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spara che ti passa


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Bestiaccia balorda che è l’animale uomo, affidabile come una baldracca sulla circonvallazione – anzi no, quella almeno la ritrovi sempre lì. E’ da due anni che aspetto una cattura decente da raccontare, e quando arriva finalmente...pff, non c’ho più voglia di scrivere un tubo. Il fatto è che ho aspettato troppo, son passate le giornate e sono tornato alla solita suppa come se non fosse successo niente. Si lascia trascorrere un po’ tempo per gustarsi la gioia della cattura in modo esclusivo, un altro po’ per veder le cose dalla giusta distanza (che cazzata!) si raffreddan gli entusiasmi per non fare la figura di pischelli che si gasano al primo pesce (ma senti chi parla!), infine non si ricorda più uncazzo. Mi ha fatto fare i denti di cane, il mare, prima di sganciare il suo pezzo. Nemmeno ci pensavo più a prendere un pesce così. Ci avevo sognato sopra per un bel po’ , finché tra un cappotto e due pescetti, tra una mareggiata, un c@**o e un mazzo mi son rassegnato. Adesso è già tanto che riesco a andarci al mare, cioè l’impresa è arrivare al mare: pescare o no è secondario. E’ andata così: l’altro giorno siam scesi finalmente come due rigagnoli mezzi disseccati che tra un’ansa e un’impaludamento alla fine riaffiorano e trovano il loro sbocco. Ma che strazio!

Un casino di erbacce. L’orto è andato a puttane. Tocca rivangare tutto e far la spesa al supermercato, e io che già pregustavo le verdurine dell’orto. E si che ce l’aveva detto il vicino: “Ma che state a perder tempo, nemmeno è roba vostra! Finisce che la proprietaria si sbafa tutto.” Non è venuta giù nemmeno lei e la roba se la son mangiata le lumache e i corvi. I giorni passati senza mare son sotto i miei occhi, in questo campicello incolto che rispecchia il mio stato: è un mese e mezzo che non vado in mare e danno brutto tutta la settimana. C’è da rompersi le balle. Allenato lo sono, ma non dell’allenamento in mare, quello che conta. Allenarsi a terra o in piscina vale poco, non proprio zero (lì è proprio quando non fai niente, anzi, a quest’ età se non fai niente scendi anche sotto lo zero), ma quattro o cinque. I timpani si chiudono, si perde l’abitudine a stare in acqua e il mal di mare, per chi ne soffre, si sente prima. Che piagnisteo!

Sto qui come un sasso sulla battigia. Neanche oggi si esce. Anche se sabota costantemente le nostre quattro pescate il mare incazzato non riesce mai veramente a darmi un dispiacere. Passiamo il pomeriggio a guardare le onde frangersi. Mi dà soddisfazione il pensiero che nessuno ora possa solcarlo impunemente. Dopotutto non fa che mostrare il suo vero volto, mica lo zerbino che ad agosto qualsiasi canottino si permette di battere.

Il giorno dopo il mare si calma un po’, ma è comunque bello tosto. In acqua resiston solo tre crucchi, papà e due crucchini, che se la spassano un mondo a sollevar spruzzi. Aspettate, aspettate ancora tre quattro anni e poi vedrete che scassamento di peperoni le vacanze coi genitori. Penso che nel pomeriggio forse potrei provare a entrare, quando ne vedo tre che escono già dall’acqua coi pesci in cintura. Ci fosse una volta che riesco a entrare in mare per primo. E avanti col piagnisteo. Questi qui son pure bravi. Uno ha preso due barra da un chilo e mezzo-due, un’altro un bel sarago e una corvina magnifica, e il terzo un’orata e un cefalo. Si son divisi le batimetriche e così son riusciti tutt’e tre a far carniere in un posto dove con la bella stagione i pesci vedranno una media di una decina di sub al giorno: il primo ha pescato sulle punte, l’altro più fondo e il terzo sottocosta. Altroché se son bravi. Alessandra va subito a chiedere a che profondità. “Otto metri”. Allora ho capito dove. Era da un anno che io e il mio socio di pesca si complottava di andare a stanarla. Eccoti lì appesa al culo d’un altro, dopo che ti sei fatta correr dietro tutto tempo. Sta troietta.

C’è niente da fare, siamo in troppi, c’è sempre qualcuno pronto a rovinarti la festa. Questo donnone qui ad esempio con le chiappe che straripano dal costume da bagno e che si avvicina inesorabile a uno dei pescatori. Una volta portatasi a tiro d’insolenza il donnone spara al pescatore di gettare quella schifezza lontano di lì, che vuol fare il bagno. Sto qui appollaiato sullo scoglio a godermi la scena. Possibile risposta: “ E la tua bernarda oleata secondo te non inquina più dei buzzi di barracuda?” Mi ci vorrebbe un cartello da suggeritore. Niente. Il pescatore invece non fa una piega, si allontana coi suoi buzzi su uno scoglio e li lancia lontani. Non ero l’unico a godersi la scena. Un gabbiano spicca subito il volo e si tuffa a sbafarsi i buzzi. La natura non inquina: che lezione! Peccato che il donnone manco s’è accorta d’uncazzo e se ne va tutta tronfia del suo pistolotto. Fine dello spettacolo. Anche i crucchini han gettato la spugna e sono usciti dall’acqua; adesso se ne stanno rannicchiati sotto l’asciugamano a mo’ di tenda e si portano alla bocca qualcosa che sbocconcellano come animaletti mentre tengono sguardo fisso sul mare. Beh, se vuoi pescare devi almeno saperti guardare intorno. E ‘ora di andare a mangiare.

Risalgo il milione di scale liguri verso i terrazzini e l’orticello sciatto.. Passo Il pomeriggio chino a strappare erbacce, con l’orecchio teso al mare là sotto, biancoverde di schiuma e di luce. Booom booom, continua a menar colpi sulle rocce, è inquieto come me, il mare, e a ogni colpo, a ogni schianto è come se mi chiamasse con insistenza. A ogni rimacinar di sassi sullo spiaggione rimugino che il giorno giusto è ora, e non è che ne capitino tanti di giorni così buoni in Liguria. E giù coi rimpianti: se fossi entrato prima, se avessi fatto questo, se non avessi fatto quello.

- E piantala con sto piagnisteo e va in mare! - Mi grida dietro Alessandra.

Prima che arrivi sera mollo la zappa e impugno il fucile. Ridiscendo le scale montaliane con lo zaino in spalla e la cintura dei piombi e penso ai racconti di Rigoni Stern, quando reduce dalla disastrosa ritirata di Russia prima e dalla deportazione in un lager tedesco poi, tornato alle sue montagne, per settimane se ne andò a caccia di urogalli per guarire dalle ferite del corpo e dell’anima. Come diceva invece Moby Dick? Aspetta un po’...copia e incolla, CTRL C + CTRL V...ah ecco qui!

“Ogniqualvolta mi accorgo che la ruga attorno alla mia bocca si fa più profonda; ogniqualvolta c'è un umido tedioso novembre nella mia anima; ogniqualvolta mi sorprendo fermo, senza volerlo, davanti a depositi di bare o in cammino dietro a tutti i funerali che incontro; e, specialmente, ogniqualvolta l'insofferenza mi possiede a tal punto che devo far appello a un saldo principio morale per trattenermi di discendere in strada e buttar giù metodicamente il cappello di testa ai passanti, giudico allora che sia venuto il momento di prendere il mare al più presto possibile.”

Così anche ognuno di noi, in milionesimo di grandezza e di sofferenza ripete lo stesso gesto: depone a riva per tre, quattro ore la carrettata di ca**i suoi, e si cala in mare.

Facile dirlo ora, ma scendendo verso il porticciolo avevo la sensazione che fosse piuttosto il mare ad attirarmi verso di sè; così per calmarmi e non farmi prendere da inutili entusiasmi mi son detto che sì, probabilmente avrei visto qualcosa di bello, ma probabile anche che non avrei quagliato niente.

Pare che si sia calmato, il vento è calato, anche i rondoni escono dai loro buchi nelle rocce a strapiombo per mangiare. Appena fuori dall’ingresso ridossato mi rendo conto che mi son fatto delle illusioni e non s’è calmato granché. Onde dal largo, onde che rimbalzano contro le rocce, che arrivano da tutte le parti. Non mi pare neanche di nuotare, sembra piuttosto di correre di qua e di là in mezzo ad un sacco di altra gente che corre e ti spintona. Il pallone col secondo fucile attaccato minaccia di farsi un giretto kamikaze sugli scogli, recupero sagola e mi sposto al largo, impossibile pescare a ridosso, la corrente si porta via il pedagno, rimollo la sagola per ancorarlo; entra acqua dal boccaglio, respiro praticamente col torace per evitare di bere... alé, che bel divertimento. Ancora Moby Dick, quando paragona un marinaio che passa da un imbarco all’altro a una navicella in tempesta che per salvarsi deve tenersi sempre al largo e non avvicinarsi mai a terra. Non pesco, navigo alla meno peggio, cercando di prendere le onde di tre quarti e di non farmi prendere dal mal di mare. Fuori c’è anche il Giancarlo col suo socio che prova a metter giù le reti. Niente da fare: la corrente gliele stravaccherà sul fondo e alla fine gli rimarranno dentro solo cinque occhiate sfigate.

Dopo mezz’ora buona di PIM e PAM trovo il punto giusto e posso cominciare a pescare. Scendo e da sotto vedo la schiuma formare dei gran cumuli che si alzano scuri scuri verso la superficie. Mi sembra d’essere un aeretto capitato nel mezzo d’un temporale. La corrente forma anche una specie di fiume che delimita abbastanza nettamente l’acqua torbida da quella pulita. E’ la seconda o terza volta che mi capitano begli incontri in una situazione del genere, ma al momento naturalmente non ci penso. Un trainista diceva di pescare a ridosso di queste fasce d’acqua perché secondo lui il pesce fa fatica a respirare nel torbido e durante le mareggiate si sposta da sottocosta alla fascia di acqua limpida immediatamente a ridosso e lì arrivano anche i predatori a cacciare. Se ne sentono tante, ma qualcosa ci deve essere. Le castagnole fanno la palla e si muovono come un unico cuore pulsante. “Bello vivere nel terrore eh?” Sono elettriche, ma mica vuol dire necessariamente qualcosa: basta una sola occhiata a far casino. Torno su e mentre faccio questa bella pensata una leccia arriva da dietro mi sfila di fianco, è un bottiglione verde con la pancia tirata in dentro, candida come quella di uno squaletto. I pezzi grossi son sempre uno spettacolo, ancheggiano come fotomodelle, mica schizzan via come pescetti insulsi. E’ un mezzo peccato non potersi fermare a godere dello spettacolo, bisogna sparare in fretta, al momento buono; il mio sta già per finire, la leccia ha visto abbastanza e comincia a allontanarsi mentre cerco di sollevare il fucile a due mani e ruotarlo, vischioso come un paiolo nella polenta - ero in superficie a ventilare con l’arma puntata verso il fondo – lenta lei si defila, troppo lentamente indirizzo l’arma, ora mollo il fucile con l’altra mano, SBADABIM SBADABAM arriva un’ondata a romper le balle a momenti rovescia il paiolo con tutta la polenta sul più bello, ci vuole ancora un attimo per allineare, allungo il braccio, sento i capelli rizzarsi sotto il cappuccio della muta nel momento in cui premo il grilletto. Anche l’attimo dello sparo è altrettanto piacevole, altroché. E’ il piacere del gesto compiuto, ma è anche l’ansia sottile del giocatore che fino all’ultimo vien tenuto sulla corda – c’è, non c’è? Sarà un premio o un castigo? -. Sento molti affermare d’esser già sicuri dell’esito del tiro prima di premere il grilletto. Penso che il novanta per cento di loro menta o si sovrastimi. E i pochi che hanno raggiunto un simile grado di perfezione mi sa che non si divertono più tanto.

Il colpo è andato a segno, è già qualcosa. Afferro il filo che scorre e tiro via sto legno da davanti per vedere come è presa. Non si capisce, schizza verso il basso e punta un panettone di roccia che si alza dal fondo. Se riesce a girargli attorno taglia il filo e son fottuto. La tiro su senza pensarci. La stacco dal fondo; tiro ancora. Va ben, a sto punto proviamo a chiuderla subito. Afferro l’asta, il pesce non si fa prendere, schizza via, afferro con tutte e due le mani l’asta e la tiro tutto, asta e pesce attaccato contro la mia gamba. Se non altro le alette rimangono ben aperte, e l’asta se si storta chi se ne frega. Continuo a tirare e a schiacciarla contro la mia gamba piegando l’asta. Rimaniamo per qualche secondo sospesi così a guardarci. E mo?

Respiro. Controllo le spirali di filo che mi volteggiano intorno, guardo dov’è la punta dell’asta, mica che il pesce divincolandosi finisca per piantarmela addosso, poi con calma mi decido. Mollo l’asta con la mano sinistra e la faccio passare dall’altra parte afferrandola nuovamente, tolgo di mezzo la mia gamba, faccio scivolare la mano destra verso l’alto e la sinistra verso il basso, chiudendo il pesce tra i due pugni, poi apro la mano sinistra e faccio passare le dita tra le branchie. Infine con la destra afferro il coltello.

Morale della favola, pescata finita al primo tuffo. Sono neanche le sei, ho tre ore di luce davanti e rientrare a sentire gli Oh! Hi! Hu! a che profondità scendi? ne ho manco per le balle. E se poi mi viene incontro la budriona oleata? E’ la volta che le rovescio una chilata di buzzi di leccia sulle trippe. Attacco il pesce alla boa e me lo porto a spasso fino al tramonto, quando tutti se la saranno svignata al ristorante. Ogni tuffo torno indietro a rimirarmela, si sa mai, mica che il mare dopo avermela regalata me la rifrega. E le onde, il mal di mare?

Passato tutto. :D

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Modificato da zefiro
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Ogni tuffo torno indietro a rimirarmela, si sa mai, mica che il mare dopo avermela regalata me la rifrega

 

la conosco bene questa frase!!!

cmq se usciva questa prova scritta all'esame di maturita' eri promosso a pieni voti!!! ;)

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