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a pesca di wahoo -ultima parte-


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Prima parte

http://www.apneamagazine.com/ibf/index.php/topic/88355-a-pesca-di-wahoo-prima-parte/

 

Seconda parte

http://www.apneamagazine.com/ibf/index.php/topic/88382-a-pesca-nel-blu-seconda-parte/

 

 

Ed ecco l’ultima parte del racconto, per chi ancora non si è stufato di leggermi.

Nella notte il tempo comincia a cambiare e al nostro risveglio, invece dell’allegro cinguettio di non meglio identificati uccelli, sentiamo lo scroscio costante di un acquazzone. Inizio comunque, ottimisticamente, a prepararmi e, per fortuna, dopo un paio d’ore la pioggia cessa e un bellissimo arcobaleno accompagna la nostra partenza.

 

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Arriviamo sulle secche e inizio a sentire quella sensazione di familiarità che normalmente accompagna le immersioni nel mare di casa. Lucio accusa problemi all’orecchio e, nonostante si sforzi non poco, non riesce ad immergersi come vorrebbe. Comincio allora a tuffarmi io, alternando comunque lunghi periodi a galleggiare in superficie, guardandomi intorno nella speranza di intercettare qualcosa.

Verso metà mattina il primo avvistamento: dal blu intenso compare un discreto wahoo! Scendo immediatamente, quasi senza prendere fiato. Da come il pesce è risalito immagino che il tutto si giocherà in pochi metri di fondo e in pochi secondi per cui è meglio non avere troppa aria nel torace a rendere l’assetto eccessivamente positivo. Mi immobilizzo in 7-8 metri e comincio ad avvicinarmi una pinneggiata dietro l’altra.

 

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Il pesce sembra curioso ma allo stesso tempo non si fida troppo e non chiude la distanza. L’autonomia comincia a scarseggiare e così do qualche pinneggiata più energica e tiro da lontano. Preso bene, forse leggermente basso. Il pesce parte tirandosi le boe e facendo affondare la prima. Mi aggrappo comunque al sagolone di collegamento con la seconda boa, la più grande, e comincio a lavorarlo. Appena molla leggermente recupero mentre tengo la tensione quando nuota più forte. I primi, critici, secondi sono passati e mi faccio coraggio pensando che se non si è strappato fino adesso è sempre più difficile che ci riesca. Ho imparato infatti che questi pesci hanno una reazione tremenda nei primi attimi ma poi perdono le forze abbastanza rapidamente. Dopo i soliti 10 minuti di combattimento me lo tiro addosso e lo afferro. Chiamo la barca e salgo a fare subito la foto di rito.

 

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L’inverno è ancora lungo e chissà per quanto altro tempo non potrò confrontarmi con pesci del genere per cui voglio bloccare ogni momento, ogni ricordo, in modo da poterlo successivamente rivivere. Quando abitavo sul mare e andavo a pesca anche 3 volte a settimana davo le cose molto più per scontato ma adesso, che le occasioni di pescare si sono ridotte drasticamente, le foto, i video e i ricordi acquisiscono un’importanza notevole. E’ forse anche per questo che scrivo i racconti, certo per condividere le emozioni con gli altri ma forse anche per riviverle in prima persona.

In ogni modo, torniamo alla pesca: mi ributto. Il tempo passa ma altri avvistamenti non ne facciamo. Incrocio un branco di barracuda ma sono pesci ben più piccoli di quello di ieri per cui mi faccio passare ben presto la voglia di tentare la cattura. Ad un tratto, mentre galleggio intento nei miei pensieri, una lampuga arpionata mi supera in velocità. Ho un sobbalzo ma, sorprendendomi io per primo, mi scopro subito a guardarmi intorno nel tentativo di intercettare altri, eventuali, componenti di un ipotetico brancotto. Non vedo nulla e così mi concentro sul pesce colpito e su Lucio che gli corre appresso. Mi racconterà poi di aver visto la lampuga sotto il pelo dell’acqua e di essere riuscito ad avvicinarla e a tirare mentre io, a 20 metri da lui, non mi ero accorto di nulla. Il tiro è buono e Lucio recupera il pesce senza problemi.

Altri tuffi, tanti, e sempre pochi avvistamenti. Nel tardo pomeriggio finalmente ho un’altra occasione. Un wahoo viene a curiosare. Scendo direttamente in caduta e lo inseguo. Lui tiene la distanza ma piano piano, nelle nostre evoluzioni, devo essere entrato nell’angolo cieco perché vedo distintamente che ad un certo punto il pesce rallenta disorientato. Grave errore! Qualche altra pinneggiata cattiva e ZAAAK, colpito dall’alto. Il tiro è ottimo e l’asta ha soprattutto un’inclinazione ottimale in quanto si posiziona quasi parallelamente al pesce senza fare troppa resistenza nell’acqua. Il recupero, per una volta, è abbastanza semplice: aspetto qualche minuto e poi tiro su il pesce delicatamente senza particolari problemi se non la solita paura, ingiustificata stavolta, di vedermelo scappare all’ultimo istante. Si rientra.

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Nel tragitto di ritorno vengo a sapere che Daniel ha sparato ad un pesce vela e purtroppo lo ha perso per la rottura del nylon. Peccato davvero. Controllo anche io il terminale e noto che è molto abraso e rovinato. Ma come? Un nylon da 180 con 3 pescate, effettuate oltretutto nel blu a distanza da qualsiasi scoglio? Boh. In ogni caso meno male che ho controllato…

Il giorno successivo partiamo per una traversata di 25 miglia verso nuove zone con un tempo che definire da lupi è poco: onde di 3 metri e pioggia battente. Mentre la barca, una lancia di 7 metri che sembra terribilmente piccola in queste condizioni, sbatte furiosamente e secchiate d’acqua ci si riversano addosso, ripenso alle condizioni così diverse dei primi giorni e capisco il perché ci avevano detto così tante volte che eravamo stati fortunati a trovare bel tempo.

Dopo una mattinata di navigazione comunque arriviamo. Non siamo più in aperto Oceano ma a ridosso di un’isoletta sulla quale dormiremo per due notti. Si mangia qualcosa, qualche noce di cocco e dei biscotti al cioccolato, e ci si butta in acqua.

Prima delusione: l’acqua è torbida. Impossibile pensare di pescare nel blu in queste condizioni.

Cominciamo allora a girare alla ricerca dell’acqua chiara e fortunatamente, dopo un po’, la troviamo. Capiamo che il torbido è la conseguenza delle recenti piogge e viene portato in un punto o in un altro dalla corrente; al di fuori di queste scie nere l’acqua è cristallina. Si è fatto tardi e la giornata di pesca sembra ormai andata buca ma la fortuna ogni tanto strizza l’occhio e nell’occasione lo strizza a me. Sono in mare con Nigel in quanto Lucio sta male con l’orecchio e forse comincia ad avere un po’ di febbre. Ad una trentina di metri da noi, nel cavo di un’onda mi sembra di vedere un bagliore. La solita allucinazione di quando desideri tremendamente un pesce? Forse, però vado lo stesso a vedere. Mi avvicino e sembra non esserci nulla ma quando la cresta successiva mi passa sulla testa e mi vengo a trovare di nuovo nel cavo dell’onda vedo due wahoo di buona taglia. Non era un’allucinazione allora! Cerco di non perderli e gli nuoto contro ma l’unico risultato che ottengo è quello di spaventarli e farli fuggire. Non voglio darmi per vinto e mi immergo; sono senza fiato per la pinneggiata ma quasi non me ne accorgo. Arrivo a 7-8 metri e mi immobilizzo, cercando di farmi più piccolo che posso. Nulla. L’autonomia è scarsa e sto quasi per risalire quando i musi puntuti dei due wahoo riappaiono e mi puntano contro. Resisto ma la partita ormai si gioca sul filo dei secondi: o vengono o devo risalire. Vengono! La prima contrazione diaframmatica. Dai! Dai!! Manca un metro alla distanza che ormai ho imparato essere quella di un tiro sicuro. Basta, mi allungo e tiro.

 

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Neanche guardo se e dove l’ho colpito che schizzo in superficie. Il tiro comunque deve essere andato a segno perché ho sentito distintamente sul braccio la botta del sagolone trascinato dal pesce. Due respironi e rimetto la testa sott’acqua: il sagolone punta in basso. Lo afferro e sento le scodate del pesce: ha tenuto allora! Comincio il recupero ma il wahoo questa volta è particolarmente vitale e tira violentemente senza dare segni di cedimento. Aspetto, adesso che posso respirare il tempo lavora per me. I minuti passano mentre sto aggrappato al sagolone. Ogni tanto riesco a recuperare una bracciata ma subito dopo la riperdo. Dopo un po’ il pesce si ferma di colpo. Comincio a tirare e non sento più scodate ma solo un peso. Tiro, tiro e finalmente il wahoo mi appare sotto le pinne, apparentemente morto. Capisco che ha esaurito tutte le energie per cui è il momento di insistere. Tiro più rapidamente e gli scendo incontro. Lo afferro per la coda e lo abbraccio. Ultime scodate violente e finalmente la lotta finisce.

 

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Che bella cattura! Di questo pesce sono veramente orgoglioso, cercato, combattutto e finalmente preso.

 

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Sarà anche l’ultimo pesce che prenderò in questa trasferta.

Il giorno successivo una burrasca tremenda ci impone di riparare in una caletta per gran parte della giornata e ci concede solo poche ore di pesca. Nessuno prende nulla fino all’acuto di Nigel, che nell’ultima mezz’ora di pesca, sotto i miei occhi, cattura un pesce vela. Stiamo nuotando contro una corrente a fiume trascinandoci il flasher, Nigel davanti, io alla sua destra due metri dietro e Lele più defilato, ancora più a destra e un po’ più indietro. Quattro vela compaiono a sinistra. Sono splendidi! Blu cobalto, uno con la pinna alzata. Nigel gli va incontro e io pure. Tutto dura veramente pochissimi secondi che però mi rimangono in testa come fossero un quarto d’ora. Nigel tira e colpisce il primo. Gli altri tre rimangono 2 o 3 secondi come spiazzati. Forzo sulle pinne al massimo che posso: questi pesci sono sempre stati il mio sogno. Arrivo a 7-8 metri dal vela più grosso e comincio a crederci. Allungo il fucile. Il vela colpito passa tra me e quello che sto puntando. Nuota a tutta forza ma riesco ad accorgermi di mille particolari: l’occhio azzurro, la vela abbassata, il nylon che entra nel pesce e l’asta penzoloni dalla parte opposta, l’enorme coda falcata, le mille grinze dei muscoli contratti sotto quella pelle lucente. Lo guardo per un istante e poi mi concentro di nuovo sull’altro, la mia preda. Purtroppo però tutti i vela cominciano a seguire il pesce ferito e scompaiono dalla nostra vista in un attimo. Occasione sfumata per me. Nigel invece recupera il suo pesce in una mezz’oretta.

 

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L’ultimo giorno è un sconfitta totale: vedo pesci da tutte le parti e non riesco a catturarne nessuno. Faccio anche una caduta veramente fonda su un branco fittissimo di trevally ma il risultato è un tiro maldestro col pesce che si libera in pochi secondi.

 

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Ho finito in bruttezza ma il bilancio è più che positivo: non dimenticherò mai questi giorni! Con il cuore ancora nell’Oceano riprendo l’aereo. Grazie di tutto mare.

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