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Arbalete: oltre alle gomme c’è di piu’!

| 12 Aprile 2010 | 0 Comments

L’arbalete è una macchina elementare il cui funzionamento risulta di semplice comprensione ma, se ciò è vero, non lo è altrettanto individuare il peso strategico di ogni suo singolo componente; siamo infatti davanti ad uno stupefacente propulsore meccanico dove al variare di qualsiasi particolare o condizione, tutte le altre che seguono o precedono rischiano di dover essere rimesse in discussione da zero.
Molto si è già detto sulle aste e sul principale organo di propulsione cioè l’elastico, ma ancora poco spazio era stato riservato alle considerazioni riguardo i restanti elementi che costituiscono il fucile; cerchiamo quindi di colmare questa lacuna dando alcune indicazioni riguardanti il fusto e il meccanismo di scatto ivi alloggiato.

Il fusto è un elemento molto sollecitato (foto: A.Balbi)

Il Fusto ‘ tra dinamica e meccanica

Per comprendere l’importanza dell’elemento fusto nel sistema arbalete dobbiamo introdurre il ‘terzo principio della Dinamica’ meglio noto come principio di azione e reazione:

‘ad ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria’. Ciò implica che le mutue azioni fra due corpi siano sempre uguali ma dirette in senso contrario, quindi, ad ogni azione di un corpo A su un altro corpo B corrisponde una reazione uguale e contraria del corpo B sul corpo A.
Da questo principio ricaviamo che, ad una forza applicata tramite l’elastico all’asta nella direzione di moto della stessa, corrisponde una pari quantità di forza, ma di direzione contraria, che muoverà il fusto nella direzione opposta a quella dell’asta e quindi contro la mano del tiratore. Dato per certo che il movimento di rinculo risulta uno dei principali motivi di errore in fase di sparo, si comprende come il dimensionamento delle forze in campo e della massa del fusto giochi un ruolo strategico al fine di contenere gli effetti negativi del rinculo.
Fin dagli albori del progetto arbalete, si è cercato di impiegare nella realizzazione dei fusti materiali che, per peso specifico, fossero compatibili con l’impiego in acqua a cui erano deputati. Negli ultimi anni si è poi aggiunta la ricerca della rigidità come qualità intrinseca del materiale o della particolare geometria del fusto. La ragione di ciò è che una scarsa rigidità impedirà all’elastico di trasmettere all’asta tutta la quantità di energia ‘resiliente’ al netto di quelle dispersioni che comunque si verificano nella contrazione dell’elastico, e per rendersi conto delle quali basta leggere nelle tabelle esplicative del carico in kg degli elastici, oltre al valore riferito all’energia necessaria al ‘carico’ dell’elastico, quello riferito allo ‘scarico’.
E’ classico errore considerare impreciso un fucile dotato di fusto soggetto a flessione poiché tale flessione, genera solo dispersione energetica ma non ha alcuna influenza sulla traiettoria del dardo.

Un fusto in legno (foto: A. Balbi)

Tra i materiali più diffusi per la realizzazione dei fusti dei fucili subacquei troviamo il legno, per primo impiegato e oggi largamente riscoperto, l’alluminio, la fibra di carbonio e recentemente anche materie plastiche caricate con componenti aggiuntivi come la fibra di vetro o il più rigido carbonio. Non sono mancati tentativi di realizzare fusti impiegando altri materiali che sono poi naufragati a volte per via dei costi come per i fusti in titanio altre per la scarsa risposta meccanica rispetto a materiali concorrenti come nel caso dei fusti in ceramica surclassati dal carbonio. Le moderne tecnologie nella lavorazione dei tubi metallici permettono oggi di risolvere i problemi di forma consentendo di preformare il tubo classico nelle forme idrodinamiche, definite dai progetti, per vincere la resistenza dell’acqua al brandeggio o per ottimizzare il bilanciamento o ancora di integrare il guida-asta direttamente nel fusto. In alternativa si propongono fusti cilindrici in cui uno spesso strato di poliuretano espanso viene modellato al fine di produrre la geometria voluta senza la necessità di ricorrere a stampi costosi come quelli necessari per l’idroformatura.

Alcuni esempi di pesi specifici:

Alluminio 2,60 g/cm³
Titanio 4,87 g/cm³
Mogano 0,6 – 1,01 g/cm³ ca
Iroko 0,66 g/cm³ ca
Teak 0,68 g /cm³ ca

L’idroforming prende sempre più piede (foto: A. Balbi)

Il peso specifico dei legnami varia in funzione del grado di stagionatura, ma soprattutto in funzione delle porzioni di taglio rispetto al tronco madre.

E’ a questo punto che la dinamica e la meccanica devono incontrarsi e trovare un compromesso.
Le leggi della dinamica ci hanno dimostrato che per poter massimizzare le caratteristiche richieste ad un’arma subacquea quali potenza, gittata e soprattutto precisione è necessario proporzionare la massa del fusto al carico delle gomme preposte alla spinta dell’asta. Nel tentativo di aumentare la massa del fusto si deve però fare i conti con il peso finale del fusto stesso. Nell’aria i due concetti di Massa e Peso praticamente coincidono ma in acqua assumono un rilievo completamente diverso poiché sarà possibile aumentare la massa finchè sarà possibile rispettare la legge del galleggiamento dettata dal I° principio di Archimede:
‘ogni corpo immerso in acqua riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume d’acqua spostato’

In pratica nell’elemento liquido la massa, intesa come quantità di materia, rimarrà la stessa misurata a secco, mentre il peso, verrà controbilanciato dalla spinta positiva di Archimede. Nel caso dell’impiego di ‘materiali pieni’ grazie al loro peso specifico e nel caso dei ‘tubi’ grazie al rapporto tra il peso specifico del materiale e quello dell’aria imprigionata all’interno.

L’utilizzo del legno non è solo un vezzo (foto: A. Balbi)

E’ da questo necessario compromesso che deriva una forte riscoperta del legno, materiale che, in alcune essenze selezionate, abbina elevate caratteristiche meccaniche alla possibilità, conferita dal basso peso specifico, di sovradimensionare il fusto senza correre il rischio di violare lo sbarramento dettato dal principio di Archimede; valida anche le soluzione di aumentare la massa dei tubi inguainandoli in strutture preformate in modo da aumentare il volume d’acqua spostato ma di non gravare altrettanto sul peso finale rispettando il galleggiamento oppure l’impiego di materiali a basso peso specifico come il nylon al quale sono state conferite le caratteristiche meccaniche, carenti in natura, legandolo con la fibra di vetro o il più nobile carbonio.
La scelta della soluzione opportuna è spesso dettata da decisioni tecniche assolute; per fare un esempio, si pensi che la stessa testata di un fucile perfettamente bilanciata e funzionale se realizzata in legno potrebbe dimostrarsi difficilmente realizzabile o ingestibile dalla mano del pescatore se realizzata in tecnopolimero o viceversa. Capita però frequentemente che i processi industriali impongano di optare per soluzioni diverse poiché più adatte alla produzione di serie, per non parlare delle valutazioni di convenienza riguardanti i costi del prodotto. L’impiego del legno ha consentito ad un nutrito gruppo di appassionati di dedicarsi ad una intensa attività di prototipazione escogitando soluzioni che per le già citate esigenze industriali, forse non avrebbero mai visto la luce tramite la produzione di serie.

Il fusto del Phantom FV in nylon caricato vetro (foto: A. Balbi)

Esistono due modalità realizzative dell’arbalete: una è il risultato dell’assemblaggio meccanico tramite spine o viti di due o più parti del fusto, la testata, il fusto vero e proprio e il castello dove è fissata l’impugnatura e alloggiato il meccanismo di scatto, l’altra è invece il cosiddetto sistema monoscocca dove tutte le parti essenziali del fucile sono frutto di un unico stampo, estrusione o ricavate da un’unica tavola di legno; esiste poi una seconda via per realizzare un monoscocca e consiste nella saldatura di parti realizzate separatamente, questa tecnica viene usata esclusivamente per le realizzazione a base di plastiche caricate. E’ certo che la rigidità d’insieme ottenibile tramite il sistema monoscocca è difficilmente eguagliabile anche se, la previsione progettuale e il controllo restrittivo delle tolleranze dimensionali dei singoli pezzi che andranno ad accoppiarsi, permette oggi anche ai fucili assemblati di avere rigidità d’insieme di tutto rispetto.

Funzionamento di uno sgancio classico (foto: A. Zani)

Il meccanismo di scatto

I leverismi dello scatto sono il cuore del fucile, stanno al pescatore come il pedale del gas sta ad un pilota o il bisturi ad un chirurgo.
I primi meccanismi di scatto, simili a quelli da noi oggi impiegati, hanno radici lontanissime e venivano impiegati per rilasciare i dardi delle balestre terrestri. Il meccanismo è elementare, è composto dal grilletto e dal dente di scatto, normalmente vincolati tramite uno o più elementi armonici. E’ elemento soggetto a grande sforzo e necessità di finissima precisione realizzativa.
I carichi in kg che insistono sul meccanismo possono superare, nel caso dell’impiego di più elastici, anche i 100 kg quindi risulta fondamentale che siano docili alla pressione dell’indice anche quando sottoposti a grando trazioni.

Confronto tra sgancio tradizionale e arretrato (foto: A. Zani)

Il mercato offre due tipi di meccanismo: il primo che possiamo definire ‘classico’ e prevede il dente di scatto (A), l’organo che trattiene fisicamente il codolo dell’asta a fucile armato, in posizione avanzata e il grilletto (B), che ne governa il rilascio, in posizione arretrata; mentre il secondo, che possiamo chiamare meccanismo ‘arretrato’ e che prevede i due particolari invertiti cioè il grilletto (B) davanti ed il dente (A) di dietro.
Ma, a cosa serve e quali vantaggi porta quest’ultima soluzione?
I motivi sono due: il primo è che arretrando la zona di vincolo dell’asta, avremo un fucile di una determinata lunghezza nominale (che si misura dal vincolo della gomma alla tacca più arretrata) ma che di fatto avrà un ingombro reale inferiore, ad un suo omologo con scatto classico, di una quantità di spazio pari alla distanza tra i 2 elementi A e B (fino a 100 mm), avvantaggiando l’utilizzatore in termini di maneggevolezza dell’arma; il secondo è la possibilità di sfruttare una corsa dell’elastico maggiore, aumentando di fatto la quantità di energia installabile sull’arma, data dal rapporto tra l’energia immagazzinabile dalla sezione delle gomme e la loro corsa utile.
Perché il meccanismo funzioni a dovere, dovrà essere vincolato all’interno di una sede solidissima detta scatola di scatto in cui dente e grilletto dovranno dolcemente vincolarsi senza potersi permettere errori grazie, ancora una volta, alle strettissime tolleranze dimensionali con cui verranno progettati e realizzati i particolari del movimento. Questo è anche il motivo per il quale alcuni progettisti sono contrari ad inserire, all’interno del meccanismo, il sistema sgancia-sagola che potrebbe interferire con i precisi movimenti delle leve.
Negli ultimi anni hanno visto la luce anche alcuni tipo di meccanismi ‘speciali’, definiti così semplicemente per distinguerli da quelli tradizionali che rimangono soluzioni estremamente semplici. Tra i più noti di questa famiglia ci sono l’Innovation della Ermes per la proiezione di aste senza tacche, nei quali l’asta viene vincolata al dente di scatto tramite una fresatura sottostante al profilo e l’archetto, solitamente in dyneema vincolato ad un solo dente realizzato sul meccanismo, va a vincolarsi, in fase si rilascio, in uno scasso a 180° (orizzontale) realizzato sul terminale dell’asta.

Da qualche tempo possiamo anche apprezzare un singolare meccanismo, quello impiegato sul fucile Silohuette prodotto da ‘Maremania’, rivisitazione di un analogo sistema già presentato anni fa sull’Eros di PuraApnea e che consiste in un rovesciamento completo degli elementi che compongono il meccanismo.

Meccanismo a grilletto rovesciato (foto: A. Balbi, L. Sampogna)

Questa soluzione che ha permesso di posizionare l’indice, e di conseguenza la mano, nella zona più vicina alla linea di tiro, problema al quale si pone normalmente rimedio alzando il più possibile la sella del pollice. Questo leveraggio è dotato di un leggero sistema di demoltiplica che consente di mantenerlo morbido e docile alla pressione dell’indice anche quando sottoposto al carico di più gomme.

Non sono mancate anche soluzioni più complicate che prevedevano sistemi di demoltiplica del movimento così da rendere meno percettibile il carico sul dito del tiratore, un valido esempio ad oggi ritenuto quasi ineguagliabile, è la meccanica degli scatti Seatec.

Sgancio Seatec, A) sganciato B) agganciato (foto: Tino De Luca)

La relativa facilità di progettazione e la maggior accessibilità alle tecnologie di taglio e lavorazione degli acciai ha permesso inoltre a tanti appassionati di costruirsi i propri meccanismi di sgancio, classici, arretrati, varianti personalizzate di meccaniche in commercio, soluzioni ibride, ma tutte rispondenti alle particolarissime esigenze del progettista ‘ pescatore che non trovavano risposta nell’offerta del mercato.
Riguardo i materiali, i meccanismi più accreditati sono realizzati in acciaio inossidabile Aisi316 oppure in Titanio ma sono frequenti i casi in cui al dente di scatto, in metallo, si abbina un grilletto e talvolta una demoltiplica realizzati con tecnopolimeri ad alta resistenza e auto-lubrificati. Il corretto scorrimento delle parti è assicurato da una perfetta lucidatura delle zone di attrito oltrechè tramite l’impiego, come anticipato, di materiali autolubrificanti.
Non si può nascondere che, specie nell’ultimo decennio, la qualità dei materiali e delle lavorazioni dei nostri fucili abbia subito un notevole incremento, resta però da chiarire quanto sia da considerare un oggettivo miglioramento dell’efficacia delle nostre armi, e quanto invece una mera operazione di marketing volta solo a far spendere molto di più e forse ad essere, di riflesso, un po’ più fiduciosi nelle proprie capacità venatorie; ai carnieri l’ardua sentenza.

 

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