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Squali ! Pericolo Vero, O Storie Metropolitane ?


Ospite verbulex

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Ospite verbulex

Vorrei porre a tutti una domanda riguardante gli squali. Ho letto un sacco di cose sugli squali, ed in particolar modo riguardo alla nostra disciplina. Ora mi chiedevo se c'è d'averne paura veramente oppure , molte, sono storielle metropolitane che non hanno credibilità?

:unsure:

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Io di squali ne ho visti parecchi. Però li ho presi tutti con la canna, con il fucile mai.

Una volta ero a palamite con mio padre e tutto d'un tratto non abbiamo più visto un tocco. Dopo due minuti vedo na pinna a 10 15 metri di distanza che si avvicina lentamente, allora ho preso una lenza di una canna e con la sarda ho fatto penzolare l'amo a pelo d'acqua. lo splendido pesce si ingoia tutto a 50 cm dalla mia mano come se niente fosse. così ho catturato una verdesca di quasi 20 chili.

Ma in acqua con il fucile non li ho mai visti. Penso che però se si dovessero avvicinare ad uno di noi lo farebbero sicuramente lentamente ma morderebbero. L'unica condizione che deve sussistere è la fame, altrimenti ci starebbero molto alla larga. :sub:

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Lo squalo è ben presente in tutti i nostri mari anche se negli ultimi anni è in rarefazione, come tutto tra l'altro.

Rappresenta la nostra paura, ogni volta che ci troviamo in situazioni difficili la nostra prima paura è lo squalo.

 

Mare mosso con schiuma, mancato contatto visivo col fondo, corrente sostenuta , sono le condizioni che innescano la paura da squalo che poi altri non è che la classica fifa atavica dell'ignoto ben rappresentata dall'istintivo spirito di preservazione alla predazione da "denti aguzzi".

 

Il vero pericolo che dobbiamo affrontare in acqua a parte noi stessi non sono certo gli squali, ma piuttosto sono le barche, eppure tutti temiamo questi ipotetici predatori.

 

Dimostrazione:

ho paura dello squalo in Toscana

ma pesco in oceano.

 

Ho paura dello squalo perfino al lago su una parete con acqua torbida (c'è sempre qualcosa che risale dal nero per agguantarmi, anche se mentalmente respingo con forza, ma la fifa istintiva resta), ma non ho paura dello squalo alle Maldive o a Zanzibar e neppure a Cayo Largo anche se li vedo e vado perfino a cercarli.

 

Come la mettiamo?

 

 

Mauro

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beh è un discorso di numeri.

 

A quanto scritto nel manuale di Bardi in italia si ricordano 2 attacchi:

uno nel 1956 non mortale e uno nel 1988 a Piombino mortale.

 

2 casi in 50 anni mi sembrano pokini per allarmarsi, ma si sa...la paura fa parte del nostro inconscio.

 

Ciao!

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Ospite francovillani
Vorrei porre a tutti una domanda riguardante gli squali. Ho letto un sacco di cose sugli squali, ed in particolar modo riguardo alla nostra disciplina. Ora mi chiedevo se c'è d'averne paura veramente oppure , molte, sono storielle metropolitane che non hanno credibilità?

:unsure:

 

 

Guardati un po' questo.......

 

Video

 

:bye::bye:

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Vorrei porre a tutti una domanda riguardante gli squali. Ho letto un sacco di cose sugli squali, ed in particolar modo riguardo alla nostra disciplina. Ora mi chiedevo se c'è d'averne paura veramente oppure , molte, sono storielle metropolitane che non hanno credibilità?

:unsure:

 

Ma lo volete sentire un raccontino serio sugli squali?

:smoke:

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Come purtroppo si evince dall'ultima tragedia albanese non sono gli Squali che uccidono il pescasub,ms le Cernie. Ho assistito a pescate in mezzo agli squali, vengono per mangiarti il pesce che hai preso, ma non attaccano mai direttamente il sub. ECCEZIONE va fatta per il Bianco, Tigre, Estuarino(Bull Shark, che non è lo Squalo Toro )

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Ma lo volete sentire un raccontino serio sugli squali?

:smoke:

 

e ce lo chiedi?!? dai racconta!

Ho esitato a lungo prima di dare "in pasto" al pubblico questo che fa parte di un ciclo di racconti: non vorrei passare per uno che ha manie di protagonismo, ma mi sembra che sull'argomento non ci sia molto in circolazione.

Questo è un racconto che risale a un paio di anni fa e che fa parte di una raccolta che, magari, un giorno riuscirò anche a pubblicare da qualche parte, se trovo qualcuno che possa apprezzarla. Se no...: ai posteri! Riguarda la mia prima esperienza assoluta con uno squalo, in seguito alla cattura di una grossa cernia arigue a Cuba nel 2001.

Per ragioni di spazio non ho potuto inviarla nella sezione racconti-esperienze e poi, prima, vorrei sapere che ne pensate voi: se, in fondo, è il caso di continuare o no. L'ho messo in un questo post, che avete aperto voi, perchè così, chiunque abbia avuto esperienze con questi animali, dovunque, potrà aggiungere del suo.

 

ARIGUE

 

Mentre Renè remava verso la costa, ci collocammo seduti sul paiolato sanguinolento della piccola imbarcazione di legno per renderla più stabile. Il mare s’era alzato lievemente quando stavamo immersi ed una nuvolaglia blu si delineava a nord: presto sarebbe arrivato un frente frio dalla Florida, recando groppi e temperature più basse.

....

L’alta marea ci sospingeva e le onde ci accompagnavano al giardinetto di poppa: qualcuna riusciva a frangersi sulla sponda, infradiciando Tita e Willian seduti sulla panca del timone. Si erano comportati bene per essere la prima volta, in assoluto nella loro vita, che montavano su una barca che si dirigeva in mare aperto e non avevano sofferto il mal di mare, mentre Renè era il barcaiolo.

Comunque era evidente che la prospettiva di approdare li rendeva stranamente sollevati ed euforici: scherzavano e cercavano di ridere su ogni cosa che gli dicevi, perfino se gli domandavi che ore erano. Eravamo già arrivati sul bassofondo costiero, che si estende per circa un chilometro dopo il frangente ed io mi ero calmato dopo l’immersione di oggi....

...Accarezzavo l’arigue che avevamo tirato fuori: il suo bel colore rosso a pois celesti si stava spegnendo dopo la morte: piccoli e trasparenti crostacei simbionti sulla pelle, ancora si spostavano sul muco delle squame alla ricerca di umidità. Chiesi a Neti se vi avesse visto delle remore attaccate al momento della cattura, ma non ci aveva fatto caso: il pesce s’era subito ficcato in una tana, trascinandosi l’asta dietro e ancorandosi all’interno con gli scudi delle guance.

 

Stavamo pescando ad un miglio e mezzo dalla costa, a 400 dal reef.

Io mi trovavo a più di 50 metri da lui in quel momento: ma sentii il rumore della fucilata anche da quella distanza ed alzai la testa per osservare Renè, che dalla barca, mi indicasse dove si trovava Neti.

Renè, che mi cercava a sua volta, appena mi vide si sbracciò indicandomi la direzione; Tita e Willian, da poppa, mi osservavano allarmati, ma senza parlare.

Raggiunsi la sua verticale mentre Neti emergeva da –25 metri. Rapidamente mi spiegò che era successo, mentre teneva ben teso in mano il sagolone collegato al fucile rimasto sul fondo, e ci ossigenammo per qualche minuto a galla, con la maretta che spesso mi allagava il boccaglio. Lo sciolsi dal cinturino della maschera, lasciandolo galleggiare attaccato solo per la bocca.

La visibilità era a stento di dieci metri, alla faccia delle cristalline acque tropicali che si vedono nei depliants. Ma qui normalmente è sempre così, e a volte anche peggio: scendemmo in coppia, io col mio fucile, lui tirandosi con la sagola che si perdeva verticalmente nel nero del fondale.

Mentre scendevamo la visibilità peggiorava: l’acqua era piena di particelle in sospensione che ingrigivano subito i colori. Eravamo all’inizio dell’alta marea e fino a quel momento aveva imperversato la fase di bassa, che aveva trascinato qui al largo tutte le porcherie della laguna di Nicaro attraverso il canale della Dogana.

Alla fine si cominciò lentamente a materializzare il cabezo (1) dove si trovava intanata la cernia ed il cordino dell’arpione si perdeva dentro ad un crepaccio costellato di madrepore e violacee spugne incrostanti. Ci dirigemmo verso l’apertura e diedi un’occhiata al profondimetro dell’orologio: segnava -26,7.

-A questa profondità non si può lavorare più di 15-20 secondi!- pensai preoccupato, intuendo presto che l’arigue si era intanato bene, ma cercai di rilassarmi per non compromettermi l’autonomia.

Neti aveva infilato il braccio nell’anfratto cercando a tentoni di afferrare l’asta lunga un metro e 20, che doveva essere finita un bel pezzo dentro; io girai intorno alla sommità rocciosa, in cerca di un’altra apertura. Non trovai niente, anche se mi pareva di aver capito che da una certa angolatura, sul lato opposto, ci fosse qualche speranza di poter guardare dentro.

Tornai su, seguito da Neti.

Trovai la barca in linea sulla nostra verticale e Renè che remava con regolarità per mantenere la prua al mare. Quest’ometto, secco e muscoloso, di 47 anni, non si stancava mai.

Era capace di remare per tutto il giorno, con mari molto più brutti di oggi, senza bere né mangiare, né fermarsi a riposare. Spesso s’era fatto a remi il periplo di Cayo Saetìa: più di 20km per lato! La sua benzina era il rum e aveva solo bisogno di farsi un sorso di tanto in tanto, per questo e per la sua perenne disponibilità ad accompagnarmi, gli portavo sempre una bottiglia o due di Pinilla, o di Bariay.

Mi chiese come andava e gli risposi che avevo paura che sarebbe stato un casino.

–Alternatevi a scendere- mi consigliò.

Mi sganciai un piombo dalla cintura e restai con un solo chilo di zavorra: anche con la 3 mm. avrei avuto più difficoltà a scendere nei primi metri, ma per risalire sarei stato un missile.

Neti si era immerso di nuovo dopo aver passato il sagolone a Renè, che gli aveva subito dato volta intorno alla bitta di poppa. La lancia restò a fluttuare sulla verticale della tana mantenendo la tensione.

Aspettai che ritornasse, prendendo forma a poco a poco, mentre risaliva aiutandosi con la cima, guardando giù verso il sagolone: ma quando apparve non aveva niente. Toccava a me.

Affiorando si appoggiò alla barca e mi disse che aveva alato un pochino l’asta, puntandosi coi piedi sul cabezo per fare forza. Renè provò la tensione della cima e fece segno di sì con la testa.

Mi ossigenai sfiorando l’iperventilazione per un po’, quindi scesi, decidendo di lasciare il fucile sul fondo per facilitare la risalita. Alla prossima discesa avrei potuto aiutarmi anch’io con la cima.

Stavolta andai subito sul lato opposto della torre di corallo: trovai una fenditura stretta ma promettente e guardai dentro. Era molto buio e aspettai impaziente che mi si abituassero gli occhi all’oscurità: mi rimproverai per il fatto di non essermi ancora portato una torcia dall’Italia, mentre stavo col lungo e scomodo fucile puntato dentro la tana. Poi mi parve d’intravedere un chiarore davanti a me: non riuscii a capire che cos’era, ma intanto mi ritrassi e tornai su, preoccupato per la risalita. Lasciai il fucile mezzo infilato dentro per ritrovare il punto ed attaccai a pinneggiare profondamente verso l’alto, aiutandomi con la cima, mentre il boccaglio, libero dal cinturino e dalla resistenza, si fletteva sotto al collo.

A metà percorso intravidi un branco di barracuda sui 4-5 kgs che stazionavano incuriositi dopo la fucilata di Neti, ma non c’erano nè tempo, né armi per pensare a loro. Sperai che si fermassero abbastanza a lungo, per quando avessimo finito con l’arigue.

Neti era a galla con un espressione di attesa attraverso la maschera e gli riferii le mie impressioni.

Scese subito dopo, io restai attaccato alla barchetta a recuperare. Ma mi dava fastidio il suo dondolio e me ne staccai subito, restando a fluttuare in totale abbandono, rilasciando ogni muscolo, ad occhi chiusi.

Quando li riaprii Neti era tornato su, con brutte notizie ed ancora a mani vuote.

L’arigue era ancora vivo e vegeto e si era rimangiato quel pezzetto di cima che avevamo recuperato faticosamente, approfittando di un calo di tensione da parte della barca.

Bestemmiai in italiano e maledissi le cernie come razza. Ora avevo la certezza che sarebbe stata un’operazione lunga e pericolosa. A Neti non dovevo insegnare niente, ma aveva contravvenuto ad una delle regole a cui giunge da solo un pescatore subacqueo con una certa esperienza: in apnea non si può sparare a cernie grosse, così profonde, senza ammazzarle. Se si intanano si può andare incontro a delle disgrazie.

Neti è molto bravo, ma è un po’ avido.

Mi immersi nuovamente e rividi i barracuda: come sempre, pareva sapessero che stavo senza fucile e mi scortarono per un bel tratto di discesa. -vaffan**lo pure voi!- gli indirizzai, decidendo di ignorarli d’ora in avanti.

Bisognava trovare un’alternativa al crepaccio dove si era incastrato il pesce.

Mi diressi lì dove avevo lasciato il fucile, facendo fuggire una torma di cuberetas di 3 libbre, che si erano radunate ad osservare quello strano arnese sul fondo.

Sbirciai dalla fenditura e colsi un movimento indistinto non appena mi affacciai: non stavo col fucile pronto e mi aveva bruciato sul tempo, ma era di certo la fottuta cernia.

Era troppo scura lì all’interno per distinguerla e mirare bene, ma era lì, avevo avuto ragione a guardare da questa parte!

Il crepaccio attraversava la torre rocciosa da parte a parte e il pesce tirandosi l’asta così dentro, era finito nel lato opposto. Evidentemente la tana creava un gomito che m’impediva anche di scorgerne la forma in controluce. Non sapevo se tirargli a casaccio confidando nella sua mole, oppure aspettare la prossima immersione per vedere se la situazione luce migliorasse; ma anche così, se intanto si fosse mossa, chissà dove sarebbe finita.

Frugavo le tenebre in cerca di un indizio strizzando gli occhi, ma niente, era proprio notte fonda.

-Niente!- ripetei mentalmente di nuovo -‘Sta figlia di pu**@n@!-.

Ero stato sotto oltre il tempo limite, tornai su tirandomi duro con la cima e quando emersi mi colsero delle leggere convulsioni. Succede quando oltrepassi la tua autonomia: mancano pochi secondi per svenire, ma stavolta ancora me la cavai con 4-5 sospiri e mi passarono. Aspettai un po’ per raccontare la scoperta a Neti, ma lui, dopo avermi squadrato con un’occhiata per capire come andava, non aveva perso tempo e già si era diretto giù. Sperai che non si mettesse a tirare la cima dal lato opposto: se l’arigue sentiva il dolore era capace di spostarsi verso l’interno e allora buonanotte…

Quando tornò su, non mi ero ancora ripreso a sufficienza.

Mi disse che aveva visto la cernia lì dov’ero andato io e sembrava che non fosse più incastrata: mostrava le pinne pettorali e, in parte, il bianco della pancia. Doveva essere l’asta ad essersi intrappolata in qualche rientranza del corallo. Lui non le aveva sparato perché aveva capito che da lì non si sarebbe mossa, ma era preoccupato per l’asta, che non si vedeva neanche sporgere dal corpo. Dedussi che mentre tornavo su, la cernia aveva cercato di spostarsi verso l’interno, ma l’asta o la sagola, trattenendola, l’avevano fatta ruotare su se stessa: per questo ora se ne intravedeva il ventre.

Decidemmo di riscendere insieme di modo che, mentre uno mirava e tirava, l’altro cercava di sfilare il pesce di slancio dalla tana, approfittando dell’attimo di rilassamento dei muscoli, che la fucilata provoca sempre. Anche se risultava incastrata, avremmo ottenuto almeno di finirla.

Dalla barca Renè si sforzava di intendere quello che ci stavamo dicendo, mentre gli altri due si stavano annoiando: Tita si era avvolta uno scialle intorno alla testa contro il sole e Willian osservava assente l’orizzonte.

Le cose si svolsero così: dall’imboccatura, ponendomi di sguincio, riuscii adesso a scorgere il chiarore del ventre, fermo ad un metro e mezzo da me. Dalle dimensioni delle pinne capii che doveva pesare tra i 25 e i 30 kg.

A sagola sciolta inserii la mezza velocità e mirai dove intuivo che si trovasse la testa.

Quando il colpo partì, il pesce non si mosse. Un verde filo di sangue e sedimenti cominciò vagamente ad uscire da una fessura sulla volta del crepaccio, che non avevo notato; le pinne tremolavano.

Neti tirò immediatamente la sagola che teneva in mano, mentre io mi facevo da parte e risalivo: guardando in basso, vidi parte del corpo della cernia già fuori, mentre il cubano cercava di estrarlo abbrancandolo con le mani nude. La cernia doveva essere morta sul colpo: il suo corpo era quasi nero a quella profondità ed avrebbe rivelato i suoi colori sgargianti solo una volta al sole.

Quando ci ritrovammo, ancora a bocca asciutta, in superficie, Neti mi spiegò che l’arigue era praticamente fuori, ma lo tratteneva la prima asta che, mentre pareva che stesse sfilandosi bene, si era attaccata di nuovo a qualche asperità della tana: avremmo dovuto tagliare il suo filo e tirar su tutto col mio sagolino, poi recuperare il fucile. Ero già più sollevato, ma aspettavo ad essere soddisfatto, memore di altri momenti analoghi in Italia, che a volte si erano conclusi con la perdita di pesce e asta.

S’incaricò lui di farlo: se avessi sentito il segnale lo avrei “cordelado” (2).

Sparì nel buio e dopo un po’ avvertii i tre strattoni: cominciai ad alare a due mani.

Apparve prima il mio fucile flottante poi lui, pinneggiando, calmo, con una mano sulla sagola ed una a tenere la grossa cernia, che diventava progressivamente più rossa avvicinandosi alla superficie. Aveva le due lunghe aste attaccate, una sul dorso, quasi parallela al corpo, l’altra nel cranio con le alette in alto. Ora che il sole la cominciava ad illuminare se ne vedevano le dimensioni, e la bocca aperta le rendeva più impressionanti.

Ma ci era qualcos’altro che stava venendo su, oltre a Neti.

Stavo riflettendo sul perché se la fosse tirata dietro, ora che era morta e si sarebbe potuto risparmiare la resistenza che ne derivava, così in un primo momento non lo colsi che distrattamente, troppo interessato a Neti e alla cernia e lo percepii come un secondo subacqueo che risaliva.

Poi ci ripensai….:- Ma quale altro subacqueo?-

Alle spalle di Neti, a neanche 10 metri, uno squalo lo seguiva risalendo verticalmente!

Seguirono 10 secondi di fuoco.

Sentii tutti i peli del corpo drizzarsi contemporaneamente, mentre mi veniva voglia di urlare a Neti di stare attento e bevvi involontariamente una sorsata di fottuto Atlantico. Non riuscivo a sputarla dal boccaglio sciolto, ma non potevo distogliere gli occhi da lì e restai senza aria, tossendo con lo sguardo inchiodato. Mai avevo avvertito un tale senso del pericolo per tutto il corpo, che faceva il paio con quello d’impotenza: ora non c’erano più fucili carichi e Neti non s’era nemmeno accorto di niente. Non mi stava manco guardando.

-Meeeerdaaa!!!- riuscii infine a pensare urlandolo dentro di me- Uno squalo di mmerdaa!!-

Non sapevo che fare, ero paralizzato ed avevo mollato il filo con cui stavo tirando su Neti e lui se n’era accorto e stava alzando lo sguardo interrogativamente, mentre era ancora a 8 metri sotto. Improvvisamente, in maniera quasi automatica, mi immersi e decisi di andargli incontro, sperando che, sotto, lo squalo lo fraintendesse per un atto aggressivo.

Mi capovolsi sotto gli occhi ancora perplessi di Neti che quasi aveva smesso di salire, ma appena mi misi in verticale, m’accorsi che lo squalo già se ne stava andando per conto suo verso il fondo, allontanandosi obliquamente in maniera pacata. Raggiunsi Neti e glielo indicai mentre si perdeva presto nel nero delle profondità.

Lo osservò con attenzione e, con l’ultimo colpo di pinne, emerse.

Appena a galla chiamai a gran voce Renè che già si era allontanato di una trentina di metri, ora che non era più “ancorato”alla tana, ma rimisi subito la maschera nell’acqua per controllare dove fosse finito.

Neti era calmo e stava strigando il groviglio di sagola che si era formato intorno alla cernia.

Gli feci:- Merda, ma che c@**o ti metti a fare, adesso? Molla ‘sta bestia maledetta e monta in barca di corsa!!- Con mia grande sorpresa vidi formarsi un sorrisetto sul suo volto: si sollevò la maschera sulla fronte con fare compassato e mi disse:- No, amigo.... Io quello lo ammazzo.-

Al momento neanche capii quello che diceva, perché non facevo che mettere la faccia dentro e fuori dell’acqua, ed intanto era arrivato Renè. Poi me ne resi conto e gli dissi- Ma tu sei pazzo! Non hai capito un ca**o, allora! Ti stava seguendo dal fondo attaccato al culo ed era lungo più di tre metri!-

-Sì, era una bella tintorera.- rispose calmo.- Ma tra un po’ ritorna.-

Infilai subito la testa di nuovo sotto per controllare quello che diceva: non si vedeva niente; il mare era vuoto.

Ero incapace di pensare, ero troppo agitato.

In trent’anni di pesca questo era il primo squalo che mi capitava di vedere in acque libere, dopo essermi immerso in una decina di mari diversi e in situazioni molto più inquietanti. Avevo sempre paventato questo momento, chiedendomi come avrei reagito. Ecco il risultato. Ciò che maggiormente mi sconvolgeva era il ripensarci: stavamo a -26 tranquillamente in compagnia di questo mostro, che stava girandoci attorno da chissà quanto, e con una cernia che eruttava sangue. E se m’attaccava mentre risalivo? Il pensiero mi diede una nuova scarica di adrenalina che mi fece tremare i quattro arti per diversi secondi.

L’atteggiamento di Neti mi innervosiva e mi tranquillizzava allo stesso momento: sapevo che ne aveva già visti molti e catturato perfino qualcuno, ma non sapevo se credere al suo sangue freddo, o diffidarne e schizzare istintivamente fuori dall’acqua. Oggi avevamo una barca…

Frattanto quello si era messo a raccontare tranquillamente l’accaduto a suo zio, a testa fuori dell’acqua, spicciando le sagole. Anche Renè non appariva preoccupato. Solo si era fatto più serio e s’era messo a salpare il fucile sul fondo. Per loro in fondo era una situazione quasi normale: stavano nel loro mare, proprio davanti a casa, ed erano pescatori che vivevano di quello. Willian e Tita invece stavano sgranando gli occhi e si protendevano in avanti per captare tutta la conversazione. Io continuavo a fare su e giù con la maschera, ma adesso avevo il fucile libero e lo caricai con difficoltà: le mani non mi volevano ancora ubbidire.

Poi, con orrore, mi accorsi che Neti, col suo bazooka carico stretto tra le cosce, si era messo ad aprire la pancia dell’arigue ed a pulirlo, estraendone le interiora in una nuvola di sangue che intorbidò l’acqua per dieci metri intorno e lasciandole in balia della lieve corrente.

Adesso m’incazzai e gli feci:- Ma che stronzata stai facendo?- Ma lui non mi rispondeva; allora Renè, ammiccando con un tono di voce rassicurante, mi disse di lasciarlo fare.

Mi avvicinai istintivamente di più alla pancia della barca, mai come adesso divenuta protettiva come un grembo materno: avrei voluto andarmene ma qualcosa mi spingeva a vedere anche come sarebbe andata a finire. Cercavo di recuperare la calma e mi sforzai di concentrarmi su particolari come l’avvolgere correttamente il sagolino sul suo supporto, dandogli ordinatamente i tre giri di prassi….. Ma dentro di me pensavo:- Questo è pazzo. E’ pazzo, porcod**! E’ pazzo!!!-

E il pazzo mi chiamò per parlarmi ed io lo sentivo da sotto la superficie, ma ero riluttante ad alzare la testa per ascoltarlo: ero certo che el tiburon stava per arrivare e quell’insano di mente neanche si degnava di controllarlo.

Alla fine sollevai la testa mezzo incazzato:- Eh, che c'è?- gli feci.

Lui colse il mio stato d’animo e il suo sguardo era quello di un medico che riconosce i sintomi del suo paziente. Mi disse con voce quasi professionale:- Ricardo, quando la tintorera ritorna io la lascerò mangiare finchè non si avvicinerà alla superficie, qui presso la barca....-

Si interruppe perché un’ondatina gli lavò la faccia.- Poi mi immergerò e la punterò lentamente e gli tirerò in testa. Tu devi fare lo stesso ma tirare alle branchie, scendendo nello stesso momento e con i miei stessi movimenti. Ci metterà anche qulche secondo per reagire, se non l’ammazzo. La sagola mia la tiene Renè, che la fisserà alla tanica. Tu taglia la tua.- Non avevo nemmeno capito bene e dentro di me il buonsenso mi urlava- Scappa!-

Ma intanto lo squalo era ritornato.

S’intravide dapprima la sua massa grigio-brunastra parallela al fondo ad una quindicina di metri. I capelli mi solleticarono la nuca sotto al cappuccio della muta.

Sparì ma, mentre già stavo tirando il fiato, tornò di nuovo.

Si sollevò sui 10 metri e restò in cerca dei pezzi di arigue fluttuanti nella corrente. Si era quasi fermato nel nuoto, ma ogni tanto ondeggiava col corpo. Mi venne un tuffo al cuore quando cambiò direzione e sembrò puntarmi: la linea della bocca pareva incisa con un taglierino. Era molto panciuto, non credevo che gli squali fossero così: li conoscevo dai documentari come snelli e scattanti. Ma stava solo annusando un pezzo di budella e si rigirò. Per un momento feci caso anche ai barracuda che saettavano eccitati ad ingozzarsi: si stavano mangiando tutto loro ed i loro movimenti nervosi contrastavano con l’apparente pesantezza dello squalo. Poi lo squalo andò lentamente a fondo e si dissolse nell’oscurità. Restavo col fiato sospeso, scandagliando con gli occhi a destra e a sinistra.

Non riapparve più.

Non stetti più lì ad aspettarlo: montai in barca, cercando di non rivelare la mia fretta agli occupanti. Il fucile lo scaricai da sopra.

Renè mi domandò che succedeva. Gli dissi che se n’era andato.

Si issò con riluttanza anche Neti, dopo aver ordinato la sua attrezzatura e avvolto le cime.

Non gli chiesi se avesse avuto davvero voglia di tirargli, perché era evidente di sì.

Gli dissi solo:- E se non l’ammazzavi?-

Lui minimizzando fece:- Si sarebbe incazzato, sì. Ma con due arpioni addosso aveva altro cui pensare!- Dubitavo che la mia lunga ma leggera asta del cyrano, di solo 7 mm di diametro, l’avesse anche solo potuto scalfire, ma mi azzittii: forse se l’avessi colto davvero nelle fessure branchiali, dove è più tenero, si sarebbe anche conficcata. Intanto, restava da vedere se dopo la prima fucilata, lo squalo sarebbe rimasto fermo ad aspettare la seconda. Se moriva sul colpo, allora non ce ne sarebbe stato manco bisogno, altrimenti probabilmente avrebbe caricato ed io sarei stato il più vicino.

Willian ci ascoltava a bocca aperta: sembrava che si fosse reso conto solo allora della situazione e iniziarono tutti a farci domande. Ogni tanto qualcuno si voltava a scrutare le onde preoccupato.

Renè si mise ai remi; io mi rilassavo mano a mano che cresceva la distanza da quel posto.

Mi accorsi che avevo ancora la maschera sulla fronte ed incominciai a spogliarmi. Il sole ancora era forte ma scaldava altre cose..

Neti adesso era passato alla fase delle bonarie prese per il culo. Avevo sempre negli occhi l’immagine dello squalo che risaliva dietro di lui e avevo poca voglia di scherzare, ma lui disse più serio:- Non mi avrebbe attaccato. Di certo aveva già mangiato ed era solo curioso.- Me ne stavo convincendo anch’io, dopo tutto quel sangue nell’acqua.

- E perché poi se n’è andato?- chiesi.

– Non se n’è andato. Ma stanotte torno laggiù con un palangre(3) innescato con un pezzo di murena, e domani ce lo troviamo attaccato.- mi rispose. La murena è considerata un’esca irresistibile per il tiburon, da queste parti. La gente non se la mangia, ma doveva averne qualcuna conservata per quest’evenienza.

Vedendo che non ero convinto, aggiunse:- Lo devo fare fuori presto. Altrimenti mi scaccia le testuggini e i chuchos (5)dalla zona- Aveva delle reti da posta nella zona, che lasciava fisse a bloccare l'accesso alle acque basse prima del reef.

Ci voleva una buona mezz’ora per arrivare a terra.

Guardai l’arigue steso sugli ombrinali e pensai che ce l’eravamo davvero cavata bene a quella profondità. 54 libbre: un bel mostriciattolo anche per queste acque. Almeno prima di aver visto quell’altro.

Neti e Renè si guardarono e poi continuò con tono canzonatorio:- Visto, Ricardo, che cosa ti può capitare a Corinthia? Sin embargo(4), tu dicevi che qui non ci era un c@**o…-

Seduto tra le cosce di Tita nell'acqua insanguinata, staccai la bocca dalla bottiglia di rum che Willian mi aveva offerto e sospirando gli risposi:- No es facil, compay: ya tu sabes…-

Lo squalo lo presero una settimana dopo. Io ero già partito.

 

Note.: 1 : sommità della secca 2 : da cordeliar, salpare 3 : coffa, palamito. 4 : eppure. 5 : aquile di mare. FINE

 

'mbè? Che ne pensate? ;)

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:unsure:

 

 

Guardati un po' questo.......

 

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:bye::bye:

 

 

 

MA ERA DOPATO QUELLO SQUALO...SEMBRAVA UN MICIONE SATOLLO E VOGLIOSO DI COCCOLE...

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