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Apnea agonistica: crisi, tensioni e polemiche


Un atleta impegnato nella dinamica – Foto: A. Balbi

E’ ormai da tempo che l’apnea agonistica vive tensioni e polemiche senza fine. Il fatto è che le cose non vanno, e noi che l’apnea la seguiamo e sosteniamo da anni non possiamo continuare a far finta di non vedere, nella speranza che la dirigenza federale trovi lucidità e forza necessari a risolvere i gravi problemi che affliggono questa affascinante disciplina e che gli atleti acquisiscano la maturità necessaria alla crescita di questo sport in cui tanti hanno creduto, a partire da AM.
La chiusura del nostro Forum e di quello federale (ora riaperto) in seguito alle ultime roventi polemiche, ci spinge a fare il punto della situazione, anche per chiarire la posizione editoriale di Apnea Magazine, da sempre molto attenta alla promozione dell’apnea, in particolare attraverso il canale dell’agonismo. La deflagrazione polemica, infatti, ha pesantemente coinvolto il sito, che alla fine sembra quasi diventato il centro di distruzione del duro lavoro portato avanti da circoli, atleti e dirigenza per lo sviluppo di questa disciplina. Insomma, sembra che il problema dell’apnea, per alcuni, sia proprio Apnea Magazine, che “per interesse personale” di qualcuno -non si sa chi- vorrebbe azzerare la disciplina.
Ipotizziamo per un attimo che ciò sia vero: Apnea Magazine, dopo anni di promozione ed innumerevoli sacrifici per seguire le tappe dello sviluppo dell’apnea agonistica, matura un interesse a distruggere tutto e si impegna affinché l’apnea agonistica sparisca dalla faccia della terra. Che senso avrebbe mai questa situazione ipotizzata da alcuni?
In questi ultimi cinque anni, gli investimenti economici e l’impegno in termini di risorse e tempo per AM sono stati notevoli, mentre le sponsorizzazioni portate al sito dall’apnea praticamente nulle. L’interesse di AM è quello ad un’apnea sempre più diffusa e praticata, non potrebbe essere altrimenti. Più praticanti, più seguito per la rivista, più sponsorizzazioni: il circolo virtuoso è questo, anche perché da sempre l’obiettivo di AM è quello di offrire servizi ed informazioni gratuiti all’utenza presentando il conto alle aziende del settore, che possono fruire del grande potenziale di comunicazione del sito. Quella che gli anglosassoni definiscono una ‘win win situation’. Ad essere onesti, per l’apnea questo discorso non ha mai funzionato nella pratica, in quanto il rapporto è sempre stato a senso unico ed AM non ha avuto che scarsi ed intempestivi ritorni dall’impegno della sua redazione nel settore apnea, ancora limitato a un piccolo gruppo di persone.
Siamo sempre andati avanti, incuranti della vistosa antieconomicità dell’operazione per una motivazione banale: siamo sinceri appassionati, e facciamo ciò di cui siamo capaci per apportare un contributo onesto e possibilmente significativo alla promozione delle discipline che ci stanno a cuore, apnea inclusa; inoltre, ci siamo sempre sentiti in obbligo di aiutare l’ambiente a crescere e migliorare, commettendo noi stessi errori di valutazione, alcuni dei quali ci hanno portato alla situazione attuale. Non a caso, AM è un’associazione senza scopo di lucro, per la precisione un circolo federale.
Ma allora perché si pensa che l’interesse di AM sia improvvisamente cambiato e che i titolari del sito, come dice qualcuno, vogliano adesso affossare l’apnea e distruggere tutto ciò che è stato costruito negli ultimi anni? La risposta che ci viene in mente è la seguente: i problemi che poniamo sono di difficile soluzione, per questo è più facile delegittimare Apnea Magazine che tentare di affrontarli seriamente e, possibilmente, risolverli. E poi azzerare o anche solo sospendere tutta l’apnea avrebbe serie conseguenze economiche su quelle didattiche che insegnano l’apnea secondo modelli e schemi che l’esperienza ha bollato come pericolosi: meglio azzerare AM e spingerla ad occuparsi di altro.

Ma le cose stanno davvero davvero così? AM vuole davvero affossare l’apnea? Crediamo proprio di no, anzi, ne siamo fermamente convinti!
Se un organo di informazione devoto come AM segnala dei problemi all’attenzione degli addetti ai lavori è perché, come altre volte in passato, ha individuato pericoli fatali per la disciplina. Una sola sentenza di condanna di un presidente di circolo o di un dirigente federale, con il coinvolgimento diretto di tutto ciò che gravita intorno ad essa, infatti, segnerebbe la fine sicura di questa avventura, senza possibilità di appello; per prevenire una sentenza del genere è assolutamente necessario porre rimedio ai problemi di sicurezza, sempre più evidenti.

Discesa in assetto costante – Foto: A. Balbi

Questo editoriale si propone di illustrare in modo particolareggiato la nostra posizione, anche per smentire ufficialmente le inaccettabili affermazioni scritte da persone che non sembrano aver ancora compreso le ragioni del cambiamento nel nostro atteggiamento verso la disciplina e di una certa dissociazione della redazione dal modo di fare e pensare di una parte di questo piccolo mondo. Sì, perché di piccolo mondo si tratta: basta guardarsi intorno, basta assistere a qualche gara e togliere dal poco pubblico amici e parenti per rendersi conto della situazione attuale. Ma non solo, basta guardare le gare di selezione sparse sul territorio e il numero di partecipanti, tale da rendere ingiustificata la dura attività di organizzazione, portata avanti solo grazie alla grande passione che accomuna i circoli che si prendono questo onere.

Per comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando occorre cominciare dall’inizio, con un passettino indietro. Ibiza 2001, terza edizione della World Cup di apnea AIDA. La CMAS non ha ancora istituito le competizioni di apnea del mondo sportivo ufficiale e per questo l’AIDA, associazione privata creata da un pugno di apneisti, ha potuto intraprendere in autonomia lo sviluppo di un circuito internazionale di gare a partire dalla seconda metà degli anni novanta. Le specialità sono mutuate dal recordismo, preso come modello: assetto costante e apnea statica, considerate le discipline più pure dell’apnea, sono le prime specialità utilizzate per il confronto.
L’Italia federale partecipa alla competizione di Ibiza con le nazionali maschile e femminile, dirette, rispettivamente, da Roberto Chiozzotto e Andrea Badiello: in campo maschile la nostra squadra vince grazie alle buone prestazioni di Umberto Pelizzari, Davide Carrera ed all’exploit determinante di Gaspare Battaglia nella prova di statica, che tira fuori il viso dall’acqua dopo un tempone agitando il dito in segno di vittoria. In campo femminile, invece, la dubbia squalifica di Silvia Dal Bon nella prova di statica -peraltro rimediata in una prestazione da record assolutamente inutile ai fini della vittoria finale- crea una sommossa della squadra Azzurra, che sbatte la porta ed abbandona le competizioni AIDA. I commenti del dopo gara dei DT Badiello e Chiozzotto possono essere ancora letti nelle pagine di Apnea Magazine: “mai più con questa associazione”, “non sono in grado di gestire questa disciplina”, “questi giudizi soggettivi sulla validità della prova si prestano ad abusi e vanno cambiati”. Subito dopo, per la precisione a novembre, Umberto Pelizzari conclude la propria carriera di recordman con il primato in assetto variabile di Capri, dove non chiama nessun giudice AIDA ad omologare il primato: lo strascico di polemiche sulla regolarità della prestazione, con lo stesso Umberto coinvolto in prima persona sul Guest Book di Freediver, stimola una seria riflessione negli amanti dell’apnea nostrani. Anche il cubano Pipin, che nel frattempo si è creato la propria associazione (peraltro ai fini internazionali valida ne più ne meno come l’AIDA o FREE, cioè per nulla), viene a sostegno degli apneisti italiani e dello stesso Pelizzari, con il quale fino a quel momento aveva duellato anche verbalmente. L’editoriale Forma e Sostanza ripercorre una serie di passaggi che oggi sembrano dimenticati dai più. Hanno davvero così poca memoria gli apneisti italiani?

Nel frattempo in Italia, a livello FIPSAS, non esiste nulla. Apnea Academy si sta organizzando per istituire un proprio circuito agonistico nazionale, mentre in FIPSAS si deve attendere l’Eudi Show di Verona del 2002 per cominciare a intravedere la possibilità di un circuito di gare di apnea federale. Nel circolo FIPSAS delle Rane Nere di Trento c’era un certo Michele Tomasi che scalpitava per confrontarsi in gara con altri apneisti, così in occasione dell’Eudi 2002 una delegazione del circolo si presentò allo stand FIPSAS e ghermì Flavio Mighali, che subito rispose positivamente, offrendo il proprio appoggio per l’organizzazione della prima gara di apnea FIPSAS.
L’anno seguente l’apnea federale conosce un forte sviluppo: otto gare di qualificazione con un totale di 157 atleti partecipanti; nel 2003 si arriva a 12 gare di selezione e le misure nel campionato italiano aumentano a ritmo vertiginoso. La monopinna inizia a diffondersi ed appare evidente che con le due pinne non si riesce a tenere il passo di chi è migrato verso l’attrezzo del nuoto pinnato. AM segue tutte le competizioni, sia quelle del trofeo AA che quelle federali, proponendo ai propri lettori analisi accurate e reportage completi.
Apnea Academy, da parte sua, procede con l’organizzazione del Trofeo Apnea Academy Competition, che nel 2003 si compone di sei prove. Il Trofeo rappresenta sicuramente un buon successo, ma i suoi organizzatori non hanno fatto i conti con le leggi del nostro paese, che riservano l’agonismo al CONI ed alle sue Federazioni: tocca ad AM farlo notare, tanto per cambiare, e subito c’è chi parla di boicottaggio deliberato a vantaggio della FIPSAS. In seguito, soprattutto dopo l’ultima gara outdoor di Andora, dove la capitaneria di Porto di Alassio ha posto un veto perentorio a future organizzazioni di competizioni al di fuori delle regole federali, sarà chiaro a tutti che AM faceva giusti rilievi e che le gare del Trofeo AAC comportavano gravi rischi sotto il profilo della responsabilità di organizzatori e promotori.

Sambe, pre-sincopi e sincopi sono uno spettacolo ricorrente nelle competizioni di apnea – Foto: A. Balbi

Riassumendo: le gare di apnea nascono fuori dal mondo sportivo, dove restano incontri fra amici e turisti in rappresentanza di se stessi, prive di ogni garanzia per gli atleti, costretti a firmare scarichi di responsabilità totali, ed aperte solo a chi ha i mezzi economici per potersi pagare le ingenti spese di partecipazione. Come se ciò non bastasse, questo piccolo circo non offre garanzie di serietà, come dimostrato da Ibiza 2001, ed è anche chiuso a tutto ciò che non sia targato AIDA, come dimostrano le polemiche dopo il record di Capri, quando un campione indiscusso come Pelizzari diventa un baro sincopatore solo perché non ha pagato il pizzo all’AIDA, richiedendo la presenza dei suoi giudici. Le garanzie del mondo sportivo non stanno nell’AIDA ma solo nel movimento olimpico, come riprova la faccenda del Trofeo AA, ed ecco che si arriva all’apnea sportiva vera e propria, quella di CMAS e FIPSAS.

Tutto risolto? Ma neanche per idea! Le garanzie del mondo sportivo sono sostanza, non basta cambiare etichetta.
Sambe e sincopi, il vero denominatore comune di tutta l’apnea agonistica, ufficiale e non, possono far parte della normalità in una disciplina sportiva? Noi riteniamo di no. Nell’apnea, questi indesiderati fenomeni sembrano ineliminabili: cambiano le formule regolamentari, cambiano le sigle, cambiano le gare e la cultura degli apneisti, ma sambe e sincopi sono sempre lì. Uno spettacolo davvero poco edificante, reso ancor più preoccupante dalla totale incapacità della scienza di fornire risposte a domande banali: sambe e sincopi a ripetizione hanno conseguenze sulla salute mentale e fisica degli atleti nel medio e lungo periodo? Dato che si parla di una forma di sofferenza celebrale ci si aspetterebbero risposte chiare, ma non è dato averne né di chiare né di confuse: nessuno lo sa, nonostante da decenni si parli spesso di record scientifici, di ricerca scientifica applicata all’apnea…. niente da fare.
Si conoscono le dinamiche di enzimi, ormoni e microparticelle, il mondo è pieno di esperti con curricula altisonanti, ma non si sa rispondere ad una domanda banale e non si capisce se sambe e sincopi siano cosucce o incidenti gravi, capaci di lasciare conseguenze significative. Di sicuro sono uno spettacolo inquietante e poco edificante per la disciplina: crediamo che vedendo una sincope in gara un genitore normale impedirebbe ai propri figli di intraprendere la pratica della disciplina. Qui non stiamo parlando dei record di pochi supermen dell’estremo, se vogliamo un po’ scapestrati e pronti a rischiare la vita pur di essere campioni del mondo (e dei media), qui stiamo parlando di una disciplina sportiva del CONI rivolta alla generalità dei cittadini, a partire dai giovani.

Dicevamo che nel 2003 l’apnea approda finalmente alla CMAS, la confederazione mondiale delle attività subacquee riconosciuta dal Comitato Olimpico Internazionale, la quale non ritiene di dover mutuare alcunché dai modelli già sperimentati nell’AIDA, che pure conosce per averli osservati da vicino. L’assetto costante è una disciplina praticamente impossibile nel mondo sportivo, i numerosi problemi sono passati in rassegna in questo articolo e da anni attendono una risposta sotto forma di proposte regolamentari, che non arrivano mai. La statica, da parte sua, è una disciplina che manca di qualsiasi tipo di spettacolarità e, banalmente, non interessa alla CMAS. E’ così che l’apnea agonistica confederale nasce con una disciplina inedita, inventata appositamente per favorire l’ingresso dell’apnea nell’universo sportivo, un’impresa che prima non è riuscita a nessuno nella storia della disciplina. Il Jump Blue, questo il nome della nuova apnea CMAS, è una specialità a metà fra l’apnea dinamica e l’assetto costante: ciascun atleta scende lungo il lato di un cubo di 15 metri e percorre quanta più distanza possibile sul fondo prima di riemergere. Forse preoccupato dall’ingresso in campo della CMAS, il mondo dell’AIDA si prodiga in attacchi ingiuriosi e fa di tutto per sconfessare questa disciplina, considerata non solo lontana dalla vera apnea, che sarebbe solo quella AIDA mutuata dai record, ma anche stupida e rischiosa: una vera fucina di sambe e sincopi, considerate un disvalore anche nel mondo AIDA.

La vita del JB è tutto sommato abbastanza breve. Anche se ad oggi resta ufficialmente una disciplina CMAS, l’annullamento del primo mondiale del 2003 e del primo campionato continentale nel 2005 non giocano a suo favore, ed un ulteriore fallimento segnerebbe con ogni probabilità la sua definitiva scomparsa. L’interesse da parte di atleti e federazioni è scarso, la disciplina non decolla: si continua a preferire il costante in una ridicola guerra tra poveri, quattro gatti poveri per la precisione.

La Nazionale Italiana al mondiale CMAS di Rovigno – Foto: A. Balbi

Con l’aumento delle prestazioni medie nel costante e una pratica più assidua e metodica del JB in occasione della preparazione ai mondiali di Rovigno e poi dell’Europeo di Siracusa (saltato con grande scorno di tutti coloro che speravano in questa manifestazione) vengono fuori ulteriori problemi: mentre sambe e sincopi restano all’ordine del giorno, sempre più atleti accusano fenomeni di emottisi durante gli allenamenti, fatto che capita anche a chi pratica assetto costante ad un certo livello (e sono davvero pochi in Italia e nel mondo). Inizialmente si pensa ad un problema legato alla profondità e, quindi, dell’assetto costante. In fondo, si pensò, la maggior parte di coloro che praticano JB fanno anche costante, magari gli episodi di emottisi registrati nel JB sono dovuti a lesioni o principi di lesioni pregresse, rimediate in occasione di tuffi in costante. Dopo un po’ di tempo, però, arrivano le prove del fatto che l’emottisi riguarda tanto il costante quanto il JB, un fatto che esclude che il problema possa essere dovuto esclusivamente alla pressione: atleti che si allenano solo nel JB e non anche nell’assetto costante accusano analoghi disturbi.

Nel frattempo, anche in casa CMAS si aggiustano i regolamenti: il criterio oggettivo adottato sin dalla prima versione del regolamento JB viene rifinito in occasione della stesura della bozza di regolamento di apnea dinamica. Alla riemersione l’atleta non potrà più toccare la testa del giudice appena riemerso (fatto che a Rovigno aveva consentito la validazione di prove in cui il tocco rapido alla riemersione seguito dalla perdita di conoscenza o del controllo motorio era stato reso possibile da una tecnica ad hoc: l’atleta puntava il giudice in risalita e gli riemergeva davanti a braccio teso, in modo da cadergli praticamente con il braccio sulla testa) ma dovrà attendere il conteggio di 10 secondi, durante i quali potrà solo recuperare fiato sostenendosi al galleggiante, ma senza essere aiutato da chicchessia (sempre a Rovigno, l'”assistenza libera” ha salvato più di un atleta da una samba sicura grazie al pronto intervento dell’assistente personale).
Anche l’ultima modifica del regolamento CMAS, prontamente recepita in Italia, non funziona: sambe e sincopi continuano a rappresentare una costante di tutte le gare, da quelle di selezione fino a quelle per l’assegnazione di titoli importanti. Alcune sono persino premiate con medaglie, un fatto che evidentemente non poteva non stimolare ulteriori riflessioni.

A questo punto, nel mondo dell’apnea, c’è chi inizia a pensare che il problema stia nella trasposizione del modello dei record di immersione in apnea nell’agonismo, in altre parole: la formula agonistica.

Il ragionamento? Semplice: una disciplina sportiva in cui il limite della prestazione confina con il punto di rottura dell’apnea comporterà sempre episodi di samba e sincope, a prescindere dai regolamenti, perché l’esperienza dimostra senza dubbio che il limite è sottile e difficilmente gestibile dall’atleta, soprattutto nel momento in cui viene dominato dallo stress da competizione e dall’ansiogeno desiderio di ottenere il massimo con la propria prova.
Sambe e sincopi sono conseguenze dirette di un eccesso riconducibile all’atleta e non al regolamento, in teoria, ma in pratica i regolamenti falliscono nel loro tentativo di azzerare gli incidenti rendendo infruttuoso, prima, e addirittura dannoso, poi, il superamento del limite. Si intuisce che uno sport dove regolarmente una significativa percentuale di atleti incappa in convulsioni o perdita di coscienza (con tutto ciò che consegue, comprese le manovre di rianimazione a bordo vasca, disperazione di amici e parenti e turbamento della serenità dei presenti) non è accettabile da nessuno: atleti, tecnici, dirigenti, osservatori. Dopo le prove del campionato invernale e del campionato di apnea dinamica senza attrezzi, con percentuali di uscite fuori controllo ancora troppo alte, la patata diventa bollente ed anche i vertici federali iniziano a parlare di luci ed ombre, problemi di sicurezza, modello agonistico da de-estremizzare, confermando la validità dei rilievi di Apnea Magazine, che qualche scriteriato avrebbe voluto giustificare con la nostra ignoranza o il nostro interesse a distruggere tutto (ma cosa poi? Non è che si sia creato chissà che, per il momento).

Il responsabile dell’apnea federale Floris e il DT della Nazionale di apnea Blanda, difensori dello status quo

Sul fronte dell’emottisi, che qualcuno vorrebbe addirittura circoscrivere al Jump Blue (sic!), la mazzata arriva sul finire del 2005, in occasione del primo convegno scientifico internazionale interamente dedicato all’immersione in apnea, organizzato dal CNR di Pisa in associazione con il comitato scientifico di Apnea Academy. I risultati del questionario epidemiologico illustrati dal dr. Danilo Cialoni pongono la platea di fronte ad una situazione allarmante: circa un quarto degli apneisti ha sperimentato il problema entro i 30 metri di profondità. Non sembrano dati relativi a incidenti, questo “edema” (così viene definito il fenomeno dai ricercatori di AA e CNR, ma non c’è accordo fra i ricercatori) è apparentemente connaturato all’attività di assetto costante e di JB. Sul fronte del JB non ci sono dati ufficiali, ma chi conosce le persone che lo hanno praticato con una certa metodicità sa bene che la situazione, sotto il profilo della ricorrenza del disturbo, è analoga a quella del costante.

Che procedano verso il fondo o che restino a -15 a tirare una dinamica, la zuppa è la stessa: oltre a sambe e sincopi a profusione, gli atleti si ritrovano anche a sputare sangue. Le conseguenze di una sincope condita da emottisi sono facilmente immaginabili, non è difficile supporre che la rianimazione in quelle condizioni potrebbe risultare difficile, soprattutto durante gli allenamenti, quando medici e rianimatori non ci sono. Mi chiedo cosa potrebbe mai rispondere un organizzatore di competizioni o un dirigente federale alla seguente domanda di un magistrato: “Ma come, sapevate dell’esistenza del problema e nonostante non siate riusciti a comprenderne la dinamica e quindi ad individuare metodi capaci di evitarlo o limitarlo fortemente, avete proseguito nell’organizzazione dell’attività agonistica come se nulla fosse? Come pensavate di rianimare una persona in sincope con le vie aeree piene di sangue? Quali cautele avete adottato per gestire questo pericolo ampiamente prevedibile?”

Di fronte a questo quadro, Apnea Magazine ha sempre cercato di mantenere un atteggiamento positivo e costruttivo, improntato alla massima cautela: una giovane disciplina come l’apnea ha bisogno di cure ed attenzioni, ed in una certa misura anche di protezione. Mettere in piazza i nuovi problemi da subito, senza offrire tempo per una riflessione capace di fornire risposte operative, sarebbe stato sicuramente deleterio per l’apnea. Apnea Magazine non lo ha fatto, limitandosi ad una riflessione interna prima ed al tentativo di una riflessione comune, sempre interna, poi. Non è stato facile e forse abbiamo sbagliato. Siamo stati per lungo tempo complici di un sistema che ci ha portato a questa critica situazione; per di più, nel momento stesso in cui abbiamo posto i problemi evidenziati dagli eventi e dalla storia della disciplina, ci siamo subito fatti un po’ di nemici, a partire da alcuni elementi federali ancora convinti che vada tutto bene e che per risolvere il problema sia sufficiente restare lontani dai limiti con una sorta di gentlemen agreement e sbarazzarsi dei sabotatori di AM.
Qualche scriteriato arriva a dire che non ci sono problemi con sambe e sincopi perché fanno parte dell’apnea e che, se anche ce ne fossero, non sarebbe il caso di preoccuparsene più di tanto, visto che anche la pesca in apnea verserebbe nella stessa condizione. La strategia è persino banale: se mettete in discussione l’apnea allora ci scaglieremo contro la pesca, che viene fatta in apnea ed ha quindi gli stessi problemi e che, avendo un grandissimo numero di praticanti, offre molti più esempi di incidenti mortali.
Anche un bambino capisce che nella pescasub l’apnea è solo il mezzo, e che per prendere pesci non serve affatto tirare l’apnea o spingerla al limite, come si fa ‘per sport’ nell’apnea. Al contrario, nella pesca vale da sempre il detto “riemergi lontano dai tuoi limiti”, nella consapevolezza che, come diceva il compianto prof. Mauro Ficini, non è l’apnea ad essere pericolosa, ma solo il modo in cui la si fa. Voler sostenere che il modo di fare apnea della pesca è lo stesso dell’agonismo dell’apnea è una vera “bischerata”, ma fortunatamente parliamo di attività federale, per la quale esiste una documentazione ufficiale molto dettagliata: nella pesca possiamo contare sulla documentazione relativa ad una sessantina d’anni di competizioni FIPSAS, in ciascuna delle quali i numerosi concorrenti hanno effettuato decine e decine di tuffi: basta contare gli incidenti e fare un rapido raffronto con le sole gare di apnea del 2006 per comprendere la profonda differenza tra le due discipline e l’impossibilità di una loro sovrapposizione con riferimento agli incidenti sincopali, fatto oltremodo saltuario nelle gare di pesca e triste normalità di quelle di apnea (in cui, non dimentichiamolo, l’atlteta fa solo uno o due tuffi, non decine e decine come nella pesca). E’ vero che ogni anno muoiono più pescatori in apnea che apneisti, ma se è per questo ne muoiono molti di più in incidenti stradali: il rischio non si misura con le cifre assolute ma con le percentuali.

L’emottisi riguarda tanto il JB quanto l’assetto costante – Foto: A. Balbi

Nell’avviarci alla conclusione di questo lungo editoriale, non ci resta che spiegare perché, nel nostro modo di vedere le cose, i veri affossatori dell’apnea non sono coloro che, come AM, stimolano una riflessione sulla necessità di elaborare nuovi e più efficaci standard di sicurezza per un’efficace promozione dell’apnea agonistica, ma solo quelli che vorrebbero attuare la tattica dello struzzo, fingendo che i problemi non esistono e che i fulmini cadano sempre sulla testa degli altri.
I motivi sono sostanzialmente quattro:

SAMBE E SINCOPI

Convulsioni e perdita di conoscenza con necessità di rianimazione possono rappresentare gli incidenti di una disciplina sportiva? Senz’altro sì. Il rischio fa parte del gioco, anche il rischio di un episodio importante come la sincope può ben essere gestito all’interno di una disciplina sportiva. Se però il modello di competizione gioca sul raggiungimento del limite apneistico (ossia di sopravvivenza) e nessuna soluzione regolamentare riesce ad evitare una casistica imbarazzante, allora diventa difficile parlare di incidente. A rigore, si deve parlare di normale conseguenza di un certo assetto della disciplina: se il gioco consiste nel cercare il limite in apnea, la prestazione estrema oltre la quale stanno sambe, pre-sincopi e sincopi, è normale che l’errore dell’atleta si risolva normalmente nell’insorgenza di uno di questi problemi. Chi oggi afferma che samba e sincope fanno parte dell’apnea e che va bene così è un incosciente che non si rende conto di quello che dice: nulla da ridire, invece, se chi afferma queste cose potesse assumersi tutta la responsabilità in caso di incidente con strascichi giudiziari, senza doverla condividere con organizzatori, presidenti di circoli e dirigenza federale.
Sarebbe interessante approfondire anche alcuni aspetti regolamentari alla luce del diritto nazionale: ad esempio, sappiamo che spetta al giudice di gara ordinare agli assistenti di intervenire in aiuto dell’atleta in difficoltà… supponiamo che il giudice ritardi il comando di cinque o sei secondi e che per questo ritardo l’atleta soccomba o riporti conseguenze permanenti dall’episodio (es: bevuta e conseguente polmonite chimica). Sarebbe interessante capire se in un eventuale processo il giudice di gara potrebbe essere chiamato a rispondere, da solo o in concorso con altri, di lesioni colpose aggravate o omicidio colposo per il ritardo nell’assistenza. Si tratta, come si vede, di una gestione “allegra” delle responsabilità assolutamente inadatta ad una disciplina sportiva del CONI. Per non parlare poi dello spettacolo assolutamente improponibile al pubblico.

EMOTTISI – BAROTRAUMA/EDEMA

Qui la situazione è davvero imbarazzante, perché nel mondo scientifico non si è neanche d’accordo sulla qualificazione del fenomeno. Ciò che si sa è che una rilevante percentuale di apneisti che affrontano JB o assetto costante ad un certo livello si ritrovano a sputare sangue e a presentare disturbi di una certa gravità, che tendono ad acuirsi e a verificarsi in condizioni sempre meno “estreme” (o meno impegnative, se si preferisce) in caso di proseguimento dell’attività. A Blue 2005 sono stati diffusi dati inquietanti, ma ad oggi, a distanza cinque mesi dal convegno, non si è avuto modo di leggere alcuno scritto divulgativo che illustri in modo chiaro il problema e, soprattutto, indichi le possibili soluzioni a livello di protocolli di sicurezza (se ci è sfuggito, vi preghiamo di segnalarcelo). Si sente dire che è presto per parlare, che occorrono altri studi… ma nell’attesa di questi necessari chiarimenti cosa si ha intenzione di fare? E’ ragionevole pensare che una federazione del CONI possa tutelare un’attività che nei fatti si è dimostrata causa o circostanza di gravi disturbi mettendo a repentaglio la salute dei propri tesserati agonisti? Nel dubbio si prosegue come se nulla fosse? Capisco che gli atleti si sentano (a torto) perfettamente in diritto di rischiare la propria salute, ma i dirigenti hanno il dovere di spiegare loro che le regole di una federazione sportiva non possono non ispirarsi ai valori sanciti nella carta olimpica, che si propone di tutelare e promuovere la salute degli atleti, né sottrarsi ad una serie di responsabilità. Qui non stiamo parlando di incidenti, ma di fenomeni ricorrenti legati ad un’attività definita, anzi ad un modello di apnea agonistica che è già fonte di altri problemi (samba e sincope). L’assurdo è che i ricercatori non si trovano d’accordo neppure sulla risposta terapeutica, una situazione imbarazzante che costringe l’atleta infortunato a scegliere la terapia sulla base di una simpatia personale e senza la certezza della sua effettiva efficacia.

Un atleta tocca il disco giallo per validare la prova – Foto: A. Balbi

CONSEGUENZE DI UNA SENTENZA

Che cosa potrebbe accadere se i problemi cui si è fatto accenno non diventassero oggetto di un’immediata quanto seria riflessione della dirigenza federale? Potrebbe andare tutto per il verso giusto, con un po’ di fortuna. Questo è certo. Se non si verificassero incidenti eclatanti nelle poche gare di JB e costante che si riescono ad organizzare (l’aspetto organizzativo delle gare outdoor è un capitolo che preferiamo non aprire in questa occasione, ma si tratta di un problema non secondario), si potrebbe persino arrivare alla scoperta scientifica capace di individuare le cautele necessarie a scongiurare ogni pericolo di emottisi/edema/barotrauma. Se invece l’incidente precedesse l’adozione delle opportune cautele, si correrebbe il rischio di dover fronteggiare una mazzata micidiale, di quelle da cui non ci si rialza indenni. Gli organizzatori, presidente del circolo in testa, e la dirigenza federale dovrebbero rendere conto al magistrato dell’adozione di tutte le necessarie cautele adottate in occasione della competizione teatro dell’incidente e delle stesse norme federali, che in quanto norme di FSN del CONI sono considerate alla stregua “norme di buona diligenza”. Agli organizzatori basti sapere che il rispetto delle norme federali potrebbe non essere sufficiente per sfuggire alle maglie della responsabilità civile, perché già in passato la Cassazione ha avuto modo di qualificare l’apnea come attività particolarmente pericolosa (vedi art. 2050 c.civ); i dirigenti federali non hanno bisogno di chiarimenti, conoscono benissimo le responsabilità che incombono sul loro capo.

AMICI E GIORNALISTI

Per anni abbiamo scritto articoli, reportage, notizie e interviste che ci hanno portato tanti riconoscimenti e tante pacche sulle spalle. “Amici”, così siamo stati chiamati da tanti, anche da alcuni che oggi ci indicano come i principali sabotatori dell’apnea. Ne prendiamo atto con dispiacere ma andiamo avanti, perché abbiamo un dovere principale verso i nostri lettori e, soprattutto, verso la nostra coscienza: ai primi abbiamo sempre cercato di offrire un’informazione di qualità e soprattutto indipendente; alla seconda non possiamo mentire, vogliamo dormire sereni anche a costo di qualche nemico in più.

Comprendiamo le esigenze anche commerciali o lavorative di alcuni operatori del settore o aspiranti tali, ma l’indipendenza della nostra informazione resta sempre al primo posto nella nostra scala di valori. Agli apneisti che si sono convinti della nostra nuova linea anti-apnea non chiediamo che un minimo di rispetto per il nostro ruolo, che non è solo quello di dare visibilità per la soddisfazione personale e dello sponsor o concedere spazi di promozione gratuiti per l’attività didattica, che continuiamo a ritenere vitale per un sano sviluppo dell’apnea e che continueremo a sostenere, ma soprattutto quello di informare i lettori sulla realtà del nostro mondo, dove necessario anche con una certa dose di autocritica. Questa è informazione corretta, il resto è solo mistificazione e scarsa professionalità.

CONCLUSIONI

La pratica agonistica è il principale mezzo di promozione di qualsiasi disciplina sportiva, lo sviluppo e la maturazione di uno sport devono necessariamente passare attraverso la strutturazione di un circuito agonistico, che ne costituisce vetrina di promozione e componente organizzativa primaria.
Lo stato di salute ed il grado di sviluppo di una pratica sportiva si misurano con riferimento al numero di giovani praticanti ed all’interesse suscitato nel pubblico di appassionati più maturi, in grado di apprezzare le qualità atletiche, tecniche ed agonistiche degli atleti impegnati.

Quale futuro per l’apnea agonistica? – Foto: A. Balbi

Se vuole svilupparsi come sport per tutti e non restare una pratica limitata agli attuali corsisti di differenti scuole, l’apnea agonistica deve risolvere urgentemente una serie di problemi della massima priorità. L’attuale e momentanea abbondanza di corsisti (che le varie scuole didattiche già oggi si contendono) non deve trarre in inganno, non sono altro che il prodotto momentaneo di un certo interesse tra pescatori in apnea alla ricerca di ipotetiche migliori prestazioni, da una parte, e la conseguenza di un certo riflusso di interesse proveniente dal mondo della subacquea commerciale con ara, dall’altra.
Per crescere ed avere vita propria, l’apnea avrà bisogno a brevissimo termine di giovani praticanti che non si limitino all’acquisto di un corso, ma che possano per anni praticare l’attività sportiva agonistica.
Per fare questo occorre un settore giovanile, cosa assolutamente normale e certamente strategica per qualsiasi altro sport.

Ma l’apnea di oggi cosa è in grado di offrire? Problemi irrisolti di sicurezza, domande senza risposta sulla dannosità della pratica, problemi più strettamente organizzativi di gare senza spettacolo e dai costi eccessivi.
In questa situazione è improponibile pensare di sviluppare la disciplina partendo da un settore giovanile, gli attuali problemi di sicurezza rendono questa ipotesi degna di un irresponsabile malato mentale.
Se veramente vogliamo porre le basi per un futuro sviluppo della disciplina, dobbiamo ricercare risposte certe e soluzioni praticabili. Questo lavoro va fatto con il contributo di tutte le parti interessate, non necessariamente insieme se inteso come improbabili unità di organizzazioni, ma certamente con gli stessi obiettivi, che non possono limitarsi ai propri interessi diretti di carattere commerciale.

Apnea Magazine ha assunto nel tempo un ruolo proprio nel mondo dell’apnea, di cui certamente il più importante ma non unico è il carattere informativo della rivista. Assumere una posizione critica di fronte a problemi irrisolti e domande senza risposta è una posizione costruttiva, perché solo l’analisi accurata delle varie problematiche può portare alla loro soluzione.
Non abbiamo le risposte medico scientifiche né proposte per una formula di gara fattibile e spettacolare. Possediamo invece la capacità di informare e segnalare di volta in volta le problematiche da affrontare. Il problema, però, non è certo chi informa. Ricondurre le problematiche a chi ha osato per primo infrangere il muro di rassegnata e silenziosa accettazione a cui progressivamente molti nel mondo dell’apnea si sono assuefatti è un merito della rivista, un merito positivo perché indice ed espressione di maturità interna del movimento.
Qualche polemica di troppo in questo processo di crescita del settore forse poteva essere evitata se tutte le parti avessero ben compreso che Apnea Magazine non ha interessi commerciali diretti riconducibili alle dinamiche delle varie didattiche. Alla fine, la corretta informazione resta il valore più importante in cui noi ci riconosciamo.
Nella speranza di aver sgombrato il campo da inutili fraintendimenti ed aver risposto con chiarezza a chi ci attribuisce interessi che non abbiamo, andiamo a riattivare uno spazio dedicato all’apnea sul Forum di AM, con l’auspicio che questo luogo di dibattito e confronto comune venga utilizzato unicamente da chi desidera costruire insieme un’apnea sicura e vincente, nella convinzione che uno sviluppo efficace della disciplina sia l’obiettivo principale di tutte le parti in causa e che gli unici sabotatori dell’apnea sono quelli che i problemi ‘per incapacità o mala fede- non li vedono né sanno risolverli.

Alberto Balbi, Mauro Sanvito e Giorgio Volpe

Category: Editoriali

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