Il parco dell’Arcipelago de La Maddalena era una delle poche realtà protezionistiche in cui la pesca in apnea fosse ancora permessa. La regolamentazione negli anni era andata a stringere le maglie fino a consentirla, ovviamente in zone ristrette, soltanto ai residenti, che potevano pescare tutta la settimana durante la stagione invernale, mentre solo nei giorni di venerdì, sabato e domenica in quella estiva. Al netto di questi paletti poteva comunque considerarsi ancora un esempio di una qualche apertura mentale nei confronti della selettività di questo tipo di prelievo, anche in considerazione dell’esiguo numero di praticanti.
Indubbiamente un grande passo indietro, in Italia non accenna a tramontare il concetto secondo cui la tutela e la salvaguardia dell’ambiente passino solo per la totale sottrazione alla fruizione umana. Poco importa che il grande parco corso di Bonifacio, distante appena qualche decina di miglia dall’arcipelago maddalenino, sia la prova lampante di come la regolamentazione, anche della pesca in apnea, e non il cieco e ottuso divieto pregiudiziale, permetta di coniugare la salvaguardia del mare con il turismo naturalistico, che poi è la linfa vitale che permette ad una riserva di continuare ad esistere. I livelli di biomassa rilevati nelle due realtà parlano chiaro e dimostrano, ancora una volta e in maniera impietosa, come il modello protezionistico italiano, al netto di qualche incontestabile quanto rara eccellenza, sia protettivo decisamente più per le tasche di presidenti e consiglieri di questi carrozzoni ministeriali che non per flora e fauna.