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Marco Bardi

| 16 Luglio 2001 | 0 Comments

Marco Bardi

Durante la terza giornata, il campione uscente Marco Bardi ha accusato un malore che lo ha costretto ad interrompere la sua prova e a recarsi immediatamente in camera iperbarica.

Abbiamo incontrato Marco pochi giorni dopo l’incidente, in occasione del Convegno sugli incidenti da immersione tenutosi presso l’ICOT di Latina il 30 Giugno scorso, durante il quale noti personaggi della comunità scientifica si sono alternati nell’illustrare ai presenti i vari problemi cui i subacquei possono andare incontro durante le immersioni in apnea o con A.R.A. Abbiamo approfittato dell’occasione per sincerarci sul suo stato di salute e scambiare qualche parola con lui.

AM: Marco, ci racconteresti cosa è accaduto?

Marco Bardi: Per prima cosa, vorrei ringraziare Corrado Natale, che da buon Istruttore di Apnea teneva sotto controllo ogni dettaglio anche se sapeva di avere a che fare con una persona esperta: forse è proprio grazie alla sua attenzione che oggi posso raccontare l’accaduto.

Mancava un’ora alla fine della gara e sapevo che con i 7 pesci validi che avevo catturato ero messo bene in classifica; a dimostrazione che qualcosa non andava, sono salito in gommone con l’idea di spostarmi su una zona vicina per provare a prendere un dentice.

Mi ricordo di aver pensato che mancava solo un’ora, che ero stanco e che insistendo sulla stessa zona a quel ritmo mi sarei ammazzato di fatica magari per prendere solo due pesci.

Così mi è venuta voglia di provare il jolly “alla Bellani” ed ho pensato di spostarmi su un punto in cui ad inizio gara stavo per sparare un bel dentice che poi era fuggito a causa della confusione di gommoni. Adesso la zona era più calma e forse anche i dentici si erano tranquillizati. Sono salito sul gommone, dicendo a Corrado che avevo intenzione di provare a prendere almeno un dentice. Corrado mi ha osservato con insistenza, e mi ha chiesto:

“Cosa hai?”

“Niente!!” – gli ho risposto.

“Ti vedo strano..sei sicuro di star bene?” ha insistito, ma io mi sentivo bene e non accusavo nessun sintomo negativo. Volevo rituffarmi in acqua per catturare almeno un dentice e cercavo il corretto allineamento delle mire a terra per ritrovare il segnale del posto buono per questi pesci. Non convinto dalle mie parole, Corrado ha fermato il gommone e mi ha tolto la maschera: osservandomi con maggiore attenzione ha notato anche che avevo un occhio leggermente socchiuso ed uno sguardo diverso dal solito.

Poi, intuendo cosa stesse capitando, mi ha impedito di scendere nuovamente in acqua e si è diretto verso il gommone della giuria tenendomi sotto controllo. Il Giudice di gara mi ha costretto mio malgrado a salire sul loro gommone e mi ha trasportato a terra. Solo allora ho capito che si trattava di una cosa seria, ma ancora non mi rendevo conto di cosa stesse acadendo. Il medico dell’assistenza, il Dott. Salvatore Emmola che ringrazio molto per la cordialità e la professionalità, mi ha fatto una visita rapida ed ha chiesto l’immediato trasferimento all’ospedale presso la camera iperbarica. L’occhio socchiuso era l’inizio di un’ emiparesi facciale a sinistra che nel giro di pochi minuti si è manifestata con bocca storta e lo stesso occhio parzialmente chiuso e storto. A livello mentale reagivo bene e non accusavo altri sintomi. Subito dopo la camera iperbarica ho ripreso le normali funzioni, a dimostrazione che in questi casi l’ossigenoterapia è la soluzione più indicata e funzionale. Devo ringraziare più di tutti Corrado per la sua attenzione e fermezza nel vietarmi di andare di nuovo sott’acqua. Questo dovrebbe servire da monito a tutti gli atleti e far capire loro che un barcaiolo non si sceglie solo per le sue capacità di pescatore o di preparartore di una gara, ma soprattutto per le sue qualità di assistente che deve essere attento, conoscere le problematiche di questo sport e saper reagire con prontezza e fermezza proprio come ha fatto Corrado.

Corrado mi conosce bene, andiamo spesso a pescare insieme: grazie a lui potremo farlo ancora.

Marco Bardi con un grosso dentice

A.M. Come ti senti adesso? Di cosa si è trattato esattamente?

Adesso sto bene, ho ripreso le normali abitudini di vita senza preclusioni o differenze di alcun tipo rispetto a prima.

Anche se forse è prematuro dirlo, si è trattato molto probabilmente del male che affligge alcuni apneisti denominato “TARAVANA”. Questo termine, che letteralmente significa “pazzia”, indica una serie di disturbi sovrapponibili a quelli di una malattia da decompressione sofferti dai pescatori di perle delle isole Tuamotu, in Polinesia.

Questi pescatori polinesiani effettuavano quotidianamente da 40 a 60 immersioni a profondità variabili tra i 30 ed i 40 metri con tempi di immersione intorno al minuto e mezzo e recuperi tra un tuffo e l’altro di 4-6 minuti. Subito dopo l’immersione, molti di questi soggetti sviluppavano un quadro caratterizzato da paralisi, disturbi della visione, perdita dell’udito, vertigini, ed in alcuni casi morte; chi non moriva, riportava spesso danni permanenti a livello cerebrale e/o del midollo spinale. Il fenomeno è stato molto studiato in seguito, ma ancora non è stato provato in modo definitivo che il Taravana sia una vera MDD. Infatti, potrebbe anche trattarsi di disturbi legati all’ipossia: solo dimostrando la presenza di bolle in circolo in seguito ad una intensa attività di apnea profonda si potrebbero avere certezze. Per questo motivo, la ricerca medica è oggi importante come non mai.

Quali sono le cure cui ti stai sottoponendo?

La terapia primaria è stata ed è tuttora la ossigenoterapia in camera iperbarica, che ho iniziato subito dopo l’incidente presso l’ospedale civico Università degli studi di Palermo e poi continuato prima presso il centro specializzato ICOT di Latina sotto le cure del dott. Massimo Malpieri e della dott.ssa Rosaria Malpieri – sorella di Massimo – ed infine presso il centro iperbarico di Grosseto, diretto dal dott. Marco Brauzzi. A livello farmacoplogico sto assumendo delle gocce di antiaggregante specifico per ridurre le ischemie situate nella zona corticale a livello cerebrale.

I medici hanno già quantificato il tempo della terapia?

Continuerò la stessa terapia sino al 15 Luglio, concedendomi per lo stesso periodo un riposo assoluto. Nel frattempo dovrò rinunciare all’apnea nel modo più assoluto, poi potrò riprendere gradatamente l’attività, incrementando a piccole dosi la profondità e l’intensità delle immersioni.

Penso che entro la fine di Luglio potrò iniziare a sguazzare in pochi metri d’acqua cercando di catturare qualche cefalo e sarago all’aspetto. Il primo giorno di mareggiata o di scaduta, sarò pronto per uscire.

Un altro bel dentice

AM: Come ti spieghi l’accaduto?

Il mio assistente Corrado Natale mi ha fatto notare come quel giorno mi sia comportato in modo diverso dal solito. Di norma ad inizio giornata, dopo pochi tuffi, salgo in gommone per integrare liquidi e bevo molto. Questo lo faccio ogni 30 minuti al massimo. Quel giorno non l’ ho mai fatto, ed i medici mi hanno confermato che la cosa può influire negativamente sul trasporto di ossigeno da parte del sangue.

Poi, durante la gara avevo un ritmo ed una determinazione sopra la mia media. Corrado mi ha riferito che quando ho accusato il disturbo stavo facendo da due ore tuffi di circa 2 minuti e 15 con recupero in superficie di 40/50 secondi massimo, ad una profondità di circa 20 mt.

Questo sforzo si è andato a sommare ad una serie di fattori: 10 giorni di preparazione, spesso scanditi da ore ed ore passate ad esplorare i fondali con il paperino; nervosismo dovuto a cause estranee alla competizione ed infine una condizione di stress indotta dalla mia intensa attività lavorativa che mi affliggeva sin da prima di arrivare in Sicilia.

Questo insieme di situazioni ha sicuramente messo in moto più meccanismi negativi ai quali non voglio dare una valutazione scientifica – che spetta unicamente agli esperti – ma sono sicuro che siano stati più fattori a determinare l’incidente, altrimenti non mi spiego come mai non mi sia accaduto in precedenza. Altre volte ho sostenuto prestazioni fisiche simili o superiori.

Ho notato un interesse crescente verso la conoscenza di questa patologia, sia da parte di molti agonisti che hanno capito il rischio, sia da parte di semplici appassionati pescatori ed apneisti. Il mio senso di responsabilità mi obbliga a promettere ufficialmente che dedicherò il massimo impegno per portare nuove conoscenze in materia e per cercare di evitare altri spiacevoli casi.

Mi metto nei panni dei numerosi agonisti in attività e dei tanti appassionati che si faranno domande e che desiderano risposte. Come dice il proverbio: il ferro va battuto quando è caldo ed io cercherò di batterlo in tempo e non farlo freddare.

Intanto sto facendo una serie di analisi ed esami specifici per valutare se vi sono altre responsabilità non direttamente collegate all’apnea e andando per esclusione, entro la fine del mese di Luglio, sarà possibile avere certezze e non semplici ipotesi.

In merito vorrei ringraziare molto il dott. Massimo Malpieri, specialista in materia e l’unica persona che ho conosciuto che si sia impegnata seriamente verso la ricerca nei confronti di questa patologia. Con lui sono sempre in contatto, abbiamo alcune idee in comune e spero che avremo la possibilità di attuarle a breve termine.

Anche lui ha un serio interesse come medico ad approfondire le ricerche.


Il prof. Massimo Malpieri

L’OPINIONE DELL’ESPERTO

Il Dott. Massimo Malpieri, da molto tempo impegnato nella ricerca in questo delicato settore della medicina, ha seguito vari casi di disturbi legati all’apnea estrema. Ultimamente, ha avuto modo di effettuare test medici e ricerche su Alberto March ed ora su Marco Bardi e può considerarsi uno dei massimi esperti del settore. In occasione del Convegno di Latina, gli abbiamo rivolto alcune domande per cercare di capire in cosa consista questa patologia.

A.M. Marco Bardi è rimasto vittima di un incidente: di cosa si tratta esattamente?

L’incidente di Bardi è legato a quella che normalmente viene definita come “Sindrome del Taravana”, anche se i pareri sono discordanti riguardo la possibile esistenza di questa sindrome.

Questa consisterebbe in un accumulo di azoto nei tessuti dell’apneista dovuto ad una intensa attività apneistica a profondità oscillanti tra i 25 ed i 35 mt. con scarse soste in superficie, più corte rispetto al tempo di apnea.

Per favorire il manifestarsi del disturbo è necessario prolungare l’attività per più giorni o basta una sola seduta di apnea con tuffi profondi e tempi di recupero limitati?

Diciamo che lo sviluppo di questa patologia sarebbe legata sostanzialmente all’attività della singola giornata, perché nell’intervallo tra una giornata di gara e l’altra i tempi di recupero consentirebbero all’organismo di smaltire il presunto accumulo di azoto nei tessuti . L’uso del condizionale è d’obbligo, in quanto nulla è stato ancora dimostrato in modo certo. Con il Team Omer ci siamo proposti di indagare a fondo su questo fenomeno attraverso esami mirati su soggetti che si sottopongono ad intensa attività di pesca.

Quanto conta la predisposizione del soggetto rispetto a questo male?

Direi che la predisposizione fisica conta poco, quello che rileva, semmai, è la tecnica di pesca utilizzata dal soggetto: abbiamo rilevato che il paperino o lo scooter subacqueo favoriscono l’insorgere dei disturbi nei soggetti che li praticano, ma non sembra esserci una diretta relazione tra queste tecniche ed il Taravana. Ad esempio, il noto campione Alberto March, che è venuto a fare dei controlli medici da noi, ha abbandonato lo scooter da diversi anni e non utilizza la tecnica del paperino: nel suo caso, con tutta probabilità, è l’attività di estremo profondismo che lo porta ad avere questo tipo di incidenti.

Possiamo affermare che il denominatore comune di questi incidenti sia in ogni caso cosatituito da lunghi tempi di permanenza sul fondo associati a scarsi recuperi in superficie?

Direi di sì, fermo restando che quella dell’accumulo di azoto resta solo un ipotesi. E’ stato ipotizzato che l’intensa attività muscolare provochi la formazione di micronuclei gassosi sui quali si andrebbero ad aggregare dei composti piastrinici e che poi questi corpi vadano ad ostruire delle zone vasali con successivo danno ischemico a livello tessutale.


Ringraziamo Marco Bardi per la sua estrema disponibilità e gli facciamo i nostri migliori auguri per un pronto recupero. Ringraziamo altresì il Dott. Massimo Malpieri per il suo impegno in questo delicato settore della medicina subacquea.

Come responsabile di Apnea Magazine, voglio assumere un impegno concreto e dare un piccolo contributo alla ricerca scientifica in questo settore. Inutile sottolineare quanto sia importante capire a fondo questo fenomeno che ha già colpito moltissimi subacquei – soprattutto in Spagna – e che non appare più un disturbo riservato ai supercampioni capaci di immergersi a 30 e passa metri. Stiamo parlando di apnee a ritmo serrato su batimetriche accessibili a molti subacquei, pertanto siamo convinti che le informazioni sul Taravana e sugli sviluppi della ricerca possano e debbano interessare tutti gli appassionati di apnea e pesca subacquea.

E’ per questo che Apnea Magazine si dichiara disponibile alla realizzazione di una sezione dedicata al problema, una sorta di Osservatorio che potrebbe :

DIFFONDERE tutte le informazioni su questo disturbo;

RACCOGLIERE tutte le segnalazioni dei visitatori;

RISPONDERE alle domande dei lettori agendo da raccordo tra il pubblico di internet ed i ricercatori impegnati nello studio del fenomeno.

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Category: Articoli, Interviste, Pesca in Apnea

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