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A pesca in polinesia -seconda puntata-


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segue dalla prima parte

 

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E domani arriva. Lappuntamento con Marc è alle 7 in quanto nel pomeriggio Frank deve lavorare e siamo costretti ad andare a pescare di mattina sebbene sembra che sia il momento peggiore.

 

Il fucile è nuovamente pronto: ho cambiato nella notte la sagola in dyneema italiana con una fornitami da Marc e pensata per equipaggiare le barche di coppa america e ho sostituito la tanto cara (in tutti i sensi) asta da 8,5 con arpione snodato con una devoto doppia aletta da 8mm.

 

Speriamo bene. Mostro di nuovo tutto a Marc il quale obietta che le alette sono troppo sottili e soprattutto hanno il bordo tagliente. Tremo: ho già avuto conferma del suo occhio terribilmente clinico sulle attrezzature.

 

Arriva Frank con la barca accompagnato da un altro ragazzo polinesiano: oggi loro due staranno in acqua con me mentre Marc ci farà da barcaiolo a causa di un problema ad un orecchio.

 

Solita traversata della laguna, usciamo dalla pass tra unonda e unaltra e raggiungiamo il drop-off. Mi tuffo per primo carichissimo e pronto a ritrovarmi nel mezzo degli squali come ieri. La scogliera invece sembra diversa: i pesci di barriera sono più lenti, più tranquilli e soprattutto non si vede nessuno squalo. Brutto segno, penso.

 

In ogni modo comincio a pescare come il giorno prima, un aspetto dietro laltro. Non c’è movimento, vedo un paio di jobfish da lontano ma non hanno nessuna intenzione di avvicinarsi mentre di tonni neanche a parlarne.

 

Anche Frank non vede pesce, prova sempre più fondo, sul fondo e a mezzacqua, ma dopo un po, contrariato, mi fa cenno di spostarci.

 

In barca mi dicono che è colpa della marea e dellorario. Anche se faccio di tutto per dissimularlo, probabilmente colgono unespressione di delusione e subito mi rincuorano con una notiziona: conoscono un posto dove, solamente per un mese allanno, si raccoglie tantissima mangianza e i predatori sono presenti stabilmente e questo mese è proprio ora!!!

 

Mi avvertono però che non è facile pescarci, in quanto si tratta di un bassofondo spazzato dalla corrente e pieno zeppo di squali. Marc mi raccomanda di stare letteralmente attaccato a Frank. Mi sento un po come un bambino che ha bisogno di una babysitter ma i miei compagni hanno dimostrato di essere veramente esperti per cui faccio un bel bagno di umiltà e accetto il consiglio.

 

La barca ci porta a 2-300 metri dal punto e ci tuffiamo. Frank davanti e io e laltro ragazzo qualche metro dietro. Pinneggiamo come matti ma avanziamo lentamente: più ci avviciniamo alla zona e più la corrente aumenta. Ho passato unestate pescando abbastanza spesso e scendendo anche più fondo di quanto non facessi da anni ma con questa corrente penso che sarà davvero dura. Fortunatamente però il fondale risale.

 

Frank si ferma, si guarda intorno e mi fa cenno di avvicinarmi. Lo affianco e vedo quello che intendeva: un canalone scavato nei coralli è invaso di pesci. Non so bene che pesci siano, assomigliano alle nostre sardine. Per un attimo maledico la mia pigrizia: avrei dovuto documentarmi meglio sulle specie presenti da queste parti.

 

In ogni modo i pesciolini formano uno strato uniforme, impossibile da penetrare con la vista; potrebbe esserci una balena subito oltre e non riusciremmo a vederla.

 

Rimango affascinato a guardare la scena quando i pesci si aprono e mi schizzano addosso tanto che giurerei di averne sentito più duno urtarmi. Nel buco che si forma si materializza uno squalo, un grigio di due metri come quelli di ieri ma che in questo bassofondo fa terribilmente più scena. Nuota a scatti, velocissimo, mi guarda e gira via. Subito dopo ne compare un altro e un altro ancora, sono tanti e ovunque. Poi, sui bordi del canalone, riesco a notare diversi pinna nera e qualche pinna bianca, più piccoli e apparentemente più tranquilli. I pesciolini scodano da tutte le parti, il muro argenteo che in un primo momento, da lontano, sembrava statico è invece in perenne, frenetico, movimento.

 

Sento Frank urlare nel boccaglio LOOOOOOOOK!!!!, giro la testa in tutte le direzioni fino a vedere la codona di un tonno a denti di cane di 20 o 30 kg, che sparisce dietro la coltre di pescetti come a perdersi in una nebbia azzurra. Poco dopo un paio di jack grassocci fanno lo stesso: compaiono per qualche secondo e poi scompaiono. Cerco di inseguirli e mi butto nella mischia. C’è un gran casino e sono abbastanza confuso: pesci che schizzano da una parte allaltra, ti urtano sul vetro della maschera e ti permettono una visibilità ridottissima, squali dappertutto, corrente a fiume. Come facciamo a pescare qui???

 

Ci allontaniamo un po, la situazione sembra tranquillizzarsi e finalmente capisco: pescheremo ai margini di quellorgia predatoria, cercando di attirare qualcuno dei pescioni che nuotano al suo interno. Mi sento toccare la mano e, istintivamente, la ritraggo con un colpo secco al cuore. Sembra tutto a posto ma ho qualcosa nel guanto. Me lo tolgo al volo scuotendo contemporaneamente la mano e uno dei pescetti di prima esce, un po stordito. Pensa te

 

Tra un sorriso e un sospiro, finalmente cominciamo a pescare. Scendo allaspetto. Il pesce qui, indubbiamente, c’è: vedo da lontano un bel brancotto di jobfish, che senza tanti complimenti mi punta. Comincio a seguire il più grosso ma uno squalo pinna bianca passa tra me e il pesce proprio quando sto per tirare. Mi gelo: non posso tirare adesso o succede un macello. Faccio sfilare lo squalo ma mi accorgo che non va via bensì mi gira intorno e mi punta di nuovo. Lo seguo col fucile e in pratica gli metto la punta sul muso. Si avvicina ancora e istintivamente lo pungo. Vedo bene la punta dellasta che preme sulla pelle dello squalo, senza bucarla, provocando qualche grinza e un attimo dopo quello scoda via. Risalgo.

 

 

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Mi sposto di qualche metro e sto per riprovare la posta quando proprio tra me e Frank, sul fondo, passa un bel pesce. Un rapido sguardo e mi fa cenno di scendere. Riesco ad arrivargli vicino e tiro a non più di due metri, certo di fulminarlo. Lo prendo e il pesce accusa decisamente il colpo ma ahimè non è fulminato neanche questa volta. Ma dove cavolo bisogna mirare?

 

Il jobfish scoda ma non va lontano, riesco ad allontanarlo dal fondo e, tirando più forte che posso, ad agguantarlo. Mano sinistra nella branchia, braccio destro a stringermelo sul petto e sulla pancia e risalgo. Non faccio in tempo a godermi il pesce che penso alle decine di squali che ci sono in giro, per cui chiamo la barca e lo passo subito a bordo prima ancora di finirlo. Timore forse esagerato a giudicare dalla faccia di Marc quando vede il pesce ancora vitale. Non mi dice nulla comunque e anzi mi fa i complimenti per la cattura: è un signor jobfish.

 

 

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In barca c’è già un carangide, un trevally. Ma chi lha preso? E soprattutto quando? Mi diranno che è opera di Frank: mentre io litigavo col pinna bianca lui ha catturato il pesce, lo ha passato in barca e si è rituffato. Ammazza!

 

 

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Mi ributto anchio. Torno a ridosso del fiume di pescetti e mi riapposto. Arrivano ancora i jobfish, 4-5 pesci di cui uno proprio bello. Aspetto, aspetto.tiro!

 

 

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Preso male questa volta, leggermente basso. Fosse stato un pesce mediterraneo avrei giudicato il tiro buono, lo avrei fatto sfogare e lo avrei recuperato di certo ma qui tutto questo non è possibile pena sacrificare agli squali tutte le prede. Si spara e si deve recuperare subito. E una corsa a chi è più veloce: tu a recuperare o loro ad arrivare. Tiro anche in questo caso più forte che posso ma questi pesci hanno una forza bestiale, per cui facciamo il tiro alla fune per un po finchè il jobfish non si strappa. Lo vedo correre ad intanarsi sotto un fungo di corallo e cerco di recuperare lasta e ricaricare per doppiarlo. Questa volta perdo la corsa: quando arrivo sulla roccia trovo già 5 o 6 squali grigi che stanno divorando il mio povero pesce. Lo squalo più massiccio lo morde a metà e si arrotola su sé stesso 3 o 4 volte mentre gli altri spingono e si fanno sotto in una mischia di musi dentuti. Il jobfish viene spezzato metà come niente e il troncone di testa portato via da uno squalo inseguito da 2 o 3 suoi simili, che cercano di rubargli il pasto. Altri 2 o 3 squali si litigano invece il troncone di coda. Il tutto dura pochi secondi e poi finisce, finché del jobfish rimane solo una nuvola marroncina vicino allo spacco.

 

 

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Gli altri squali hanno comunque avvertito che c’è qualcosa di strano e cominciano ad essere più nervosi e aggressivi, anche contro di noi. Mentre sto in superficie un pinna nera mi punta con la dorsale che sfiora la superficie.

 

 

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Scendo di un paio di metri e gli nuoto contro. Non va via ma non mollo neanche io, forte del fatto che, tra i due, sono il più grosso. Arriviamo occhi negli occhi finché, anche in questo caso, una punzecchiata non gli fa capire che non sono poi così innocuo.

 

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Frank intanto spara ad un altro carangide, lo recupera subito e lo solleva fuori dallacqua. Gli squali gli girano intorno disorientati dal fatto di aver perso la traccia del pesce colpito, così Frank gli nuota in mezzo sempre col braccio e il pesce sollevati. La scena sembra comica a raccontarla ma a viverla vi assicuro che fa impressione. Tutto comunque finisce per il meglio e il pesce viene passato in barca.

 

Anche laltro ragazzo cattura un carangide e si avvia anche lui verso la barca. Io a questo punto sono da solo per cui, pur avendo qualche altra buona occasione con i jobfish, finisco col non tirare. Intanto gli squali sono sempre più attivi e ad ogni posta vengono a curiosare da vicino.

 

 

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Tornano i miei compagni e probabilmente reputano la situazione un po al limite, così tutti e due sparano ad uno squalo. Le aste penetrano pochissimo e i due selacei se ne liberano in pochi secondi ma la cosa sembra funzionare perché per un po la densità squalesca diminuisce.

 

Ricominciamo a pescare e ho unaltra occasione con un bel jobfish. Mi arriva insieme ad altre 3 o 4 ma si tiene alla larga.

 

 

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Miro bene e tiro. Preso alto, sulla schiena. Scoda via come un pazzo e srotola il mulinello. Afferro il filo ma mi scivola. Ormai ho capito come funziona per cui stringo di più e tiro a grandi bracciate. Nel frattempo, come in un flashback, mi torna in mente che sia io che i miei compagni polinesiani abbiamo gli stessi guanti in dyneema: a me durano, perfetti, da 6 o 7 anni, loro, mi dicono, li devono cambiare ogni anno

 

Torno in me e continuo a tirare. Il pesce nuota in tondo e piano piano sale. Nella foga una voluta di dyneema si impiglia nel boccaglio e mi sposta un po la maschera, facendola allagare. Poco male, tiro lo stesso. Squali non mi sembra di vederne. Finalmente arrivo sul pesce e lo abbraccio. Lo finisco e lo passo in barca festante. Riguardando il video della scena noto che i miei due compagni sono stati al mio fianco per tutto il recupero e, a ripetizione, pungevano qualcosa sotto le mie pinne

 

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Dopo di me risalgono in barca anche loro: basta per oggi.

 

Domani proveremo qualcosa di diverso: la pesca nel blu.

 

...to be continued...

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grazie a tutti :)

 

bellissimi racconti, poi ti volevo chiedere ma con tutti questi squali come facevi a rilassarti? avevi le stesse apnee che hai in italia? complimenti deve essere incredibile pescare così. :clapping: :clapping: :clapping:

 

beh no. Le apnee erano molto più corte anche perchè la fase della preparazione al tuffo non c'era mai. Nella maggioranza dei casi si nuotava a tutta forza e poi ci si tuffava subito oppure vedevi un pesce e scendevi o avevi qualche squalo vicino

 

Ciao ;)

Modificato da Uccio
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