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La Mangianza, una Spia Fondamentale

| 6 Maggio 2010 | 0 Comments

Nelle nostre giornate di mare siamo accompagnati da una presenza che, conosciuta a dovere, è in grado di diventare un potente alleato: la mangianza. Imparare a conoscerla e ad interpretarne al meglio i segnali, può permetterci di ottenere il massimo risultato durante la battuta di pesca.

La mangianza è formata da tante specie di piccoli pesci (Foto A.Balbi)

Col termine mangianza individuiamo quei pesci che si trovano alla base della catena alimentare o, più in generale, tutti quegli individui che possono rappresentare il pasto per predatori di mole superiore. Tra le specie più comuni troviamo: le castagnole (Chromis Chromis), pesci che mediamente non superano una decina di centimetri, dalla inconfondibile colorazione marrone scura degli adulti mentre, allo stadio giovanile, i riflessi tendono ad un blu elettrico; le mennole (Spicara flexuosa) con un corpo più sfilato rispetto alla castagnola, dal caratteristico color azzurro e dalla riconoscibile chiazza nera all’altezza delle pinne pettorali; le boghe (boops boops) che hanno una colorazione verde accesa sul dorso, caratterizzato da alcune linee longitudinali di colore dorato, mentre il ventre è bianco. Mediamente non superano i 20cm anche se in alcune zone si possono trovare esemplari di tutto rispetto; le occhiate (Oblada melanura), di colore argento con la caratteristica macchia nera in prossimità della coda, possono raggiungere dimensioni veramente notevoli, interessanti anche per il pescatore in apnea.

Che la nostra idea sia quella di impostare una battuta di pesca per insidiare qualche predatore del bassofondo come spigole e serra, o che la nostra attenzione sia rivolta ai dentici o alle ricciole che frequentano le secche al largo, non potremo prescindere dal conoscere ed imparare ad interpretare le preziose informazioni che la mangianza può regalarci.

Una nuvola di mangianza su un relitto (Foto A.Balbi)

Il primo dato che balza subito all’occhio del pescatore accorto è il comportamento della minutaglia. Appena ci immergeremo la nostra attenzione dovrà essere subito rivolta all’osservazione dei pesci che rappresentano quella precisa spia in grado di metterci subito in allerta sulla presenza o meno dei predoni.

Nella maggior parte dei casi (stiamo sempre parlando di statistiche perché, come ben sappiamo, la certezza in mare non esiste mai) trovare la mangianza nervosa o, ancora meglio, che si compatta in gruppi più o meno folti (mangianza appallata) è un primo incoraggiante segnale; viceversa, trovare i pesciolini in ampi banchi che coprono uniformemente tutta la colonna d’acqua, è un chiaro segnale della, speriamo momentanea, assenza di predatori.

Ma la nostra osservazione non dovrà limitarsi al comportamento dei soli pesci di taglia minore. Anche i cefali, i saraghi e le salpe possono esserci utili. In questi casi ad infastidire gli abitanti del fondo saranno predatori di grande mole, pesci in grado di cibarsi di pesci anche superiori al chilo. (Mi è capitato di trovare leccie con nello stomaco diversi aluzzi di oltre mezzo chilo.)

Il subacqueo studia un gruppo di castagnole (Foto A.Balbi)

Immaginiamo di essere appostati all’aspetto in un punto interessante. Nuvole di piccoli pesci ci ballano davanti in un movimento continuo che ben ci fa sperare. Ad un tratto notiamo uno strano movimento e tutto quello che fino ad allora ci sembrava un allegro e festoso danzare si tramuta in un fuggi fuggi generale. La minutaglia che subisce un attacco è spinta a muoversi in direzione opposta a quella di provenienza del pericolo, rendendo così possibile intuire la provenienza del predatore e, per quanto possibile, anche la specie di appartenenza di quest’ultimo. Così, se la mangianza si schiaccia sul fondo, assisteremo all’arrivo di quei predatori che sono soliti sferrare i propri attacchi dall’alto mentre, se la mangianza esplode in senso contrario, sarà molto più probabile l’arrivo di qualche pesce che è solito cibarsi negli strati più bassi del fondale.

Occorre tenere in considerazione anche tutte le variabili che possono influenzare il comportamento della mangianza in funzione della corrente, della temperatura dell’acqua e, non da ultimo, della nostra presenza per non cadere in grossolani errori. L’arrivo sul fondo, così come i movimenti all’agguato, dovranno essere misurati, fluidi e mai nervosi in modo da non alterare, per quanto possibile, il comportamento della mangianza. In presenza di termoclino i piccoli pesci tendono a raggiungere gli strati più superficiali e più caldi dell’acqua, tuttavia, quando vi è un taglio d’acqua molto freddo e di svariati metri verso il fondo, capita di notare le castagnole compattarsi in piccoli gruppi anche in assenza di pericoli; così come le mennole schiacciarsi tra le rocce del fondo. In condizioni di forte corrente la mangianza tenderà a restare sollevata dal fondo solo dove vi è la presenza di qualche ostacolo che sia in grado di smorzare l’intensità del flusso dell’acqua e di offrire un valido nascondiglio in caso di pericolo.

Un grosso dentice finisce a pagliolo (Foto A.Balbi)

La pesca al dentice rappresenta una delle migliori occasioni per imparare a conoscere tutti gli aspetti del comportamento della mangianza. Con un predatore così difficile da insidiare è importante avere indicazioni circa la sua eventuale presenza e la direzione di provenienza. Trovare zone abitualmente frequentate da piccoli pesci è un ottimo punto di partenza che ci farà escludere a priori le aree dove manchi la presenza della minutaglia. Aiutandoci, perché no, anche con la strumentazione elettronica che abbiamo a disposizione, andremo alla ricerca delle nuvole di pesci che colonizzano i pianori, le risalite e le aree più isolate. E’ dunque importante avere la possibilità di muoversi e spostarsi in funzione di questa prima fondamentale regola: assenza di prede, assenza di predatori.

Nelle zone dove si ha la possibilità di insidiare il dentice è importante posizionarsi in modo da avere una visuale quanto più ampia possibile del fondale così da poterne scorgere, per tempo, l’arrivo. E’ preferibile avere la mangianza di fronte, piuttosto che alle spalle, proprio per sfruttarne il movimento così da poterne ricavare quante più informazioni possibili. In assenza di termoclino ed in presenza di una cigliata, conviene posizionarsi nella parte più alta della risalita che, spesso, coincide con la zona occupata dai piccoli pesci, luogo prediletto dai dentici per le loro fulminee incursioni. Stimoleremo la loro territorialità andando ad invadere una delle migliori zone di caccia. Inoltre, così facendo, se dovessimo scorgere gli sparidi nella parte più fonda dell’area di pesca, potremo tentare di correggere la posizione con una caduta, oppure risalire in superficie e procedere con un secondo tuffo. E’ altresì molto importante non avere ostacoli davanti a noi, né trovarsi in condizioni di eccessiva copertura per poter incuriosire il più possibile i dentici che, altrimenti, si terranno ben alla larga e difficilmente si porteranno a tiro del nostro fucile.

Purtroppo non sempre queste regole valgono. Nel caso di grossi esemplari isolati non in caccia, il cui incedere lento e staccato dal fondo è inconfondibile, capita che il movimento della mangianza non sia in grado di avvisarci per tempo dell’arrivo del predatore e così, quei segnali inequivocabili dati dall’arrivo dei pesci imbrancati, non trovano riscontro in questa situazione. Capita quindi di trovarsi il grosso pesce sbucare dal nulla con acqua velata, oppure arrivare da posizioni del tutto inusuali quando la visibilità è maggiore.

Un dentice catturato grazie alle preziose sentinelle (Foto A.Balbi)

Una volta subito un attacco la mangianza tenderà ad avere comportamenti differenti. I pesci stanziali, che hanno nelle vicinanze le proprie tane dove rifugiarsi, tenderanno a ripopolare dopo poco la medesima zona: le castagnole, ad esempio, tendono a schiacciarsi sul fondo durante gli attacchi ma a riposizionarsi nella colonna d’acqua, appena scampato il pericolo. Proprio per questo comportamento battere le zone, per non dire appostarsi nella medesima posizione, dove vi è già stata la cattura di qualche dentice è una buona norma: gli sparidi tenderanno a frequentare quelle zone dove la mangianza è stanziale e la possibilità di incontrare le proprie prede sarà maggiore.
Diverso è il caso di pesci come cefali e salpe. In questo caso assisteremo a vere e proprie fughe di massa e difficilmente ritroveremo i pesci tranquilli nelle successive immersioni. I cefali cercheranno di intanarsi sotto qualche masso se il pericolo è ravvicinato, ma una volta usciti dai propri nascondigli, nel caso in cui sentissero la presenza dei predoni, tenderanno a darsi ad una fuga disperata verso altri ripari.

La discesa prima dell’appostamento (Foto A.Balbi)

Alla metà di ottobre di quest’anno mi sono recato in un posto spettacolare dove veri e propri muri di piccoli pesci ti attorniano ad ogni tuffo. L’arrivo su questa isolata lingua di roccia è sempre un momento di grande emozione. E’ un luogo dove ogni genere di incontro è possibile: dai dentici fino agli onnipresenti barracuda, dalle palamite alle grosse ricciole senza trascurare i grossi saraghi e cefali che si trovano in corrente sotto qualche ciglio.

Ho catturato diversi bei pesci in questo luogo e devo dire che ho imparato bene ad identificare quei segnali che permettono di capire qual è la strategia di pesca che dovrò mettere in atto. I primi aspetti che compio sono sempre di perlustrazione; il posto non è grande e non bisogna essere precipitosi: è importante avere pazienza e non sparare subito alla prima ‘preda normale’ ma cercare la Cattura. (Da quando ho adottato questo approccio alla pesca ho aumentato notevolmente le catture di pregio, un vero piacere!). Appostato su un massone a circa 8 metri dal fondo, nuvole di castagnole danzano davanti alla punta del fucile infastidite da un branco di barracuda che le innervosisce. Non cedo alla tentazione di tirare a questi divertenti predatori e dopo qualche altro appostamento sullo stesso punto decido di provare più in basso, verso la base della piccola secca, dove mi aspetto di trovare i dentici.

Una lunga planata mi porta ad appoggiarmi dietro una roccia ad un paio di metri dal fondo, un appostamento che sfrutto spesso, proprio mentre la mangianza ha un paio di inconfondibili sussulti per poi puntare decisa verso la mia sinistra. Da destra compaiono due barracuda che, col loro incedere per nulla intimorito, allertano un bel dentice che stava giungendo dalla stessa direzione ma qualche metro più in basso. Sembra tutto sfumato ma attendo comunque qualche secondo per poter capire se il branco di dentici è nascosto alla mia visuale o se si trattava di un esemplare isolato. Stavolta sono i pesciolini che si trovano esattamente davanti al mio fucile che, dividendosi in due, mostrano quell’inequivocabile comportamento che mi indica l’arrivo del dentice frontalmente. E’ un attimo, il pesce arriva di muso ed appena ho la sensazione che mi stia per mostrare il fianco scocco il tiro fulminandolo. Portarlo in superficie è una formalità, ammirarlo in tutto il suo splendore è la degna ricompensa di un’azione di pesca in cui tutte le scelte sono state quelle giuste.

Il Dentice di Ottobre – Pesca all’aspetto sulle secche della Calabria (2009)

Anche in questo caso la mangianza ha svolto un ruolo deciso per la cattura di questo magnifico pesce ribadendo, ancora una volta, l’importanza di saperne interpretare il comportamento.

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