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"I signori delle spiagge" E allo Stato solo le briciole


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"I signori delle spiagge"

E allo Stato solo le briciole

 

Fatturano più di due miliardi. Così le coste diventano un business per i privati. Ma i gestori dei lidi non ci stanno. L'asta sugli arenili scatenerà gli appetiti delle multinazionali delle vacanze

 

Questa sabbia che sfrigola sotto le piante dei piedi, questo bollente mare immobile è pura polvere d'oro. Ma lo Stato Italiano è un Re Mida dissoluto e prodigo, e la butta dalla finestra. Oltre 100 milioni di euro potrebbero entrare ogni anno nelle casse pubbliche solo applicando meglio le norme che già esistono. Diverse centinaia, se ci decidessimo ad affittare a prezzi di mercato quei 4.042 chilometri di costa balneabile, gloria e vanto e ormai unico patrimonio dell'Italia solatìa, che da decenni regaliamo per pochi spiccioli (97 milioni di euro nel 2009) a 25 mila padroni dell'ombra, che collettivamente ne ricavano ogni anno fino a trenta volte di più: almeno due miliardi di fatturato, più probabilmente un terzo miliardo in nero. Continuiamo a chiamarli tutti "bagnini", ma è una definizione ormai priva di senso.

 

Ci sta dentro il romagnolo stagionale in infradito che rastrella ogni mattina l'arenile come faceva il nonno, e il professionista romano in cravatta che subaffitta a peso d'oro un complesso a più piani con piscina, fitness club e ristorante. Tutti ugualmente "concessionari" del Demanio, tutti affidatari di un patrimonio nazionale, il litorale, di fatto privatizzato da decenni, che i più furbi o intraprendenti hanno trasformato in un business da nababbi versando all'erario canoni ridicoli. Un patrimonio di tutti che arricchisce pochi, un «sistema» in cui gestioni oneste e convenienti si mescolano a selvaggi sfruttamenti; una realtà di cui lo Stato, parola di Corte dei conti, ha perso del tutto il controllo.

 

A meno che non succeda qualcosa, e forse sta succedendo. L'estate 2010 è l'estate dell'ansia per padroni e padroncini delle spiagge. La novità viene da Bruxelles,

 

Nuove regole: L'Unione europea ha dato all'Italia il termine del 2015 poi il rinnovo delle concessioni non sarà più automatico

 

e sta sconvolgendo un «sistema arenile» che aveva resistito a tutti gli assalti. Cosa dice la Ue? Che sulla base della "direttiva Bolkenstein" del 2006 sulla concorrenza l'Italia deve abolire il "diritto d'insistenza", cioè i rinnovi automatici sempre agli stessi affidatari, pratica che già sollevò nel 2006 le perplessità del Garante per la concorrenza («sistema premiale», «rendita di posizione»). E dovrà (sotto minaccia di sanzioni) mettere all'asta le concessioni. Il governo italiano è riuscito a strappare solo un rinvio al 2015. Ed è il caos. La paura. La rivolta. «Il governo ha mostrato le terga a Bruxelles e ora siamo in una valle di lacrime», grida da Viareggio Carlo Monti, leader dei balneari versiliani, «rischiamo la decadenza degli stabilimenti, nessuno spende un euro per riparare una sdraio se non è sicuro di poter restare». Cortei al ministero, sindaci allarmati.

 

L'Emilia Romagna ha tentato di aggirare della direttiva europea concedendo vent'anni di proroga ai bagnini meritevoli: bocciata impietosamente dalla Cassazione. «Le gare si faranno, punteremo a farle con criteri giusti», ripiega l'assessore Maurizio Melucci. Molta confusione sotto il cielo azzurro: la situazione è eccellente. Mai il "sistema spiaggia" s'è mostrato così nudo come ora che scricchiola sotto la minaccia di una banale legge di mercato. Perché vero mercato, il sistema spiaggia non lo è mai stato. Affittuari perpetui che fanno profitti su un bene pubblico, e vendono a carissimo prezzo ciò che non è loro. Fate un giro su Google, o su eBay: Silvi Marina: 30 metri di litorale, vendesi concessione a 300 mila euro. Tortoreto: 68 metri, 280 ombrelloni: 1,3 milioni di euro. Lido di Savio, 140 ombrelloni, 850 mila euro.

 

Pisa, metratura imprecisata, 2,2 milioni. Tirrenia, 1600 metri quadri, 150 ombrelloni, 2 milioni. Forte dei Marmi, 60 ombrelloni su 27 metri di battigia: 4 milioni. Com'è possibile ammortizzare cifre del genere nei sei anni tradizionali di una concessione? Se i famigerati "Studi di settore" dell'Agenzia delle entrate stimano "congrua" una dichiarazione dei redditi da 12,8 mila euro annui a fronte di un fatturato medio di 120 mila euro per stabilimento, come possono esserci bagnini che dichiarano addirittura perdite nette sui 6 mila euro con fatturati di 137 mila? E quel 9% di titolari di concessione che dichiarano ricavi sotto i 30 mila euro annui?

 

LA SABBIA È D'ORO

 

Eppure non è così profonda, l'ombra degli ombrelloni. L'Italia dei servizi balneari è diseguale, ma l'indice "ombrellone + due lettini" è comunque un metro di misura. Si va dai 15/20 euro al giorno della Romagna ai 40/50 della Versilia ai 60-80 delle esclusive calette liguri. Chi conosce il mercato non fatica a fare due conti: un "bagno" medio in buona posizione può fatturare (si fa per dire: non c'è obbligo di scontrino) tra i 130 e i 200 mila euro a stagione. Se c'è il bar, fanno altri 150-200 mila, il doppio se il bar è anche ristorante. E quanto pagano allo Stato queste aziendine estive? Questo si sa con precisione. Il canone è fissato per legge. Eccone i mirabolanti importi annui: 1,19 euro per metro quadro di arenile, 3.39 euro per metro quadro di superficie coperta (che sia un ripostiglio o un ristorante non fa differenza).

 

Risultato: per un bagno medio di 2000 metri quadri, con un centinaio di ombrelloni e un ristorante da 200 metri quadri, l'affitto annuo è di 3.448 euro. Fa meno di dieci euro al giorno. Venti, se calcoliamo solo la "stagione". Insomma basta la rendita di un solo ombrellone a pareggiare il costo della concessione demaniale. Non che lo Stato non ci abbia provato, a colmare la ridicola sproporzione. Ma è sempre stato sconfitto dalla resistenza di una categoria finora compattissima e coccolata (e temuta). Nel 2003 il governo rincarò i canoni del 300%. Sembra tanto: ma il triplo di pochissimo è sempre poco. Esplose lo stesso la rivolta dei bagnini: dopo quattro anni nessuno aveva pagato il rincaro, poi cancellato dalla Finanziaria del 2007. Che tentò un ripiego: impose alle Regioni di rivedere al rialzo le categorie di "valenza turistica", abolendo la classe C e ricollocando in classe A (con quasi raddoppio del canone) gli arenili pregiati.

 

Ebbene: nessuna regione, «neppure quelle con spiagge di eccezionale attrattiva», lo ha fatto. La quasi totalità degli stabilimenti balneari italiani risulta tuttora collocata in classe B. A Rimini, ad esempio, Perla dell'Adriatico, una sola spiaggia è in classe A, quella del felliniano Grand Hotel, mentre un chiosco continua a pagare massimo 769 euro anche se è di fatto un ristorantino da 250 metri coperti, che se fosse oltre il lungomare pagherebbe d'affitto tra 50 e 80 mila euro. Cosa spinge le Regioni a sottovalutare il reddito potenziale delle spiagge? Perché in una stagione di tagli ai servizi essenziali nessuna ha voluto aprire un po' quel rubinetto che gocciola appena?

 

La risposta è semplice: chi glielo fa fare, a un assessore regionale al turismo, di inimicarsi la categoria cruciale dei bagnini senza guadagnarci nulla, cioè solo per far arrivare più soldi allo Stato centralista? Infatti hanno ritoccato solo (al 10%) la quota dei canoni che resta in tasca alla Regione. E così, per rivalità tributarie fra istituzioni del medesimo Stato si è andati al disastro contabile: il bilancio 2007 prevedeva un introito di 215 milioni, ne incassò solo 85, per l'ira dell'Agenzia del Demanio che ha ipotizzato perfino «il possibile profilarsi di danni erariali» da addebitare alle regioni inadempienti. Solo in Versilia il mancato adeguamento ha fatto perdere alle casse pubbliche 14 milioni di euro in tre anni.

 

LA BATTAGLIA DEGLI INCAMERATI

 

Potrebbe finire in niente anche la battaglia più cruenta attualmente in corso sugli arenili: quella degli "incamerati". Le 25 mila concessioni demaniali marittime non sono tutte capannine e ombrelloni. Una piccola quota, circa 900, è fatta di veri e propri edifici, anche a più piani, in muratura o comunque «non facilmente rimovibili». Sono i grandi imprenditori della battigia, società complesse, con gestioni in subaffitto; tra questi ci sono i grandi complessi con muro di cinta e biglietto d'ingresso a dispetto della norma del libero accesso. Secondo la legge, anche se costruiti a spese del concessionario, quegli edifici sono "incamerati" dallo Stato, cioè resteranno proprietà pubblica.

 

In cambio, finora, i gestori pagavano canoni ridicoli. Ma qui una legge del 2006 ha calato la mannaia: per le "pertinenze", così si chiamano queste concessioni «pesanti» (tra cui anche cinema, discoteche, piscine, il celebre Delfinario di Rimini), i canoni sono schizzati a quote quasi di mercato. Un esempio, Rimini, ristorante Lo Squero, tempio del pesce: da 5 a 65 mila euro l'anno, più tre anni di arretrati: «se è così chiudiamo», minaccia il titolare Londei. Però per vent'anni avete pagato l'affitto con la mancia del primo cliente della serata. «Può essere, ma ora è troppo. E quello là davanti», indica l'arenile, «perché allora continua a pagare dieci o venti volte di meno? Solo perché ha le pareti di legno?».

 

«Forse era meglio accettare l'aumento del 300% nel 2003», si pente Gianni Invino, gestore della discoteca Bahamas, balzato da 6 a 140 mila euro annui. I "grandi concessionari" dunque non ci stanno, e invocano la spalmatura della stangata sui piccoli: rincarare meno e rincarare a tutti, è il grido di battaglia delle associazioni di categoria Sib e Fiba. Questo ovviamente fa arrabbiare i "piccoli", e il fronte del mare si rompe: «Devono pagare loro che fanno i veri profitti, non noi ‘bifolchi'», reagisce colorito Giorgio Mussoni, bagnino da quattro generazioni, fondatore di Oasi, il sindacato dei bagnini "come una volta": «Noi paghiamo anche il servizio di salvamento, 16 mila euro, e loro no; noi puliamo la spiaggia e loro no, offriamo gabinetti e docce gratis a chiunque e loro no, facciamo prezzi popolari e diamo il mare a tutti, alla fine ci resta poco in tasca, ma siamo noi a tener su la tradizione di ospitalità della Riviera».

 

Ma i "grandi" non ci sentono. Hanno tutti fatto ricorso. Sarà un braccio di ferro. Con la segreta speranza di tirare in lungo fino all'avvento del federalismo demaniale, quando dovranno negoziare non più con Tremonti ma con un assessore. E allora le cose potrebbero cambiare, perché a livello locale i "grandi bagnini" godono di una certa simpatia politica. Basta guardare cos'è successo a chi ha provato a tirar giù i reticolati e i muri che in gran parte del centro-sud impediscono il libero accesso alla battigia: in Puglia la legge dell'assessore Minervini, che aveva minacciato le ruspe, è per ora naufragata di fronte all'ostruzionismo del centro-destra; in Abruzzo la maggioranza Pdl ha appena autorizzato i bagnini a recintare gli stabilimenti, con una legge ribattezzata dalle minoranze "una porcata". Chi la dura, dunque, la vince ancora.

 

GLI AFFITTI DI CARTONE

 

Di fatto per le spiagge d'oro si continuano a pagare affitti di cartone, che quest'anno, sfiorando la beffa, sono stati addirittura ridotti del 3,4% da un "conguaglio Istat". Ci sono tuttora chioschi, sulle spiagge italiane, che pagano meno di un euro al giorno: il prezzo di un caffé. Sempre che lo paghino: in Sicilia la morosità accertata dalla Regione è del 25%. Del resto sul bagnasciuga c'è di tutto. Spiagge "libere" in realtà occupate dai lettini di noleggiatori abusivi, bagni interamente in nero (tre sequestrati a Barletta due mesi fa); spiagge gestite da istituti religiosi che si trasformano in stabilimenti commerciali, per non dire dell'evasione fiscale pura e semplice: sul litorale di Ostia la Guardia di finanza ha accertato redditi sottratti al fisco per 5 milioni di euro in tre anni, in aumento del 146% nel 2009; a Ravenna in maggio un singolo stabilimento ha dovuto restituire al fisco 650 mila euro.

 

Così la geografia delle coste d'Italia diventa un puzzle che non torna mai. Se i canoni di concessione sono identici per legge da Ventimiglia a Trieste, com'è possibile che, tabelle del Demanio alla mano, una concessione renda in media 13.600 euro se è in Veneto, e solo 2.012 se è nelle Marche? Differenze di dimensione? Ma allora perché un metro di arenile frutta allo Stato 116,2 euro l'anno se è in Romagna, e solo 10 in Puglia? Solo il recupero di questi scarti di redditività farebbe piovere sulle regioni meridionali una manna da 17 milioni di euro l'anno: che si preferisce invece lasciare in tasca ai privati. Denuncia con sconforto la Corte dei conti: «non è possibile stabilire quanto lo Stato incassa dalle concessioni», il demanio marittimo è una realtà fiscalmente «fuori controllo», prevale ormai «una sorta di asserita impotenza a modificare la situazione».

 

Migliorerà con la devolution? O un solo caos si dividerà in quindici piccoli caos (tante le regioni costiere)? Le Regioni più efficienti, potendo finalmente incassarle in proprio, forse ritoccheranno finalmente le concessioni al rialzo; quelle più clientelari forse erediteranno il "grigio tollerato" centralista. E l'Italia balneare sarà ancora più squilibrata. In questa situazione la spinta liberista dell'Ue, sacrosanta in teoria, potrebbe produrre tutto il contrario nella pratica. «Il mercato sta crollando», denuncia l'assessore Cinquini a Viareggio, «nessuno compra uno stabilimento non sapendo se nel 2015 lo gestirà ancora». Proprio nessuno? Forse qualcuno in grado di rischiare c'è. Grandi catene già attive nella ristorazione, ad esempio, possono scommettere sulla possibilità di vincere le future gare grazie alle proprie economie di scala, e intanto rastrellare concessioni a prezzi di saldo. Si profila lo spettro dei bagni-autogrill, della McSpiaggia? Possibile.

 

«Distruggeremmo la professionalità costruita in un secolo, la cultura dell'accoglienza che ha fatto la nostra fortuna», paventa l'assessore Gamberini di Rimini. Per altri lo spettro è più inquietante: chi ha soldi da investire anche in piena crisi? «Rischio infiltrazioni mafiose», il presidente Assobalneari Renato Papagni ha avvisato il governo. La richiesta: le future gare privilegino i concessionari uscenti che abbiano dimostrato professionalità e investimenti. Ragionevole: ma potrebbe anche essere la scusa per lasciare tutto come sta. Entro dicembre il governo deciderà come rispettare l'ordine di Bruxelles senza buttare a mare il meglio della tradizione balneare italiana. Col rischio, però, di salvare anche il peggio.

 

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/07/1...92/?ref=HREC1-1

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Un’altra cosa molto piu’ semplice…ma invece di cambiare il sistema delle concessioni…non era meglio abolire totalmente le concessioni?

Basta, ormai siamo arrivati allo schifo totale, non e' rimasto nemmeno 1cm2 di spiaggia libera, quel poco che rimane viene abbandonato alla sporcizia.

 

A mio parere le concessioni dovrebbero essere vietate, si, totalmente vietate, come succede nella maggior parte del mondo, la spiaggia non puo' essere un bene privato...ne' in concessione ne' in proprieta'.

 

Siamo riusciti a far estinguere i turisti stranieri in cerca di sole e mare...e te credo, ma chi vuole spendere 50 euro al giorno per sentirsi in spiaggia come in un condominio con altri 250 ombrelloni uguali a 60cm di distanza dal tuo...semplicente vanno in vacanza in altri paesi.

 

La colpa e' comunque principalmente della gente che e' semplicemnete idiota e che accetta senza problemi uno scontrino da 40 euro per due sdraio ed un ombrellone....ma si sa...l'apparenza e' tutto, andare a piantare il proprio ombrellone e' robba da anni 60.

 

Abbiamo quel che ci meritiamo.

 

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La colpa e' comunque principalmente della gente che e' semplicemnete idiota e che accetta senza problemi uno scontrino da 40 euro per due sdraio ed un ombrellone....ma si sa...l'apparenza e' tutto, andare a piantare il proprio ombrellone e' robba da anni 60.

 

Abbiamo quel che ci meritiamo.

 

Quoto..!

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