso ematico ed è ovvio che non possa essere istantaneo. Inoltre la velocità di risalita nell’apneista è spesso elevatissima e certamente superiore a quella della discesa specialmente nei pescatori che per non allarmare le prede preferiscono adottare la tecnica di discesa lenta. Per queste ragioni all’arrivo in superficie il sub si ritrova ancora stagnante nel circolo intra toracico un piccolo volume ematico che ancora preme dall’interno sul famoso volume dei 5 litri.
Il mancato istantaneo recupero ematico annuncia i suoi effetti appena iniziata la risalita manifestandosi attraverso quelle bollicine che vedrete sempre uscire dalla maschera del sub in riemersione. Questa fuoriuscita d’aria risulta continua e dipenderà essenzialmente dalla velocità di risalita e dall’intensità e frequenza delle contrazioni diaframmatiche. Corrisponderà infatti una massima dispersione nel momento di rilasciamento del diaframma nella fase di contraccolpo verso l’alto quando l’azione meccanica potrebbe tendere a creare un flusso verso l’alto favorito anche dalla rapida espansione gassosa.

Mantenere il tubo in bocca può risultare determinante in caso di incidente (foto A. Balbi)

LE CONTRAZIONI DIAFRAMMATICHE

Sappiamo che l’apnea si divide in due fasi: la fase cosiddetta del benessere e la fase della sofferenza. La sofferenza è causata da una serie di manifestazioni dovute al consumo dell’ossigeno ed al conseguente innalzamento del tasso dell’anidride carbonica. I recettori chimici presenti nel midollo spinale, e più precisamente nel tronco mesencefalico, registrano quest’ultima variazione ed in risposta inviano dei segnali eccitatori ai nervi responsabili della motilità del muscolo diaframmatico. Come sappiamo la cupola diaframmatica tendinea viene abbassata dall’azione delle bandelle muscolari in contrazione creando un’azione involontaria che mira ad attrarre aria nella parte bassa della piramide polmonare.

LE FASI DELLA MANOVRA

Ora che abbiamo trattato dei fenomeni fisiologici che intervengono nell’immersione possiamo passare a spiegare come si possono sfruttare durante l’esecuzione della manovra globale di risalita.
Come si effettua allora la manovra?

1 – LO SNORKEL INDOSSATO, LA COMPENSAZIONE IOIDEA

Dovremo innanzitutto lasciare lo snorkel in bocca. I motivi del lasciarlo indossato sempre dipendono principalmente dal fatto che la manovra si concluderà in risalita con questa modalità. Ci sono però in quest’abitudine altri vantaggi importanti che riguardano la discesa e che prevedono la tecnica che ho chiamato di compensazione ioidea. Infatti in questa posizione la mandibola si libera e si allontana anche parecchio dal palato favorendo indubbiamente i movimenti che, partendo dalla muscolatura sopra e sotto ioidea, coinvolgono una serie di tessuti contigui vicini all’apertura degli orifizi delle tube di Eustachio ed in particolare sotto di essi. E’ come se si pretensionasse questa catena tissutale mettendo i tessuti sottorifiziali in una sorta di situazione meccanica che ne faciliterà l’apertura sotto sollecitazione delle manovre di compensazione.
La traduzione didattico pratica prevede quindi la movimentazione mandibolare con spostamenti semplici o composti. Per movimenti semplici si intendono l’abbassamento e la traslazione antero posteriore della mandibola, per composti si intendono la combinazione dei due eventualmente integrati da piccoli spostamenti laterali. L’apneista dovrà sperimentare a seconda della propria unica e particolare morfologia quali siano i movimenti che facilitano l’apertura degli orifizi. L’esercizio si può provare comodamente a secco. Per soggetti particolarmente predisposti la compensazione ioidea sarà una vera e propria tecnica di compensazione, per gli altri solo una tecnica di facilitazione.

Anche durante l’azione di pesca il tubo rimane tra le labbra del pescatore (Foto A. Balbi)

2 – IL RILASSAMENTO DEL MASSETERE, L’APERTURA DELLA GLOTTIDE

L’abitudine a tenere indossato il boccaglio comporta una maggiore presa di coscienza delle proprie tensioni psichiche.
Sappiamo riconoscere facilmente una persona nervosa o tesa osservandone i movimenti ritmici e contratti della mascella. Ovviamente in immersione le tensioni sono maggiori che nella vita comune e si ripercuotono molto sulla contrazione del muscolo massetere. Risulta molto più facile ascoltare le proprie tensioni perciò avendo come mezzo di contrasto il morso dello snorkel. L’ aumentata consapevolezza favorisce un conseguente maggiore rilassamento del muscolo massetere e della lingua. La radice della lingua essendo strettamente collegata alla glottide la trascina anteriormente con sé determinandone l’apertura o facilitandone la stessa. . Come sappiamo dagli studi del dottor Malpieri, l’apertura della glottide rappresenta un fattore discriminante al fine di non incappare nel barotrauma polmonare da risalita profonda. Anche solo a questo scopo potrebbe essere quindi consigliabile tenere lo snorkel indossato a misura preventiva di sicurezza

3 – IL RECUPERO DELL’ARIA, IL RIMESCOLAMENTO DIAFRAMMATICO

L’apneista avrà raggiunto lentamente il fondo, la compartimentazione del sangue nel circolo intra toracico sarà arrivata al suo massimo, inizia la risalita con associate le contrazioni diaframmatiche. L’inversione del ristagno ematico ora in via di ritorno verso il grande circolo, non essendo, istantanea lascia ancora un accumulo sanguigno che provoca una pressione interna che tenderà a far uscire l’aria fuori dalla maschera. La spinta migratoria dell’aria nella maschera verso l’esterno sarà favorita oltre che dalla tendenza della stessa alla riespansione, anche dalle spinte del diaframma che risale verso l’alto a fine contrazione. Per ovviare a ciò si dilaterà il tempo di contrazione indugiando con un’intervento volontario nell’estroflessione dell’addome per fuori (abbassamento del diaframma). Ciò può essere spiegato all’apneista semplicemente chiedendogli di ‘tirare su’ in maniera prolungata con il naso, come fanno i bambini col raffreddore, ogni qualvolta sentirà la maschera alleggerirsi sul viso per effetto della spinta della riespansione gassosa. Per i meno evoluti semplicemente chiedendo di tirare su ogni paio di secondi. La manovra proposta oltre a recuperare l’aria aiuta il rimescolamento gassoso spostando una parte dell’aria vergine contenuta nello spazio morto bronco tracheale e nella maschera agli alveoli dove ristagnava aria viziata. Si potrebbe obiettare che trattenere l’aria in questo modo potrebbe favorire l’insorgenza del barotrauma per la maggiore pressione che viene a determinarsi nei polmoni più alta di quella che si trovava a pari quota in discesa.

Mantenersi sempre entro i propri limiti è il modo migliore per evitare incidenti (Foto A. Balbi)

Ritengo che ciò non avvenga per due motivi.
La posizione dello snorkel indossato favorente l’apertura della glottide fa si che questa sovrapressione abbia libero sfogo cercandosi la via d’uscita e non sarà di certo ‘tirando su’ col naso che impediremo all’aria di espandersi o fuoriuscire senza creare danni. Il secondo motivo l’ho compreso durante la mia esperienza didattica nella pescasub. Prima dell’immersione il pescatore compie nella stragrande maggioranza dei casi un’inspirazione che non è mai massimale. Materialmente non riesce a porre costantemente l’attenzione alla completezza del gesto inspiratorio, si tratta perciò di un gesto tipico che porta ad immettere grosso modo l’ 85% del volume massimo catturabile, pertanto il ristagno ematico che dilata l’aria in risalita ha ancora un bel volume da riempire, pari o superiore al mezzo litro. Anche nell’apneista puro questo rischio è basso a meno che non effettui la manovra della ‘carpa‘o respirazione glosso faringea che precomprime l’aria nei polmoni associando magari la mandibola chiusa senza snorkel che spinge nelle contrazioni muscolari la glottide in basso tappando la trachea.

IL GUADAGNO TEORICO: IL 10% DELLA NOSTRA APNEA.

Per quantificare il possibile guadagno teorico del recupero dell’aria forniamo qualche altro dato. Immaginiamo una maschera di 150cc compensata insufflando aria fino a 30m di profondità. Considerando le 4atm che vi si trovano, avremo nella nostra maschera ben 600cc ridotti a 150 dalla pressione In risalita l’incompleto recupero dello scivolamento ematico e la riespansione gassosa concorrono a farne uscire la differenza e cioè circa 450cc all’esterno sotto forma di quelle bolle che, come tutti noi avremo osservato, ci lasciamo dietro. Riuscendo a trattenere questo volume avremo trattenuto quasi il 10% del nostro volume incamerato con l’ultima inspirazione.
Aria insufflata nella maschera proveniente dallo spazio morto e quindi ossigenata non avendo partecipato agli scambi gassosi. Se la nostra apnea dura ad esempio 90sec, recuperando e rimescolando opportunamente quell’aria potremo guadagnare 89sec. Ma se anche nella peggiore delle ipotesi fossero solamente 5 i secondi guadagnati, non credete che sia comunque sufficiente per allontanare enormemente il rischio black out?

4-L’ESPIRAZIONE FACILITATA, NESSUNO SFORZO ESPIRATORIO

Arriviamo a questo punto vicino alla superficie avendo trattenuto quest’aria, che voleva uscire, pressata dall’interno dall’incompleto recupero del blood shift. Nelle spiegazioni teoriche spesso paragono i volumi del ristagno ematico alla frutta. Parlo quindi del volume di un grosso melone a quote molto impegnative, passando al pompelmo, all’arancia fino al volume di un mandarino in prossimità della superficie. Questo mandarino d’aria non aspetta che poter fuoriuscire e quindi arrivati a circa un metro dalla superficie non dovremo fare altro che smettere di trattenerlo permettendo che, SENZA NESSUNO SFORZO ESPIRATORIO, si trasferisca dalla bocca allo snorkel. Lo sforzo espiratorio non è richiesto perché l’aria in quell’ultimo metro dilatandosi lo svuoterà automaticamente Dalle prove pratiche nei lunghi anni in cui ho adottato questa tecnica mi sono accorto infatti che il mandarino d’aria occupa inizialmente quel volume per poi proseguire completando quasi tutta l’espirazione. Dal punto di vista didattico è una manovra di semplice apprendimento, richiede solo una certa attenzione per sincronizzare il momento d’inizio dell’espirazione facilitata.
Avremo ottenuto il vantaggio enorme di aver abbassato i rischi di andare in sincope poiché non effettueremo sforzi espiratori (come nella manovra senza snorkel) però rimanendo in contatto con l’aria (come nella manovra con l’espirazione forzata in superficie) qualora cadessimo incoscienti. Inoltre avremo rosicchiato altro tempo cominciando l’espirazione un metro sotto, completandola in quel metro percorso in quell’ultimo secondo, pronti ad inspirare appena la punta dello snorkel si affacci alla superficie. La posizione a testa in giù con le braccia a fare da bilancieri sarà quella che ci manterrà comunque in equilibrio senza fare entrare acqua nell’albero respiratorio. Dopo pochi secondi, alla ripresa degli stimoli respiratori involontari avremo molte più possibilità di riprendere a respirare e quindi di svegliarci dal black out.

L’autore dell’articolo con una grossa cernia

CONCLUSIONI

Nel 1989 un conoscente mi raccontò che stava pescando fondo, era da solo con pochissima zavorra. Riuscito ad arrivare a galla dopo un’immersione al limite, appena liberato il boccaglio dall’acqua cadde svenuto Mi rimase impresso che disse di essersi risvegliato respirando nello snorkel, ad una certa distanza dal pallone segno questo che fosse rimasto per un certo tempo svenuto e trasportato dalla corrente. Da lì ebbi l’intuizione che non avrei mai più abbandonato lo snorkel. In seguito mi venne naturale fare degli esperimenti, dapprima iniziando lo sforzo espiratorio un po’ sotto la superficie rendendomi poi conto che nei tuffi mediamente profondi non necessitasse affatto. Spesso gli apneisti puri non usano il boccaglio per quei pochi tuffi estremi, hanno squadre o compagni d’immersione che vigilano su di loro. Non si trovano perciò nella necessità di inventarsele tutte per aumentare le possibilità di sopravvivere ad una banale sincope che per un pescasub solitario significa morte.
Il guadagno teorico della prima fase della manovra, quantificabile tra il 5 ed il 10% del tempo di apnea, la rende di per sé stessa un formidabile antidoto alla perdita di coscienza. La seconda fase consente di anticipare l’inspirazione guadagnando un altro secondo circa nella fase critica. La somma è quantificabile tra i 6 ed i 10sec al massimo.
Ho dedicato questo trattato ai pescasub a cui raccomando prima di tutto la pesca in coppia, a basse profondità e usando poca zavorra. Per chi con responsabilità e coscienza si senta di affrontare discese più impegnative o in solitario spero questa manovra di mia invenzione che uso da decenni con gran successo, vi doni margini di sicurezza maggiori ed anche solo una piccola possibilità di sopravvivere in più in caso di sincope a galla, statisticamente la più frequente.

Per una maggiore diffusione, l’autore ha voluto inviare l’articolo sia alle riviste di settore che a numerosi altri organi di informazione che si occupano di pesca in apnea. Tra questi anche Apnea Magazine che, facendo un’eccezione alla propria linea editoriale, ha accettato di non avere l’esclusiva di pubblicazione dell’articolo che esprime le convinzioni di Gabriele Delbene e che vi presentiamo “così com’è”.

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