> Autunno - Pesca in Apnea - AM FORUMS Vai al contenuto

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Eccoci qui, ancora all'asciutto: un'altra stagione è passata, pesci se ne son visti pochi. E comunque ora viene il brutto. Giorni di ferie me ne son rimasti pochi spicci, devo giocarmeli bene. E poi ci sono gli altri, 'ste sagome di cartone che prendono vita e te li trovi tra i piedi quando ti sei ormai convinto che manco esistono più. Sono lì appollaiati sulle loro scrivanie che ti sorvegliano come falchi non appena ti avvicini al calendario e hanno un pensiero fisso, che è il tuo: scappar via di qui. Mare, montagna, scantinato, bambini, amante, troie. Non importa: l'importante è partire. Gli altri; i pescatori come te, che hanno puntato la sveglia prima di te, come il destino sono già pronti, vestiti e armati, mentre tu sei ancora in mutande.

Eccone qui uno invece che vuol fare il martire del lavoro: starnutisce, scaracchia, rutta, scatarra mentre mi racconta. Non vedeva l'ora di farsi vedere col suo carico di idee e di malanni, in posa come Vittorio Emanuele a cavallo sotto una pioggia di cagate di piccioni. Insomma è il suo modo di sentirsi indispensabile, lo capisco, l’idiota. E’ lui a non rendersi conto che con i suoi acciacchi contagiosi sta mettendo a repentaglio i nostri sudati week end, l’unica cosa che conta, la nostra Shindler List – tutto il resto è tenebra -; ha il naso così tappato che non sente il nostro odio, la nostra voglia di prenderlo a calci e cacciarlo dalle nostre scrivanie, il più lontano possibile. Macché, capisce niente, continua a scaracchiare e a perdere moccio:

− Progetto… − e giù un colpo di tosse − …prodotto…ottimizzare…− e avanti un altro scaracchio – …formattiamo… Insomma tutto il tristo campionario aziendale. Tutte balle; un intero vocabolario usato solo per prendersi per il culo e non dire niente. Com’era grande quel povero cacciatore cavernicolo, nudo, peloso e infreddolito che per la prima volta diede il nome pietra alla pietra, sole al sole, sangue al sangue; perché queste cose non esistevano agli occhi dell’uomo prima di allora. E quindi non esistevano. Certo mica si sarebbe immaginato che finiva così.

− …ragioniamo…(scaracchio)…al limite facciamo un’altra riunione…(per carità!)

Sto qui inchiodato col culo alla sedia e l’occhio vitreo al computer. Mica lavoro, faccio finta come tutti. C’è una stracca in tutto questo, un torpore, una stanchezza…il sole là fuori è messo anche peggio di me; ha fatto il bullo tutta l’estate e ora con un ultimo sfavillio dietro il grattacielo Pirelli se la sta svignando alla chetichella come uno spacciatore tamarro. Gli storni si radunano sugli ippocastani dietro ai finestroni, oscillano nell’aria alla ricerca di un ramo libero tracciando geometrie non euclidee, quando finalmente atterrano si alza un altro stormo, e avanti così tutto il giorno. E’ da una settimana che sono bloccati su quelle ramaglie. Fanno solo un gran casino, combinano niente, ce la fanno mica a partire.

‘Sti siti meteo son peggio dei porno, altroché. Ci puoi perder la testa a stargli dietro: prima bello, poi tende al brutto, poi si aggiornano, litigano l’uno con l’altro: Sud-Est, Nord Ovest. Ti piagliano per il culo. E’ la Liguria, bellezza. Quando arrivano il freddo e le mareggiate si prepara a buttarci fuori a calci sta gran baldracca che se l’era fatta con tutti fino al mese prima: milanesi, emiliani, torinesi, ragazzetti e vecchie babbione oleate.

E le maree poi? Chi ci capisce niente; mica posso andare dal mio capo e dirgli “guarda domani pomeriggio c’è il picco giusto e non vengo al lavoro!” Del resto lui mica viene a dirmi: “Scusa ma domani dovresti assolutamente sostituirmi. Mia moglie mi ha minacciato: se non gli cambio lo spazzolino del cesso incrostato di pupurlegia con uno nuovo mi fa trovare le valigie fuori dalla porta”. Ancora un paio di annetti e ci arriviamo in fretta a queste intimità. Troppa confidensa vien meno la riverensa, diceva mia nonna.

Tra una balla e l’altra mi sa che salta anche questo fine settimana.

La solita corsetta al parco al posto di una pescata, la solita sega: uno slalom tra gli stronzi di cane, modelle con problemi alimentari di vario tipo e immigrati appena sbarcati, abbioccati sull’erba a smaltire cent’anni di sonno arretrato. Se guardi le modelle, sicuro che ritrovi con lo s*****o di cane nel Vibram; gli immigrati poi, chi li guarda? Ancora questo mito eterno dell’allenamento che mi ossessiona da quando avevo i brufoli. Quanti anni sono che corro, sollevo pesi, sudo, nuoto, pesto , puzzo? Chi se lo ricorda; se mi avessero attaccato una dinamo al culo avrei potuto dare energia a tutta Milano. I risultati non sono poi un granché; stanchezza, puzza di piedi e una gran cesta di panni sporchi.

Anche Alessandra è stata contagiata da quest’ossessione, era fatale.

-Come fai a dire di no?

-Di no cosa?

-Sono grassa!

- Facciamo prima. Cosa vuoi sentirti dire?

Si diventa pratici invecchiando.

-Allora i tuoi collegucci ti hanno fregato i giorni?

-Pensa ai tuoi di collegucci che sono più stronzi dei miei. Io Vado. Vado. VADO!

-Sì sì vai,vai, ragazzino bullo.

I-pod alle orecchie, prima attacca la chitarra, poi il suono della campanellina: allez, si parte, batteria, basso, via il solito reef. La voce caldamente oltretombale di Iggy pop me la remena che c’è solo da correre, nient’altro che corrrere e correre ancora…e infine schiattare.

I am the passenger and I ride and I ride

I ride through the city's backsides

I see the stars come out of the sky

Yeah, the bright and hollow sky

You know it looks so good tonight

(…)Singing la la la la la.. lala la la, la la la la.. lala la la etc

Me lo scordo di diventare il campione che sognavo; è un fatto universale che alla fine non siamo diventati quello che sognavamo: sarà per un’altra vita. Alla fine mica ci si fa più caso a queste cose, diventano come gli amori di liceo; si diventa pratici. Per un po’ son corso dietro a chi desideravo essere; a un certo punto mi è sembrato di raggiungerlo quel fantasma, mi si è sdoppiato tra le mani e ne è comparso un altro – erano Tolstoj a cavallo e Hagi Statti in pigiama da raccoglitore di spugne - ora che ho capito quale dei due seguire hanno allungato il passo entrambi e si sono volatilizzati definitivamente.

Diventerò come questo vecchio qui che arranca curvo e ostinato? Oppure sarò uno di quelli che perdono i filamenti di bava davanti alle ragazzine che escono da scuola; o quest’altro invece che piscia contro un albero mentre tracanna e poi inveisce contro tutti quelli che passano. Anche loro un tempo mica si saranno visti così, avranno sognato qualcosa di diverso: vincere il Rolland Garros, avere un paio di fiche che ti lavano l’auto con le tette, incendiare la chitarra di Jimmy Hendrix, fumare la pipa come Jean Paul Sartre…non so.

Appena fuori dall’area riservata a corridori e stronzi di cane incoccio subito un automobilista ansioso di passarmi sopra. Anche qui nient’altro che corridori, cani che s’azzannano e stronzi.

-Ma io devo lavorare!

C’è pieno il mondo di gente disposta a farti fuori in nome della fretta, del lavoro, del tempo che manca, dei bambini, della suocera da andare a prendere, della palestra, dello shopping, della cocaina da comprare; dei cavolacci loro. Tutti che si sentono unici e importanti, e più siamo inzeppati in ‘sto cesso e più abbiamo bisogno di sentirci unici e importanti: esclusivi. Ce lo ripetono in continuazione: questa banca, questo cioccolatino li abbiamo pensati per te; questa carta da cesso è studiata apposta per le forme del tuo culo. Questi qui sono gli stessi che d’estate te li ritrovi su un motoscafo che passa sopra la tua testa:

-Ho lavorato tutto l’anno no? E adesso mi devo divertire no? Eccheccazzo!

Sono coerenti dopotutto.

A casa mi capita tra le mani un ritaglio di giornale di alcuni anni fa: un vecchio psichiatra che ha passato una vita insieme ai ‘toca’ de Dio’ a un certo punto sbrocca, accoltella al cuore un collega, scappa da Milano e fa perdere le sue tracce. Lo ritrovano in spiaggia, a Camogli, due giorni dopo. I carabinieri in borghese gli lasciano fare il bagno, aspettano che esca dall’acqua e si asciughi all’ultimo sole estivo. Poi lo chiamano per nome, come se lo conoscessero bene – “Arturo!” – e lui tranquillamente raccoglie le sue cose e li segue. C’è un’annotazione scritta a penna sul ritaglio: “Se fosse andato al mare prima, Arturo non avrebbe sentito il bisogno di accoltellare nessuno.” La grafia è la mia: tocca seguire quel consiglio. Bisogna ascoltare i segnali che la nostra irrequietezza ci manda.

L’Alfa viene lanciata sui tornanti della Serravalle come l’osso di 2001 di Kubrick che diventa astronave. Il mare dall’alto disegna nastri lucenti, piste lisce in mezzo alle increspature, ogni pista è una promessa di catture. Quante promesse ci fa il mare. Che gran cacciapalle! Una volta ci perdevo la testa a cercare di decifrare i suoi segnali, adesso lo prendo come una specie di giochetto infantile – se esce testa, se esce croce – tanto so che i pesci alla fine fanno quello che vogliono, e quelli che prendi sono solo gli scemi che vogliono farsi prendere. Cioè se un pesce veramente decide di non farsi prendere…beh amico, forse ha qualche milione di anni di evoluzione dalla sua.

Parcheggio l’Alfa, scarichiamo le nostre attrezzature strafiche. Sta cosa dell’istinto primordiale non è che ci credo più tanto. Voglio dire il nostro omettino irsuto mica si sbagasciava lo stipendio in fucili in carbonio e mute lisce.

− Hai visto il mio portapesci?

− No.

− Checcazzo!

Silenzio…Sferragliamento della cassetta degli attrezzi buttata per aria.

−Dai, te ne faccio uno.

− Voglio il mio! Quello di Marco Bardi!

− Scusa stiamo andando a pesca o a un ricevimento? La prossima volta avvertimi che prendo un frac a nolo.

− Pensa a tutti quelli che non hanno la fortuna di avere la mogliettina che li segue in mare, in inverno col gelo, e che d’estate vogliono la spiaggia con l’ombrellone…pensa!

− Sto pensando alle loro mogliettine.

− Aiutami no, invece di dire pirlate!

Ogni secondo perso è uno strattone al guinzaglio che mi stringe il collo. Sto come il mio cane il giorno della caccia. Sentivo la sua impazienza scalpitare e sbavare sul sedile, non appena si abbandonava la strada asfaltata per prendere il sentiero; e più ci avvicinava al posto più sbavava e scapitava; una volta arrivati dovevo essere più che svelto ad aprire il portello e a spostarmi se non volevo essere travolto.

− Pensa: avere un cane che pesca con te e ti fa la ferma sui pesci, che figata!

Alessandra emerge dal bagagliaio guardandomi compassionevole:

− Sto insieme a un picchiatello!

Il luogo dove pesco posso descriverlo anche a occhi chiusi. Sì può uscire verso la Spezia o verso Genova, sono due pesche completamente diverse. Di qui bassofondo con pietraia; di là pareti a sprofondo e fondegoni. Di solito Ivan (il gancio sul posto, che è anche l’unico che riesce a sopportare i nostri bidoni e i nostri ritardi epocali) va di là; io sto un po’ di qua un po’ di là e Ale si tiene la piazza nei paraggi. Per la verità ero tentato si seguire Ivan dal suo lato; è da un po’ che me la remena di andare a beccare una cernia che lo prende per i fondelli. Un po’ mi dispiace, mi ha aspettato fino adesso, ma io proprio non c’ho voglia di puntare al jackpot, che tanto non arriva mai, oggi mi piace pescare facile. Quindi scelgo il lato bassofondo con pietraia. Ivan ha già provato tutto nella pesca, gli manca solo il tonno, anzi si sta attrezzando giusto per quello; io sono molto più alla buona. Mancandomi quasi tutto m’accontento di poco e sparerei a quasi tutto.

Sputazzo, controllo dov’è il sole, dove andrà a morire – davanti a quello scoglio isolato, anche prima – quanto tempo ho per cucirmi il cappotto addosso, cose così. L’aria nel boccaglio ha già il raspego invernale ed è molto cambiata dall’ultima volta che son stato qui. Mica son abituato a tutta sta luce; mi fa male la testa. Mi son venuti gli occhi da talpa a furia di star chiuso in ufficio. Qui appena caccio la testa fuori dall’acqua luce da tutte le parti, dal cielo – la luce bassa già invernale che ti ferisce gli occhi - dal mare tirato a specchio dalla tramontana, dai sassi spellati. La prima discesa è dietro una catasta di massi; ci sono due scalini dove appostarsi; uno un paio di metri sotto la superficie; l’altro un altro paio di metri più giù. Al primo livello si fa la posta ai pesci che razzolano nella baietta a destra, subito dietro le rocce. Se invece decido di fare l’aspetto al piano di sotto devo anticipare la discesa di qualche metro, dato che ho meno copertura, e guardare i massi che fanno tana sul fondo alla mia sinistra. Mi fermo al piano alto: chissà mai che sbuchi qualche cefalo scodinzolante…macché.

L’insenatura a sinistra è semi-chiusa da un roccione isolato che risale fin quasi alla superficie. Provare l’agguato aggirando il roccione è una perdita di tempo: se c’era un pesce lì dentro è molto difficile che non se la sia già svignata. Una volta a dire il vero m’è capitato - e figurarsi se non c’è l’eccezione - ma era con mare mosso e non si vedeva a due metri. Me lo ricordo come andò a finire. La spigola rimase un attimo indecisa. E’ impressionante la capacità che hanno questi pesci di rimanere immobili nel mezzo del turbine di una mareggiata, mentre tutto viene spazzato via: frammenti di alghe, meduse morte, altri pesci, io. Un’ondata mi sradicò dal fondo e gli volai mollemente di fianco con tutto il mio inutile armamentario subacqueo mentre mi fissava imperturbabile: chissà che c@**o avrà pensato, ma va’ sto pirla. Fu un attimo e poi schizzò via. Dentro l’insenatura c’è una tana di corvine, ma si sono talmente abituate all’uomo ormai da mettere fuori il naso dai loro rifugi soltanto di notte. Giusto la sera verso il tramonto può capitare di vedere una di queste troiette furtive cominciare a prepararsi ad uscire per la serata.

Sono i pesci presi, e quelli persi, a tenerci compagnia durante le nostre uscite. Idealmente sono tutti lì che ondeggiano attaccati al nostro culo o che scappano ancora davanti ai nostri occhi. Se non ci fossero, il mare ci ridurrebbe presto le palle a due olive in salamoia. Ogni roccia ricorda un pesce che hai preso, o che non hai preso, o che hai preso ma l’hai strappato. Ogni pietra una posta. Perciò chi ha iniziato da poco è anche a rischio di appendere il fucile al chiodo; mica ce l’ha nella testa questa cartina sottomarina, con le croci segnate, questo camposanto al contrario che mette di buon umore, questo shining, questa luccicanza che si accende come un faro all’avvicinarsi di una possibile cattura, che è anche un dejà vù. Per lui il mare è ancora e solo una pagina bianca, che promette meraviglie, sì, ma che alla lunga può essere molto noiosa, se queste promesse non vengono mantenute; se il mare non si decide a fargli qualche regalo per legarlo a sé.

Ricordo le prime uscite: un aspetto a ogni pietra. Mica duravo molto. Gli entusiasmi alla lunga generano solo stanchezza, e la passione è una lama da estrarre al momento giusto, se non si vuol rovinarle il filo. Salto un paio di rocce per non spomparmi subito e mi ritrovo su un sabbione che termina verso il largo con una macchia di posidonia. Oltre il sabbione ricomincia la franata. Sto appoggiato in un avvallamento del fondo pensando a queste cose, mentre con i polpastrelli che escono dai guanti bucati carezzo i ciuffi d’alga rossa ruvidi come le setole di una spazzola. Penso anche a come uscire di lì senza farmi sentire dal sarago che potrebbe essere appena dietro. Penso che probabilmente non c’è nessun sarago o che potrebbe esserci sì, ma non esattamente dove penso che sia. Passa un treno sulla massicciata sopra la mia testa. Sotto rimbomba tutto, mica il rumore di un fuoribordo; un terremoto in confronto. Ma i pesci ci devono essere abituati, ce l’hanno da più di cent’anni la ferrovia. Scivolo fuori sotto copertura sonora e…eccolo lì il mio sarago. C’è eccome, rimpiattato contro la roccia, annichilito dalla catastrofe di modernità che incombe su di lui: treno, pinne in carbonio, fucile spianato, occhi dilatati dietro il facciale di silicone.

Pesce, sei troppo attaccato alle rocce. Oggi mi sento magnanimo:

− Vai! Ti perdono!

Ma appena fa per svignarsela e si alza sopra le rocce…sbamm!...spiedinato.

−Vai a fidarti degli uomini! Sembra dirmi boccheggiando con l’occhio pendulo mentre lo aggancio al porta pesci.

Allargo e punto su uno scoglio isolato dove si forma sempre un po’ di risacca anche quando è calmo, cerco di tenermi nel cono d’ombra attaccato allo scoglio e in mezzo alla schiuma come un tappo, cerco di vedere se c’è qualche specchiata quando la schiuma si dirada, scendo attaccandomi allo scoglio, come un ragno, percorro un tratto all’ombra di una tettoria di roccia, risalgo dall’altra parte: quanti virtuosismi inutili, mi sembra di recitare in un video di pesca che tanto non vedrà nessuno.

Prima arrivano i dubbi, – forse avrei fatto meglio a seguire Ivan dall’altra parte, chissà cosa starà combinando Alessandra nella sua baietta, se avessi fatto questo, se non avessi fatto quello – poi pian piano ci si sente pervadere dal senso di inutilità di ogni nostra azione: aspetto,agguato,tana, ancora aspetto, aspetto aspetto… Si ha un bel insegnare a non cedere mai; lasciarsi andare è più piacevole quando sai che tanto il risultato non cambia. In mare è un po’ come a scuola, non si può essere sempre concentrati sul pesce. Dopo un’ora o due che stai in ammollo la mente comincia a viaggiare per conto suo. La mia da un po’ sta seguendo la storia del topo stressato e del facocero.

Una marcetta reale da presa per il culo accompagna i tempi morti della mia pescata psichedelica. Anche il sole comincia ad averne le scatole piene, si vede che ha voglia di chiudere baracca e burattini. Ogni volta che caccio la testa fuori dall’acqua non lo becco mai. Era qui, adesso è là, sparisce dietro un banco di nubi: è bello schizzato. Adesso capisco perché Ivan mi ha aspettato tutto sto tempo per uscire, anche se con uno scarso come me c’è solo da smenarci: la solitudine te la tiri dietro obbligatoriamente come un pallone segnasub.

Devo togliermi il cappotto di dosso. Arrivo al punto, una franatina di rocce che formano una V in mezzo alla sabbia, al riparo dalle reti. E’ il mio orticello striminzito, ma qualcosa me lo riserva sempre, se la giornata non è proprio uno schifo. Sono nella stanza 237: qui lo shining è più forte, le visioni dei pesci uccisi aumentano. L’ultimo è questo branzinetto qui

 

http://img16.imageshack.us/img16/9750/braxo.jpg

 

Preso il giorno prima con un tiro alla cieca mentre pensava già di essere col culo a paratia. Ma tanto Alessandra ha pensato bene di fregarmi prendendo lo stesso giorno quello più grossetto senza neanche fare lo sforzo di farsi un chilometro a nuoto. E nemmeno 50 metri a dirla tutta. La sua è la tecnica della rana pescatrice: piazzarsi dietro uno scoglio e non muoversi di lì finché qualcosa passa di lì.

Apro la porta della stanza 237 e stavolta trovo ‘sti due dorini che stanno trombando. Sono presi, altroché. Sono come quelle coppie che devono assolutamente farlo in ogni posto che capita: in macchina, su quello scoglio lì; su quell’altro, sull’ascensore, dentro quella baietta; nei cessi della discoteca, fuori dalla baietta; in aereo, sulla barriera frangiflutti; sulla panchina ai giardinetti, lì in mezzo, sopra il mio fucile, sotto le mie pinne…questi che trombano, trombano…e io sempre dietro a arrancare come il vecchio guardone dei giardinetti. Si fermeranno prima o poi no? Macché! Spariscono sotto una roccia…andati! Ricompaiono…E giù a trombare.

Se avessero continuato a quel ritmo mica li avrei mai beccati. Fatto sta che uno dei due a un certo punto si blocca di fronte a quella cosa nera che li sta seguendo da un po’; si rende conto: ha capito finalmente. SBAMM! Insomma è morto nell’unico momento di consapevolezza. Pure per tante persone è così: farò questo, farò quello, quando andrò in pensione andrò a pesca tutti i giorni…il mio sogno finalmente…referto degli esami, sigla, fine dei programmi!

Alessandra: − No! Li hai ammazzati mentre…SI AMAVANO!

−Solo la femmina, il maschio se l’è filata, ha sacrificato l’onore per la vita.

−Maschi stronzi! Sempre noi donne a sacrificarci. Almeno c’è la bottarga?

−Altroché, è gonfia come una camera d’aria.

−Gnaff, spaghetti!

Chi non ha fiducia nel proprio fucile è della propria mano che in realtà dubita. Non andando a pesca tutti i giorni so di avere un rapporto schizofrenico col mio legno. A volte è, come si dice, l’appendice del mio braccio; altre volte mi sembra di tenere in mano un galuscio griffato. Oggi però è la chitarra di Jimi Hendrix che sto bruciando. Sto all’aspetto, c’è qualcosa che non quadra, mi metto in ginocchio, faccio per metter fuori la testa – sono in un metro e mezzo d’acqua – cambio idea, mi volto, un serra mi passa dietro la schiena, ruoto il fucile con le due braccia, con la sinistra tiro il fusto, con la destra spingo l’impugnatura; il serra fila via, non ho tempo di stendere il braccio e puntare, tengo il braccio sinistro sotto la testata, in modo da evitare che il contraccolpo la faccia alzare, reclino la testa un poco la testa prendendo la mira in qualche modo, e con la mano destra sparo, come se avessi un mitra. Preso.

Alessandra intanto un chilometro indietro mi risponde con una lampuga più o meno della stessa taglia. Si è incasinata le cose con la fortuna, ma al secondo tiro l’ha presa: si sa che la fortuna ama i casini, ci vive nei casini.

 

http://img684.imageshack.us/img684/2693/serrak.jpg

 

Il giorno dopo esco dal lato di Ivan, quello più fondo. Il fatto d’aver pescato anche il giorno prima dovrebbe aiutarmi un po’. Ma devo fare la mia solita prova per capire se il mare mi accoglierà o se invece s’è già rotto di avermi tra le scatole. Scendo abbastanza da sentire la pressione darmi il caratteristico senso di soffocamento al torace e alla gola, quindi mi aggrappo a una roccia a strapiombo che conosco, e resto fermo a aspettare che passi, o come dico io, che arrivi il click dentro di me. A volte il click arriva subito, altre volte ci mette un po’, altre volte ancora non c’è verso. E’ come camminare in un fiume con l’acqua alla cintola, pare che l’acqua ti porti via; poi però metti i piedi in un certo modo e ti stabilizzi; o come il fasciame di una barca quando lo metti in acqua, si allarga e non fa più acqua; cose così.

Insomma son qui alle prese con l’oracolo e i suoi scherzi da vecchio bastardo: se vai di qui ti capiterà questo e combinerai quello! E allora cosa fai? Te la svigni dall’altra parte, chiaro no? Così finisce proprio che vai in bocca alla sfiga e ti capita questo e combini quello che volevi evitare. Nel dubbio sto qui fermo come un pipistrello appeso a una roccia. Il senso di soffocamento è diminuito, ma il click mica l’ho sentito. Sto oracolo è il solito paraculo.

Intanto Ivan, senza tante menate, ha arpionato una torpedine. Senza toccarla la fa passare dall’asta al porta pesci legato alla boa. Quindi estrae lo stiletto e l’uccide tracciando una specie di croce tra la bocca e il naso. Cerco di memorizzare come ha fatto. Sembra facile: zac, due colpi e via. Sicuro che se ci provo io mi arrostisco le palle. E’ la giornata dei pesci strani. Io becco un balestra, manco me la ricordo più quella cattura, se non per il rumore che ha fatto l’asta del fucile quando si è piantata nel pesce: poc! Un colpo d’accetta nel legno. Mica buono come dicono il balestra: sembra pesce surgelato. La torpedine invece m’è piaciuta, un po’ molle ma buona. La cernia non s’è vista. E figurarsi. Alessandra ha ramazzato triglie e scorfani per la zuppa, altroché balestra.

 

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Oggi c’è anche Sofia in acqua, la donna di Ivan. Gli si è incastrata l’asta con la doppia aletta in una tana, si è storta o s’è ingarbugliato il filo, non so. Cioè quelle cose come la maschera che fa acqua, la muta che s’arrotola sulla schiena, ecc, che capitano sempre quando inizi, ma anche dopo, e che tutti chissà perché vogliamo rimuovere immediatamente. Anche se ci sono successe il giorno prima; perché ci sentiamo nella fase Dapiran, con l’olio di vasellina spalmato dietro il cappuccio della muta per non farsi percepire dall’astuto pinnuto.

Esco dal mare col passo malfermo, carico di piombi e di freddo. Siamo veramente alla fine, della giornata e della bella stagione. Adesso i nastri sul mare sono disegnati in modo ancora più netto. Tendo il braccio verso uno di questi nastri che si perde nello sfavillio del tramonto; ho il sole come una palla rossa in equilibrio tra le dita e mi sembra di rivedere quel sogno lontano, di toccarlo per un attimo, mentre sento l’ometto irsuto dentro di me pronunciare quelle parole antiche: sole al sole, pietra alla pietra, sangue al sangue. Ricordo il nostro cane rosso rientrare dalla caccia con le gambe tremanti che non lo reggevano, si rincantucciava in un angolo come una grossa ciambella.

C’è mica tanto da cazzeggiare, appena va giù il sole certi spifferi. Roba da prendersi un accidente. Niente da fare, non riusciamo a schiodarci: uno con la sigaretta, l’altro con la birretta, l’altra che attacca bottone con i due siciliani che avevamo visto l’altra volta. Ben: salta fuori che uno dei due è Carango l’amico di Astapersa e di Sarino. Com’è piccolo il mondo…cioè è piccolo il web. Stanno a Milano anche loro per lavoro e vengono qui a cercar di trovare una fetta di Sicilia. A giudicare dalla montagna di roba che si sono portati dietro la loro nostalgia dev’essere proprio grande; uno dei due sta innescando i palamiti con i calamari, l’altro arriva con un fuoribordo a spalla.

− E la barca?

−Prendiamo quella della Lilly!

Ah, è tutto un programma. La Lilly è un’anziana di qui, secca e con una lunga treccia bianca. Quest’estate si piazzava sul molo a pescare pescetti, quando qualcuno si avvicinava nascondeva tutto e diceva di non aver preso niente. Capirai: doveva proteggere i suoi hot spot segretissimi. Bisogna che avverta i due siciliani: è un anno che la Lilly rompe le scatole a tutti per farsi accompagnare a cercar funghi nel bosco. Figurarsi, su queste forre che strapiombano in mare rischierebbe di rompersi il collo anche uno di 20 anni. Ma lei non molla mica, per forza è vecchia. Al massimo sono i giovani che mollano, mica i vecchi. Già me li vedo i due siciliani, costretti a rampagare con la Lilly sotto il braccio. Mica mi sento ancora così in confidenza da raccontargli la rava e la fava. Così lascio che le cose vadano per conto loro, al solito. Poi mi diranno com’è andata.

Alè, si va. Week end finito, si torna al lavoro, il cane ha fatto il suo giretto ai giardinetti, ha mollato la sua pisciatina, ma adesso è ora di tornare. Il padrone, cioè il lavoro, dà un tirone al guinzaglio per ricordare chi comanda. La tiriamo in lungo finché si riesce con i saluti, ma si deve proprio andare, arrivederci al prossimo giretto, alla prossima pisciatina.

− Sai qual è il tuo problema? Che non sei mai contento!

− Mmm.

Siamo a letto, talmente stanchi che non riusciamo a dormire.

− Mi sembra di vedere banchi di pesce che nuotano sul soffitto.

− Dove?

− Quei due cefali..

− che?

− Beati loro. Qui invece non si batte chiodo.

− E piantiamocela allora l’asta su sti pesci!

AAAAAAAAAHHHHRRGGGHHH!!!!

Modificato da zefiro
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:clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping: :clapping:

VOGLIO PESCARE CON TEEEEEEEEEEEEEEEEEE! io non prenderò una cippa ma almeno vivrò un pò della tua poesia!

grande! certo che al lavoro non fai proprio una mazza eh? :D :D :D

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Ciao bello ricambio i saluti portati da Paolo "Carango" sono contento di rileggerti, ricordo i tuoi chilometri per mettere la testa sotto l'acqua, e mi sento un uomo fortunato ad avere il mare (anche pescoso) a portata di gambe.

 

I veri appassionati siete voi che dovete fare molti sacrifici per appagare il vostro desiderio di pesca in apnea.

 

Ricordo con affetto lo sguardo stupito di Alessandra "Alina" quando gli raccontavo che smettendo di lavorare (una parola grossa :lol: ) uscivo dagli spogliatoi con la muta addosso e andavo a pescare facendo a giorni alterni i calasole.

 

Se non avessi tanti problemi (purtroppo) sarebbe un privilegio avervi miei ospiti, e dedicarvi tutto il mio tempo disponibile.

 

 

 

Ma il tempo è galantuomo mai dire mai.

 

 

 

Un abbraccio di cuore Sarino

Modificato da Rosario Ivaldi
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ZEFIRO...sei grande! post bellissimo, come ti capisco....noi Milanesi MARITTIMI

Mi hai dato un'altra gioia: QUESTA CANZONE:

L'ho sentita poche volte, mi carica da pazzi, ora grazie a te sò chi la canta.

 

CIAO

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Il più bel post che ho letto da quando sono iscritto, mi sono immedesimato nella storia, l'ho letto tutto di fila talmente era coinvolgente..mi sono proprio pisciato addosso dalle risate sulla prima parte !!! :clapping: come ha detto già qualcuno scrivi un bel libro , vai tranquillo che lo comprano!!!!

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FINALMENTE LO ZEFIRO DEI PRIMI TEMPI! :clapping::clapping:

 

Non l'ho manco iniziato a leggere lo farò questa sera con calma, tanto già so che quando Simone scrive è il migliore!!!

Zefiro (Figlio di P....oseidone) un nome una garanzia!!!

:clapping::clapping::clapping:

 

P.S.: ma che fate quast'anno a Natale una capatina in terronia???

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