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Tommaso Marti: Mi presento


Mi chiamo Tommaso Marti (gli amici mi conoscono anche come Gionni) e sono nato il 24/10/1963 a Sannicola (LE), vicino Gallipoli. Sono quindi un salentino d.o.c.

Ho la fortuna di avere un padre che è stato uno dei pionieri nel settore della subacquea, quindi sin da tenera età sono venuto a contatto con il modo sommerso.

I più lontani ricordi mi portano a quando, con una maschera gran facciale, pinne con 30cm di pala e armato di arco ricavato da un vecchio ombrello, insidiavo sogliole e piccole mormore tra le gambe dei bagnanti in non più di un metro d’acqua. Ricordo che mia madre doveva sudare per farmi venire fuori e di solito ci riusciva solo quando divenivo cianotico per il freddo, tanto da battere i denti per circa un’ora dopo l’uscita.

Avevo l’età di 8 anni quando, sotto stretto controllo di mio padre, effettuai la prima immersione con l’ARA, e da allora cominciai ad accompagnarlo, come barcaiolo, nelle sue battute di pesca (all’epoca si poteva pescare con l’ARA).

Negli anni a venire, imparai le tecniche di immersione con l’autorespiratore e praticai per un primo periodo la pesca con l’ausilio di tale attrezzatura,(lo ammetto con rammarico) sino a quando non è andata fuori legge.

A quel punto, pur essendo alquanto giovane, avevo alle spalle una certa esperienza in merito al mondo sommerso, ma legata per lo più all’immersione con l’ARA: le quote che praticavo andavano dai 25m sino al mio massimo che è stato di 52m e negli ultimi anni utilizzavo un bibombola da trenta litri. Come qualcuno più addentrato nel settore può immaginare, le mie immersioni erano sempre oltre la curva di sicurezza e quindi dovevo programmare ogni immersione con tempi di permanenza sul fondo e conseguente calcolo della decompressione…

Comunque, nasceva in me un certo rifiuto a praticare la caccia subacquea con l’ausilio di tali mezzi: mi ero preso ormai delle soddisfazioni in merito alle catture, ma forse proprio questo fatto aveva contribuito a farmi prendere coscenza della poco sportività insita in questo tipo di pesca.

A quei tempi uscivo in mare con degli amici che praticavano la pescasub con le bombole, benchè ormai fuori legge, ma presi presto le distanze da ciò.

L’apnea la praticavo come disciplina, ma limitata alla raccolta di ricci, di qualche labride e di polpi, anche perché ero convinto che per poter effettuare carnieri degni di nota bisognava scendere dai 20m in giù (deformazione dovuta ai mie trascorsi di bombolaro). Comunque, l’apnea in sé mi appassionava e mi portò a preferire le uscite con sola maschera e pinne e partenza da terra agli inviti dei vecchi amici, che tra l’ altro mi canzonavano dicendo che ormai ero…un pescatore fallito.

Premetto che per quanto riguardava le varie tecniche di pesca in apnea non ne sapevo niente, anche perché all’epoca non esistevano cassette o riviste specialzzate come oggi. Per esempio, il termine aspetto non era ancora associabile immediatamente alla caccia subacquea, o per lo meno era conosciuto da una stretta cerchia di appassionati, ma quando ero intento alla raccolta dei ricci o quando esploravo qualche tana alla ricerca di polpi o di qualche pinnuto notavo che alle volte appena rivolgevo lo sguardo intorno a me vi erano spesso dei grossi saraghi, di solito pizzuti, che mi giravano vicini, anche alla portata del mio fedele compagno di avventure di quel periodo il mitico medisten, cominciarono così a venire le prime catture.

Con il tempo, la dote che credo sia fondamentale per ogni buon apneista, ossia l’acquaticità, andava perfezionandosi e vennero anche le prime catture importanti in tana, perfezionando pian piano l’approccio stesso alla tana e cominciando a maturare l’esperienza che mi suggeriva quale anfratto fosse quello giusto da andare ad ispezzionare. Anche in questo caso dovetti ricredermi sulle mie convinzioni riguardo la profondità: cominciai a scovare – e con il tempo, ad insidiare – colonie di corvine corpulente in pochissimi metri d’acqua.

Poi cominciai a perfezionare l’aspetto in basso fondo e cominciarono ad arrivare le catture delle prime spigole, orate, saraghi ecc…, tutto non oltre i 12m: anche i miei vecchi amici si dovettero ricredere davanti ai carnieri che man mano riuscivo a realizzare.

Chiaramente, oltre al perfezionamento delle varie tecniche di pesca seguiva di pari passo anche il perfezionamento dell’attrezzatura, così passavo dal medisten allo sten al quale allargai fori di uscita, eliminai variatori di potenza, sino ad arrivare ad usare gli arbalete: prima un apache 100, poi sostituito con un master 96 della omer di prima generazione, che è tuttora il mio fido compagno di caccia.

Per quanto riguarda le mute, sono passato dai primi modelli senza cerniera bifoderati di varie marche a quelle monofoderate, per poi approdare ai modelli in liscio e spaccato su misura che adopero e così via per tutto il resto del corredo.

Nel 1994, spinto dall’insistenza di alcuni compagni di pesca, partecipo per la prima volta alle selettive.

Il mondo dell’agonismo mi era del tutto sconosciuto, anche perché ritenevo di non essere all’altezza di una competizione. La prima gara, svoltasi in località T.re Lapillo (LE) luogo in cui non mi ero mai immerso, pescando a razzolo, riusci a consegnare un carniere con 7 prede valide che mi consenti, con molta meraviglia e anche un pizzico di orgoglio, di piazzarmi al secondo posto. Questo mi incentivò a partecipare alle 3 gare successive totalizzando rispettivamente un 3°, 6°, 8° posto, alla fine per soli 2 miseri punti nella graduatoria generale non rientrai nei promossi in 2° categoria.

Da allora non ho più avuto modo di partecipare alle selettive per motivi di lavoro, ma è stata una bella esperienza anche perché ho fatto la conoscenza di altri appasionati dai quali ho potuto apprendere esperienze diverse dalle mie. In particolar modo ebbi l’occasione di cimentarmi con la pesca a quote impegnative in compagnia di alcuni amici con più esperienza di me e pian piano sono riuscito ad essere operativo intorno ai 25m di fondo.

Ho comunque disputato un campionato di 2° ma come barcaiolo nella ultima edizione svoltasi alle I.le Pontine, dove in preparazione ho raggiunto il massimo delle mie performance scendendo a 30-32m.

Oggi dopo circa 20 anni di esperienza di apnea alle spalle, mi reputo un pescasub in grado di affrontare le varie situazioni che si presentano, anche se fra le tecniche prediligo l’aspetto in quanto l’approccio alla preda con questa tecnica ti porta ad inserirti nell’habitat marino senza recare disturbo per poter osservare e studiare il comportamento delle singole specie, dando così la possibilità di vedere cose che non tutti hanno la fortuna di conoscere.

Questo, per uno come me che non sarebbe in grado di vivere lontano dal’elemento liquido, rappresenta la massima espressione di rispetto e sportività verso un così grande distributore di emozioni vere, il MARE.

Forse sono stato lungo in questa mia presentazione, ma ho volutamente tracciato le fasi salienti della mia esperienza perché credo possa dare motivo di riflessione in quanto, quando di base esiste l’amore per il mare, anche partendo da posizioni per certi versi sbagliate, la naturale evoluzione di ogni aspirante ad appartenere a questa minuta ma fortunata categoria di pescasub, al di là di grandi pescate, sia la consapevolezza di essere in totale sintonia con il mondo sommerso che riesce sempre a ripagare questa simbiosi con emozionanti avventure senza fiato.

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