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Assistenza all’apneista e sistema di coppia

| 25 Settembre 2001 | 0 Comments

Immergesi in coppia significa sicurezza

Cercheremo ora di analizzare aspetti fondamentali e principi dell’assistenza all’ apneista, tenendo conto che le situazioni reali in cui ci troveremo ad operare saranno molto varie e, probabilmente, richiederanno dinamismo e molta pratica per poter essere affrontate al meglio.

Prima di tutto è bene ribadire – e non lo si dirà mai abbastanza- che è indispensabile la presenza in acqua di un compagno fidato, esperto e che conosca bene le nostre capacità; così sarà semplice per il nostro amico-assistente capire se qualcosa non va anche con un semplice sguardo e ciò renderà molto più facile il suo delicato e vitale compito.

Oltre a questo, occorre che il nostro compagno ci stia vicino e ci osservi attentamente, senza perderci mai di vista; un assistente lontano o distratto è assolutamente inutile.

Tanto per essere chiari, ricordiamo che in caso di problema (samba, sincope, incaglio, ecc.), la nostra vita è nelle mani del nostro assistente; questo di per sé costituisce senz’altro un valido motivo per scegliersi la persona adatta con molta cura.

Per poter mettere in luce tutti gli aspetti riguardanti la corretta assistenza, esamineremo la situazione ideale, quella che ci consente la massima sicurezza, sapendo che ogni elemento che trascureremo nelle nostre uscite farà aumentare il margine di rischio che andremo ad affrontare.

Le condizioni ottimali sono quelle delle discese “pure”, in assetto costante.

Abbiamo quindi l’appoggio di un’imbarcazione, con un barcaiolo di fiducia e con a bordo tutte le attrezzature necessarie (ossigeno, kit di primo soccorso, ecc.).

Sull’imbarcazione verrà issata la bandiera regolamentare (rossa e bianca) e magari anche quella alfa (bianca e blu), a scanso di equivoci.

Caleremo in acqua il cavo guida, su un fondale dalla giusta profondità, e lo fisseremo ad un atollo che manterrà il cavo distanziato dalla barca di almeno 10 metri. Ovviamente l’atollo sarà vincolato all’imbarcazione con una cima, per evitare che si allontani. Questo accorgimento risulta utile quando l’apneista risale, perché gli evita di dover guardare verso l’altro e, magari, di doversi spostare per non finire contro ll’imbarcazione d’appoggio.

Foto: Alberto Balbi

Offrendoci un comodo appiglio, l’atollo risulterà utile anche durante la fase di preparazione alla discesa; se invece di utilizzare l’atollo dovessimo fissare il cavo direttamente alla barca, le onde ci farebbero sbattere sulla carena, disturbando la concentrazione.

Il cavo guida deve essere ben fissato e dimensionato (almeno 10-12mm di diametro) per potervisi afferrare e per tirarsi verso la superficie in caso di inconveniente, come la rottura di una pinna. Sarebbe ideale avere una squadra di sommozzatori di assistenza, ben attrezzati e preparati, ma questo è un elemento al quale si dovrà rinunciare quasi sempre, per ovvi motivi logistici ed economici.

Se l’apneista che scende è di buon livello (e perciò lo sarà anche il compagno) sarà difficile poter operare a vista, specialmente in condizioni di acqua non molto limpida; in questi casi è tassativo mantenere il contatto, o meglio la vicinanza, col cavo. Questo consente all’assistente di sapere con esattezza il punto in cui l’apneista riemergerà. Quasi tutti gli inconvenienti, per fortuna abbastanza rari, che si possono verificare operando in questo modo capitano negli ultimi metri di risalita (samba, sincope, ecc.), perciò il compagno si troverà nel posto giusto quando l’altro riemerge. Buona regola per gli assistenti è quella di andare incontro all’apneista mentre sta risalendo, in modo da intercettarlo a 8-10 metri di profondità, per poi seguirlo fino in superficie, standogli di fronte a circa un metro o due di distanza e guardandolo negli occhi. In questo modo sarà facile capire se la discesa è stata impegnativa e se l’apneista si sta pericolosamente avvicinando al “limite”.

Per poter operare con efficacia, è necessario che i due atleti si conoscano bene e siano molto affiatati; questo consentirà all’assistente di capire immediatamente, da uno sguardo o da un gesto inusuale, se c’è qualcosa che non va, risparmiando secondi preziosi per intervenire.

Per calcolare bene quando partire per incrociare l’apneista a 10 metri, sarà sufficiente conoscere le sue prestazioni, in termini di profondità e tempi che intende raggiungere in quella discesa, per valutare il momento giusto.

Discesa sulla slitta

Una partenza troppo anticipata da parte dell’assistente, prolungando eccessivamente la sua apnea, renderà inutile la sua presenza sott’acqua, dato che anch’egli si troverà ad affrontare un’apnea impegnativa, soprattutto se dovesse prestare aiuto al compagno negli ultimi metri.

Comunque, l’assetto neutro a -10 metri faciliterà il compito del soccorritore in caso di samba o sincope, poiché l’infortunato riemergerà praticamente da solo, senza dover essere tirato su e farà si che egli galleggi senza bisogno di alcun sostegno.

Ricordiamo che in ogni caso è bene osservare l’apneista anche dopo l’emersione, perché la samba può manifestarsi fino a circa 20 secondi dopo che si è ricominciato a respirare. Per questo motivo è bene che, non appena riemersi, ci si concentri unicamente sulla respirazione, che sarà praticamente un’iperventilazione (breve) di recupero. In questi momenti non si deve fare altro, non si parla, ci si muove il meno possibile e ci si osserva l’un l’altro. Eventualmente, ci si può togliere la maschera per facilitare la respirazione, soprattutto se la discesa è stata impegnativa. Solo quando si è sicuri che è tutto a posto, e quindi non prima di 25 secondi dopo l’emersione, ci si scambia l’OK od un semplice (purché chiaro) cenno d’intesa.

Prima di effettuare un’altra discesa, si deve essere sicuri che sia l’apneista che l’assistente abbiano recuperato a sufficienza.

Facciamo notare che al momento dell’immersione anche l’assistente deve essere pronto ad effettuare un’apnea, in caso debba intervenire a prestare soccorso, e deve perciò prepararsi come se dovesse essere egli stesso a scendere.

Tutto questo, però, è difficile da attuarsi in caso si stia pescando. Le cose che possiamo comunque fare sono quella di tenere la boa segnasub collegata all’apneista che scende, per dare al compagno un riferimento sul punto di riemersione, oppure pedagnare la boa sul fondo, avendo l’accortezza di risalire lungo la sagola della stessa. Teniamo presente che quando si pesca cambia leggermente la natura degli inconvenienti che si possono presentare, essendo le quote operative generalmente più contenute, ma andando incontro a maggiori rischi di incaglio sul fondo o simili.

La regola generale è sempre quella di avere un compagno esperto, che ci stia vicino, ci guardi e sia pronto ad intervenire.

In ogni caso, il compagno non serve solo per salvarci la vita, ma può esserci utile in numerose situazioni meno drammatiche, ma sempre importanti.

Pensiamo al caso in cui, mentre stiamo pescando a qualche centinaio di metri dalla barca o dalla riva, magari con un po’ di corrente contraria, ci si spezzi la pala di una pinna. Oppure veniamo colti da un bel crampo. O, magari, abbiamo la fortuna di sparare ad un bel pescione e ci serva una mano per riuscire a recuperarlo.

In tutti questi casi il nostro fidato assistente ci sarà di grande aiuto.

Non ultimo, c’è da considerare il fatto che poter condividere la gioia di una bella cattura o di una bella discesa, con un amico farà sì che le emozioni che abbiamo provato si amplifichino, diventando ancora più forti e speciali.

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Category: Altre discipline, Apnea

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