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Il finning, distruzione degli squali per un prodotto inutile

Un esemplare di squalo grigio di scogliera (Carcharhinus amblyrinchos), morente a seguito all’asportazione delle pinne pettorali e della prima pinna dorsale, è diventato preda di piccoli pesci

Questo mese pubblichiamo un interessante contributo del Dott. De Maddalena, Curatore della Banca Dati Italiana Squalo Bianco Membro del Gruppo Mediterraneo di Ricerca sugli Squali. E’ con sdegno che vi illustriamo una delle pratiche più barbare e crudeli che si siano mai viste: il finning.

Ringraziamo il Dott. De Maddalena per la sua disponibiltà e la rivista “Il Pesce”, che ci ha gentilmente concesso di ripubblicare l’articolo già apparso sul suo numero 2 del 2001. Come pescatori subacquei e amanti del mare abbiamo il dovere di conoscere e combattere questi fenomeni.

Dott. Alessandro De Maddalena: IL “FINNING” OVVERO LA SISTEMATICA DISTRUZIONE DEGLI SQUALI A LIVELLO GLOBALE PER L’OTTENIMENTO DI UN PRODOTTO INUTILE

La “zuppa di pinne di pescecane” è un piatto Cinese di origini antichissime, ma solo in tempi relativamente recenti ha avuto una grande diffusione nell’intero Oriente e nel resto del mondo. Viene preparata utilizzando le fibre di collagene presenti nelle pinne degli squali. La parte della pinna che viene utilizzata contribuisce a dare alla zuppa una consistenza gelatinosa, aggiunge cioè “corpo ” a questo piatto, ma è di sapore pressoché nullo, di conseguenza la zuppa viene insaporita con altri ingredienti quali pollo, granchio, abalone.

In origine tale delicatezza era considerata un cibo riservato alle classi più ricche essendo molto costosa, sia a causa delle difficoltà di ottenere la materia prima su ampia scala, sia per il fatto che il processo di preparazione per il consumo è di una certa complessità. Ai nostri giorni purtroppo la situazione è assai mutata.

Con i moderni mezzi di pesca su larga scala, la materia prima per questo piatto può essere ottenuta in quantità immense ed in tempi brevissimi. La zuppa di pinne di pescecane continua a venire considerata uno status symbol, molto utilizzata soprattutto per pranzi ufficiali e cerimonie, ed il suo prezzo è più che mai elevato (in un ristorante di Hong Kong si può spendere dai 10 ai 100 dollari per questo piatto a seconda della quantità e del tipo di pinne utilizzate).

Tuttavia il miglioramento della qualità di vita in Cina ha fatto sì che un ampio spettro di persone possa oggi permettersi di consumare questo cibo, e la domanda del mercato continua ad aumentare.

La produzione ed il commercio di pinne sono massimi in Cina, Hong Kong, Singapore, Taiwan, Giappone, ma i dati disponibili circa l’effettivo ammontare di questo mercato sono spesso lacunosi.

Squali e pinne in un mercato ittico di Taiwan: in primo piano un mako dalle pinne corte (Isurus oxyrinchus). (Foto R. Chen / WildAid)

L’insieme di questi fattori ha portato a conseguenze disastrose per numerose popolazioni di molte specie di squali, che sono state e continuano ad essere decimate selvaggiamente per ottenere le pinne. Il fatto che le pinne abbiano un valore sul mercato altamente più elevato di quello che ha la carne del corpo, ha portato al cosidetto “finning”, che potremmo tradurre coniando il termine di “spinnamento”, ossìa alla pratica della pesca dello squalo con immediata asportazione delle pinne e conseguente scaricamento a mare dell’animale così orrendamente menomato. Coloro cbe praticano questa pesca preferiscono riempire le loro navi di sole pinne o con altri pesci di maggior valore, quali tonni e pesci spada, piuttosto cbe con i corpi degli squali. Si tratta ovviamente di uno spreco di cibo inaccettabile oltre che di una pratica moralmente intollerabile e assolutamente non necessaria.

Tutta la carne del corpo, pari al 95-99% dello squalo, è infatti buttata via, e l’animale privato delle pinne, se non è già morto quando viene tirato a bordo è comunque destinato ad una inutile agonìa.

Gli squali sono animali estremamente vulnerabili, soprattutto a ragione del fatto che hanno dei meccanismi di riproduzione delicati. Impiegano diversi anni per raggiungere la maturità sessuale; hanno periodi di gestazione lunghi, che giungono fino ad un massimo di due anni; infine producono un numero di piccoli basso o comunque relativamente ridotto per volta, da uno ad alcune decine di individui, anziché migliaia o milioni come avviene invece nei pesci ossei.

Per le pinne vengono cacciate numerose specie, senza fare alcuna discriminazione di taglia, anche perché un giovane squalo è spesso comunque un grosso pesce.

Nelle acque del Costa Rica un pescatore ha appena catturato un esemplare immaturo di squalo sericeo (Carcharhinus falciformis) ed è in procinto di asportarne le pinne. (Foto D. Higgs /Enviromnental Press Agency)

Tra le molte specie che vengono pescate per il finning, vi sono verdesche (Prionace glauca), squali mako (Isurus sp.), pesci martello (Sphyrna sp.), longimani (Carcharhinus longimanus), squali grigi (Carcharhinus plumbeus), squali bruni (Carcharhinus obscurus), squali limone (Negaprion brevirostris), spinaroli (Squalus sp.), squali bianchi (Carcharodon carcharias), squali tigre (Galeocerdo cuvier), pesci volpe (Alopias sp.), cetorini (Cetorhinus maximus) e squali balena (Rhincodon typus). Le pinne ritenute di maggiore valore sono la prima dorsale, le pettorali ed il lobo inferiore della caudale. Il finning rende tralaltro impossibile qualsiasi studio del pescato, essendo arduo quando non ineffettuabile il calcolo relativo alle effettive catture di individui come pure qualsiasi altra osservazione sugli esemplari. Non si vuole affermare che gli squali non debbano venire pescati: al contrario, lo sfruttamento di questa risorsa alimentare è, per molti Paesi, fondamentale. Quello che è necessario è sfruttare questa risorsa in maniera corretta, per impedirne l’esaurimento nel giro di breve tempo: la diminuzione delle popolazioni di molte specie di squali è ormai fin troppo chiara ovunque. Il finning dovrebbe pertanto venire proibito in tutti Paesi, e la pesca degli squali in genere dovrebbe venire regolamentata. Purtroppo, malgrado le ripetute richieste da parte della FAO e gli allarmi lanciati da molti ricercatori, solo pochi Paesi hanno delle leggi esaustive in merito e gli sforzi che vengono fatti per mutare la situazione sono del tutto insufficienti.

Il finning è attualmente proibito in Stati Uniti, Canada, Brasile, Australia e Oman. In Italia vengono consumate grandi quantità di carne di pesci cartilaginei in genere, per lo più provenienti da altri Paesi, tanto che, secondo i dati pubblicati dalla FAO, che pur devono essere considerati ampiamente lacunosi, saremmo i maggiori importatori a livello mondiale. Fortunatamente il nostro non è tra i Paesi che praticano il “finning”, e da noi le pinne al contrario vengono scartate.

L’Italia è comunque purtroppo da includere tra quelle Nazioni in cui non sono stati sino ad oggi raccolti dati esaurienti sulle specie oggetto di pesca, che sono invece necessari per istituire corretti piani di conservazione.

Pinne di squali lasciate essiccare al sole

Per queste ragioni, Peter Knights, direttore dell’organizzazione statunitense WildAid, ha deciso di dare il via allo Shark Conservation Program, una campagna volta da una parte alla sensibilizzazione del grande pubblico su questo tema di drammatica immediatezza, dall’altra a spronare le autorità competenti dei diversi Paesi a svolgere le necessarie indagini sulla pesca di questi animali e a porre infine una regolamentazione agli sfruttamenti scorretti. Come testimonial dell’iniziativa è stato scelto lo scrittore Peter Benchley, autore del celebre romanzo “Jaws” (“Lo squalo”), dal quale il regista Steven Spielberg trasse il film omonimo.

Alla fine di Febbraio, nel corso di una conferenza stampa tenutasi a Roma, alla quale hanno preso parte anche l’autore ed il fotografo subacqueo Alberto Luca Recchi, WildAid ha presentato il rapporto “The end of the line?”. In tale pubblicazione, redatta da Susie Watts con l’ausilio di molti tra i maggiori ricercatori specializzati nello studio degli squali a livello mondiale, vengono esposti con chiarezza i maggiori problemi inerenti alla pesca dei Pesci cartilaginei. Nel corso di tale incontro è stata anche fatta presente al rappresentante dell’ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Applicata al Mare, il principale organo italiano deputato allo svolgimento delle ricerche nel campo della biologia marina e della pesca) la necessità di un maggiore sforzo per il raggiungimento di una corretta gestione degli squali delle nostre acque.

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