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Misteriosi dedali…la pesca dell’anguilla

| 11 Gennaio 2002 | 0 Comments

Un’anguilla – Foto: E. Svensen

Diversi anni fa, quando ancora abitavo a Piombino, mi capitò per le mani una rivista nella quale il grande Claudio Ripa curava una rubrica di posta con i lettori. In una delle tante lettere che Claudio riceveva ce n’ era una di un ragazzo partenopeo che gli chiedeva lumi su strani buchi da lui incontrati in un fondale misto di sabbia e fango.

Claudio Ripa, dall’alto della sua grande esperienza, non ebbe dubbi e rispose al suo giovane interlocutore che i buchi sul fondo erano il chiaro segnale che un’anguilla vi aveva trovato rifugio scavandosi una momentanea dimora.

Allora ero piuttosto giovane, 14 anni, e come spesso accade il destino gioca strani scherzi: di lì a poco la mia famiglia si trasferì sul Garda e, come un fatale segno premonitore, la risposta di Ripa mi anticipò che nel futuro avrei avuto spesso a che fare con le anguille ed i loro strani buchi nel fango.

Approfondiremo presto le caratteristiche di questo affascinante pesce, la cui vita rappresenta ancora uno dei grandi misteri della natura: per il momento, però, vediamo di sviscerare l’argomento “buchi”.

L’anguilla è uno dei pesci dotati di grande raggio d’azione per antonomasia, nel senso che oltre ad avere un processo migratorio per la riproduzione assolutamente unico, la sua frequenza nei luoghi abituali è subordinata alle stagioni, alle temperature ed alla presenza di cibo.

Con il passare degli anni, i sub lacustri hanno imparato a conoscere le abitudini dell’anguilla, stabilendo nell’arco dell’anno precisi appuntamenti stagionali nei quali è più probabile l’incontro con il serpentiforme. Sicuramente, uno degli appuntamenti fissi è quello che in ambiente lacustre è meglio conosciuto sotto il nome di “Buchi d’anguilla”.

Eccezioni a parte, nel Garda esistono precisi luoghi dove le anguille amano colonizzare vaste porzioni di fango, scavando nel fango del fondale intricati cunicoli in cui il branco trova riparo.

Fermo restando che isolati gruppetti di buchi si possono trovare in molte parti del lago, si rileva come vere e proprie concentrazioni di gallerie d’anguilla hanno sede in precise zone, che ciclicamente vengono rivisitate dai serpentoni.

I pescasub più smaliziati ed esperti conoscono molto bene l’ubicazione di tali siti, ed è innegabile che questa conoscenza frutta spesso ricchi carnieri di anguille.

Generalmente, l’incontro con i buchi avviene all’inizio dell’estate e soprattutto da metà luglio ad ottobre.

J.Piccard, figlio del grande Auguste conquistatore della fossa delle Marianne, effettuò nel Garda una serie di immersioni nel 1981 con il suo sommergibile “Forel”. Ebbene, tra le tante osservazioni che Piccard rilevò sul fondo del Benaco vi erano una vasta serie di quelli che Jacques definì “forami”. Altri non erano che vasti tratti di fondale fangoso in cui le anguille avevano costruito la loro temporanea dimora. Ciò che stupì maggiormente era la profondità alla quale il ricercatore svizzero rintracciò tali siti,che vennero rilevati anche a 60 metri di profondità, con presenze via via più scarse fino a 100.

Un sub con un grosso esemplare di anguilla da 2,5 Kg

Tutto questo può dare un’idea dell’incredibile quantità di anguille che il Garda può ospitare.

Vorrei farvi un altro esempio: La Manfredi, nel suo libro “Vita dei pesci”, parla di uno stagno della Francia meridionale in cui si catturano annualmente da 500.000 a 600.000 capi; si calcola che almeno altrettanti sfuggano alla cattura e raggiungano il mare.

Detto questo, possiamo tranquillamente passare all’azione classica di cattura.

Il primo problema con il quale il sub si trova a fare i conti è la profondità; spesso, infatti, i buchi si trovano a non meno di 15 metri di profondità, anzi, diciamo che mediamente le migliori concentrazioni si trovano intorno ai 20 metri.

Capirete che a queste profondità le condizioni psicologiche sono estremamente pressanti.

Il fondo sembra non arrivare mai, la torbidità superficiale è spesso quantomeno scoraggiante, man mano che si scende l’oscurità somiglia sempre più alla notte ed il fondo ti appare spettrale di colpo, mentre un sussulto ti percorre il corpo.

Non sempre si trovano i buchi nei primi tuffi, perciò è bene pedagnare il posto giusto non appena trovata una zona interessante.

La nostra attrezzatura sarà composta da una muta che prevede una giacca da 5 millimetri e pantaloni da 3, naturalmente calzari e guanti ed all’occorrenza sottomuta e bermuda.

La nostra arma ottimale sarà un corto oleopneumatico da 40 o 50 centimetri armato di fiocina a 5 punte e sarà indispensabile una torcia. “Perché?” direte voi. Semplice, siamo già nel buio del lago, le anguille sostano all’interno dei fori e l’unico modo per scorgerle è quello di riuscire ad illuminare l’entrata dell’antro.

Maschera e pinne avranno rispettivamente le seguenti qualità:volume interno ridotto e grande spinta, soprattutto nello stacco dal fondo.

Un’attenzione particolare va riposta nella zavorra, ed i motivi sono molteplici.

Innanzi tutto è risaputo della minore densità dell’acqua lacustre che si traduce in una zavorra di peso contenuto. Diciamo che alla profondità appena descritta e con la muta sopraccitata si usano al massimo 2 o 3 chili. Addirittura qualcuno,come ad esempio il più volte campione italiano in acque interne Lorenzi, mette in cintura soltanto un chilo. Una zavorra superiore ostacolerebbe pericolosamente la risalita e renderebbe estremamente goffi i nostri movimenti sul fondo.

Vi garantisco che in simili occasioni non abbiamo certo bisogno di peggiorare la già precaria visibilità con la sospensione sollevata dai nostri convulsi movimenti determinati da una eccessiva zavorra.

La tecnica consiste nel raggiungere il fondo con un approccio leggero e, una volta individuati i buchi, scrutare discretamente all’interno di essi.

Se l’anguilla è presente ne scorgeremo la testa o la coda. Nel primo caso il tiro va indirizzato subito dietro gli occhi, nel secondo sarà necessario cercare il buco dove sia visibile la testa. Una volta scoccato il tiro, è bene raggiungere l’anguilla con una mano all’interno del fango affinché non si sfiocini durante l’estrazione dal limo.

Nel caso non si riuscisse a scorgere il capo del serpentone, non si può escludere un tiro di coda. La tenuta del colpo potrebbe anche risultare buona, ma vi garantisco che il serpentone non si lascerà trasportare in superficie senza vendere cara la pelle.

Dimenticavo: usate i guanti. Le anguille, specie se grosse, mordono ed anche se prive di una dentatura significativa, il segno della loro arcata dentale potrebbe rimanere sulle vostre mani per giorni.

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