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Quando apnea e pinnato si incontrano: Valter Mazzei

| 14 Maggio 2008 | 0 Comments

Valter Mazzei, nato a Limbiate (MI) il 7 Settembre 1964, è tecnico del Nord Padania Sub Varedo e membro dello staff della Nazionale Italiana di nuoto pinnato. Allena il pluricampione e recordman mondiale Stefano Figini e altri forti atleti della squadra azzurra. Da qualche anno si è avvicinato anche al mondo apneistico riversandovi tutte le proprie conoscenze sull’uso di quel magnifico strumento che è la monopinna, diventando un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono migliorare la propria tecnica seguiti da un allenatore di fama mondiale.
L’abbiamo intervistato in occasione del Campionato Italiano di Apnea Dinamica con Attrezzatura organizzato dalla sua società, per cercare di capire come si raggiungono certi risultati e per sentire le sue impressioni su due discipline, pinnato e apnea, che sempre più si stanno avvicinando.

Stefano Figini in azione – Foto: A. Balbi

Partiamo da una domanda scontata: come si fa ad essere l’allenatore mondiale che ha vinto di più nel nuoto pinnato? Quali sono i tuoi segreti?
Di segreti non ce ne sono molti, se non avere la fortuna di trovare l’atleta giusto ed avere poi tanta passione, costanza e perseveranza con i ragazzi; non ci sono altri modi.

Ripercorriamo la carriera di Valter Mazzei atleta e poi allenatore
Ho cominciato a nuotare a 6 anni a Seveso perché a Varedo non esisteva ancora la piscina. L’istruttore era il mio attuale presidente, Peppo Longhi! Ho iniziato facendo gare di nuoto classico; quando avevo circa 13 anni nella provincia di Milano vi fu un momento di particolare fervore per il nuoto pinnato e la subacquea, con una trentina di società attive, così ci fu chiesto di partecipare a qualche competizione con le due pinne dato che allora la monopinna ancora non esisteva. Ho praticato contemporaneamente i due sport fino ai 18 anni quando le prospettive di risultati nel puro diventarono minime e decisi di dedicarmi esclusivamente al pinnato. Sono passato subito alla monopinna, strumento col quale ho avuto le prime soddisfazioni, anche se pure con le bipinne a 13 anni avevo provato a fare un record italiano nei 100 metri. Nell’1985 ho vinto i miei primi titoli assoluti e sono stato convocato in nazionale. Per cinque anni ho quindi fatto il nuotatore di ‘alto livello’, tra virgolette poiché i miei risultati non sono neanche lontanamente paragonabili con quelli di altri atleti della mia società. Dal 1990 ho cominciato a fare l’allenatore: ho smesso la carriera di atleta dopo il Mondiale di Roma perché nel frattempo il vecchio tecnico aveva deciso di lasciare e – volente o nolente – ero l’unico disponibile. Prima di quegli anni avevo però fatto un po’ di apprendistato nel nuoto tradizionale, sempre al Nord Padania. Abbiamo iniziato con una squadra prettamente di velocisti perché ai tempi il Nord Padania era composto esclusivamente di sprinter, me compreso. Pian piano abbiamo cominciato ad allevare i primi atleti e in circa cinque anni abbiamo ripreso a portare ragazzi in nazionale assoluta, Anna Di Ceglie e Davide Manca in particolare. Il resto è storia di oggi.

Rimanendo nel pinnato: quanto è importante iniziare presto?
Secondo me non è importantissimo iniziare presto, anzi, penso sia una delle cose che purtroppo in Italia non vanno bene. Si cerca fin da subito di far andare forte i ragazzini: se ci confrontiamo con le altre nazioni avremmo atleti di 1a categoria (12-13 anni) che vincerebbero i mondiali; andando in avanti però questi rapporti cambiano. Gli stessi nuotatori di alto livello che abbiamo oggi in nazionale non sono stati dei campionissimi da piccoli, fatto salvo forse il solo Fumarola. Hanno ottenuto i risultati gradatamente: Stefano Figini per esempio in 1a e 2a categoria neppure nuotava. Ha iniziato nel secondo anno di 2a cat. cioè a 15 anni.

Valter Mazzei (al centro) al campionato italiano di apnea dinamica – Foto: A. Balbi

Ci fai un’analisi della situazione del nuoto pinnato nazionale ed internazionale?
La situazione italiana a mio parere non è rosea. Nonostante i numeri dicano che abbiamo più tesserati, vedo sempre più difficoltà a reperire squadre e piscine per la nostra attività. Questo logicamente è dovuto a problematiche politiche in quanto la Federazione non ha puntato sull’acquisizione di spazi acqua, in particolare negli anni ’80 quando vi era ancora la reale possibilità di gestire piscine a livello federale. Ora purtroppo il predominio è della FIN (Federazione Italiana Nuoto) e fare nuoto pinnato è difficile. Faccio l’esempio di chi voglia praticarlo a Milano: o viene a Varedo al Nord Padania oppure deve andare a Rozzano a 60 km di distanza.
Anche in campo internazionale onestamente c’è un po’ di confusione. I paesi che hanno fatto la storia di questo sport sono un po’ in ribasso. Parlo essenzialmente della Russia: un tempo in Unione Sovietica vi erano moltissime squadre, adesso si sono molto ridotte. Ci sono in compenso diversi paesi emergenti dove il nuoto pinnato ha un peso specifico superiore, però bisognerà valutarlo nel tempo e in tutta sincerità non vedo un trend così positivo.

Cosa ne pensi dei nuovi regolamenti internazionali e della reintroduzione dello stile bipinne?
In Italia siamo stati i primi a cercare nuove vie e a proporre la reintroduzione delle bipinne. Personalmente facevo parte, già molti anni fa, dello staff tecnico che aveva promosso tale iniziativa proprio perché arrivavo dalle bipinne e come me tutti i nuotatori dell’epoca che venivano dal nuoto classico. Mi sembrava un anello di congiunzione che si era rotto e senza il quale il passaggio tra le due discipline fosse assai più difficile.
Io li vedo semplicemente come due stili separati, come nel nuoto esistono per esempio la rana e il delfino. Essendo appena ripartito, logicamente lo stile bipinne presenta un livello tecnico ancora inferiore rispetto a quello della mono, dove ci sono atleti con dieci e più anni di esperienza, ma credo che si debbano considerare due stili a tutti gli effetti di pari dignità, nonostante molti all’interno del pinnato stesso non la pensino nello stesso modo.
A livello di regolamenti internazionali mi sembra ci sia un tentativo di sviluppare la disciplina che però non è debitamente seguito dalle varie federazioni affiliate alla CMAS. Anche sulla questione delle omologazioni: non è certo una novità per molti altri sport, tra di noi però sembra che il poter usare una pinna piuttosto di un’altra possa essere un elemento determinante e discriminante’ per me la differenza la fa sempre l’atleta!

Intensa occhiata tra Figini e Mazzei ai Mondiali di Bari – Foto: T. Rizzi

In termini di risultati credi che tale politica di allargamento abbia funzionato?
Si, sicuramente molti atleti di nuoto puro anche di ottimo livello sono venuti a fare le gare con le due pinne e il bacino si è allargato. Rimane sempre la parte più difficile: bisogna saperli mantenere! Venire a fare una gara per vincere un titolo è sempre bello, altra cosa è farlo con costanza. Bisogna convincere che all’interno di un percorso formativo per chi comincia a nuotare, ad un certo punto della carriera può trovare spazio tranquillamente anche il nuoto pinnato.

Vedremo il nuoto pinnato in futuro alle olimpiadi?
Non sono per niente ottimista, credo sia un treno che abbiamo perso e che non si ripresenterà molto presto. Abbiamo avuto realmente la possibilità di partecipare nel 2004 ad Atene quando sono stati fatti tutti i passaggi affinché un nuovo sport entrasse a far parte del programma olimpico. La Grecia aveva proposto tre discipline tra cui scegliere: nuoto pinnato, karate e sci nautico. Quest’ultima fu subito scartata poiché sarebbe stato il primo sport motoristico. Grazie anche ai trascorsi della Grecia si decise in favore del pinnato. La sfortuna volle che in seguito a quanto accaduto nel 2001 e per la paura di attentati ai Giochi, l’allora presidente Samaranch optò per il non ulteriore allargamento delle Olimpiadi e quindi il pinnato restò fuori e perse questo grande palcoscenico che sarebbe stato fondamentale per farsi conoscere.

Ci fai una considerazione su Stefano Figini?
Stefano è sicuramente quello che io chiamo un fuoriclasse. L’Italia di atleti di alto livello ne ha avuti diversi, ma credo che lui sia davvero quello che, per doti innate e per caratteristiche mentali, abbia dimostrato come per primeggiare nel nuoto pinnato non serva essere dei superman. Stefano è una persona normalissima, è alto 1 metro e 70 e pesa 60 kg! Ha avuto secondo me la grande fortuna di poter seguire l’esempio degli atleti nazionali che l’hanno preceduto. Al Nord Padania abbiamo avuto campioni che magari non hanno ottenuto i suoi stessi risultati anche per problematiche di lavoro o che non sono stati appoggiati nella loro attività come avrebbero dovuto, ma che sono stati determinanti per la sua formazione, penso a Davide Manca e Anna Di Ceglie. L’hanno indirizzato, poi lui ovviamente ci ha messo il suo.

Sui blocchi di partenza prima del via – Foto: A. Balbi

Parliamo della tua commistione tra pinnato e apnea dove sei considerato il tecnico di riferimento per chi vuole dedicarsi alla monopinna. Come hai iniziato?
E’ una storia abbastanza particolare. Nel 2003 tornavamo coi ragazzi da Liberec in Repubblica Ceca dove si erano svolti gli Europei di pinnato, e sono stato invitato tramite amicizie comuni a partecipare ad uno stage di apnea a Rovigno per dare delle indicazioni sull’utilizzo della monopinna. Mi sono reso disponibile e così siamo andati allo stage senza conoscere nessuno ma abbiamo subito trovato un clima davvero familiare e divertente: siamo immediatamente entrati in sintonia e da quell’occasione è nata una bella amicizia. Fu Mike Maric ad invitarci. Una mattina mentre stavamo ancora dormendo venne a svegliarci con le pistole ad acqua, sconvolgendoci un po’. Umberto Pelizzari invece lo conosco da un bel po’ di anni perché abbiamo fatto l’università insieme, anche se ci vedevamo pochissimo, e qualche volta è venuto anche in piscina a provare la monopinna. All’epoca non era particolarmente convinto di tale strumento, anche perché usava delle mono francesi davvero indecenti. Solo al mondiale in cui Nitsch fece 86 metri la gente ha cominciato a capire che era un mezzo che poteva dare quel qualcosa in più. Ci tengo però a puntualizzare di essere un tecnico esclusivamente per quanto riguarda la tecnica di nuotata, la metodologia di allenamento per l’uso della monopinna non fa ancora parte del mio bagaglio culturale, ci sono ancora molti punti che voglio chiarire a me prima che agli altri.

Cosa ne pensi del panorama apneistico nazionale?
Mi pare abbastanza articolato e variegato. La mia sensazione è che ci siano tanti piccoli orticelli che si cercano di difendere sulla base delle esperienze e possibilità personali, situazione che è anche del pinnato e non è quindi una colpa degli apneisti. Non è una cosa semplice poiché a differenza di altri sport ci possono essere delle problematiche che devono essere necessariamente conosciute, penso per esempio all’infortunio durante l’allenamento, per il quale serve una preparazione anche da parte della persona che sta allenando. La mia percezione, rispetto alle attuali metodologie di allenamento nel mondo dell’apnea, è che si possano ottenere gli stessi risultati in sicurezza, cioè aumentando il numero di allenamenti e serie e riducendo la ricerca dei massimali, anche perché in tutti gli altri sport il massimale si ricerca ormai solo in gara. Logicamente bisognerà tarare anche le componenti mentali su tale nuova metodologia di allenamento.

Il corretto assetto delle mani nel pinnato da imitare anche nell’apnea – Foto: A. Balbi

A livello tecnico c’è stato un cambiamento nell’approccio degli atleti di livello nei confronti della monopinna: cosa ne pensi?
Io ho finalmente visto molta gente che ha capito che per usare la mono non basta mettersela ai piedi ed andare. Questa è una credenza comune anche nel nuoto pinnato: conosco molti atleti che ricercano la monopinna migliore come se fosse l’unico modo per fare il tempo, quando in realtà la monopinna serve sì a questo, ma se non c’è dietro tutta la preparazione non può certo fare i miracoli. Nell’apnea, anche se non posso dirlo con assoluta certezza non essendo propriamente del campo, ho notato che la metodologia di preparazione fisica, perlomeno in Italia, è totalmente differente da quella del pinnato. Sentendo comunque campioni dell’apnea internazionale come Nitsch, Stepanek o la Molchanova mi è parso di capire che facciano allenamenti molto intensi, anche se tendono a minimizzare per creare quell’alone di supereroe a cui non credo per niente.

A proposito di allenamenti duri: molti atleti dicono che sei cattivissimo. E’ vero?
Non è questione di essere cattivi. Sono molto esigente, questo sì! Come sanno bene i miei atleti io do il 100% in impegno e pretendo altrettanto. Parto poi dal presupposto che questo metodo stia dando i suoi frutti e sfido molte società ad allenare contemporaneamente dalle 9 alle 11 di sera in una sola corsia il campione del mondo e altri potenziali atleti di alto livello. Per fare questo bisogna aver chiaro quali sono gli obiettivi. Sono esigente coi ragazzi perché se non si allenano non si ottengono risultati.
Per quanto riguarda il discorso apneistico, dal punto di vista fisico gli allenamenti non sono molto impegnativi. Perciò per qualcuno che non è abituato, fare una seduta intensa con me può essere motivo di difficoltà e di spavento iniziale ma ancora non è scappato nessuno! Piuttosto mi piacerebbe capire, ovviamente a livello scientifico, come mai apneisti che riescono a trattenere il fiato per molti minuti, quando hanno tempi di recupero ridotti non riescono a fare lavori che per un ragazzino nel pinnato sono la norma. 10×50 in apnea con ripartenza a un minuto un pinnatista di alto livello li fa tranquillamente mentre anche ottimi apneisti hanno grosse difficoltà. Io lo associo al fatto che non avendo un gesto tecnico fluido ed efficace fanno molta più fatica e non riescono a recuperare.

Mattia Santambrogio del NPS Varedo durante lo sforzo – Foto: A. Balbi

Quanto c’è di Valter Mazzei nel convegno ‘allenare l’apnea’?
C’è sicuramente la mia presentazione! Quella l’ho preparata con grande piacere perché vedevo molti dubbi su come una persona potesse allenarsi per fare apnea o in generale una qualsiasi attività fisica. Forse perché noi siamo abituati a usare ogni minimo spazio e ritaglio di tempo (per esempio spesso facciamo ginnastica sulle tribune della piscina), sappiamo far fruttare al massimo ogni momento per quelle attività che fanno da contorno all’allenamento vero e proprio. Quanto proposto al convegno, se nell’apnea può sembrare innovazione, nel nuoto o nel pinnato è la regola. Logicamente la difficoltà è stata adattare il tutto alle esigenze dell’apneista: a livello fisiologico ci sono molte differenze e comunque prima di vedere risultati bisognerà attendere almeno cinque anni quando ci saranno atleti a tutti gli effetti anche in tale disciplina.

Pensi che si abbasserà anche l’età media nell’apnea?
Di questo non sono convinto. Lo paragono ai 20 km con la monopinna: una gara molto dura che prevede anche cinque ore in acqua a combattere con condizioni difficoltose. In queste situazioni atleti con molta esperienza fanno la differenza e riescono a portare a termine le prove meglio che colleghi ben più giovani. Serve una condizione mentale che si raggiunge solo con la maturità. Necessariamente l’apnea se vorrà svilupparsi dovrà aprire anche al settore giovanile. Uno dei grandi difetti della nostra federazione è che ogni settore lavora a compartimenti stagni mentre secondo me servirebbe una visione più globale. Servirebbe un percorso per cui chi comincia mettendo le due pinne e la mono, poi possa passare alle varie attività subacquee, apnea e non solo.

Stefano Figini concentrato in attesa del fischio dell’allenatore – Foto: A. Balbi

Cosa ne pensi di internet e di Apnea Magazine in particolare?
Sarà perché bene o male di professione faccio l’informatico, considero internet il mezzo più potente per informarsi anche se poi bisogna sapersi destreggiare. Per quanto riguarda Apnea Magazine ho cominciato a frequentarvi già nel 2003-2004 perché’ mi piace! Pur essendo un pinnatista, da piccolo pescavo col fucile, ho i brevetti di sub, insomma ho fatto un percorso che mi colloca sempre in acqua, mare o piscina che sia! Il fatto che ci fosse un magazine che univa la mia passione col mio lavoro, cioè l’informatica, mi aveva incuriosito. Poi ho visto che l’idea è stata copiata anche da altri sport a cominciare dal nuoto classico. Mi sembrava un’innovazione molto interessante. Portare avanti un progetto su internet è difficile, nell’apnea in particolare, basti vedere i forum che popolano il web e le polemiche che ne derivano. Ma all’atto pratico rimane la bontà del progetto e la grande intuizione. Mettiamoci nei panni di una persona che vuole avvicinarsi al nuoto pinnato: io non credo che vada nella sezione provinciale della federazione a farsi dare l’elenco delle società che svolgono l’attività ecc ecc. Apnea Magazine ha fatto in tal senso davvero da precursore ed è tuttora un grosso aiuto a tutto il movimento.

Grazie a Valter per la disponibilità e in bocca al lupo a lui e a tutti i suoi atleti per altrettanti anni di successi.

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Category: Pesca in Apnea

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