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L’aspetto al dentice

| 6 Maggio 2002 | 0 Comments
Un sub ha appena arpionato un grosso dentice

Nel mese di Maggio finalmente, dopo un lungo inverno trascorso pescando spigole in poche spanne d’acqua, per gli amanti dell’aspetto classico le condizioni tornano propizie poiché, con l’aumentare della temperatura dell’acqua, si verifica il ritorno in costa della preda regina di questa specialità, ovvero il dentice.

Personalmente, non posso resistere al richiamo di questa ambita e difficile preda, che ogni volta sa regalare emozioni nuove, e proprio nel mese di Maggio si hanno le maggiori possibilità per portare a tiro gli esemplari più “facili”. Mi spiego: è proprio ad inizio stagione che i dentici, appena giunti in costa, sono meno sospettosi e guardinghi, meno disturbati dal traffico nautico, ancora scarso, e soprattutto meno impauriti proprio dall’uomo immerso. Infatti, con l’avanzare della stagione noteremo un progressivo aumento del nervosismo di questo sparide, in relazione al sempre più frequente incontro con il cacciatore subacqueo che tenta, con maggiore o minore successo, di insidiarlo.

Ovviamente, ciò vale soprattutto per le zone che sono solito frequentare, molto battute e limitate: durante l’estate, per fare un esempio, ogni secca dell’Argentario su cui il dentice è solito cacciare sarà visitata dall’uomo immerso praticamente tutti i giorni, facendo sì che il branco stanziale diventi sempre più sospettoso. A questo punto, gli unici momenti in cui sarà possibile insidiarlo con qualche chance di successo saranno l’alba ed il tramonto, durante i quali potremo approfittare della frenesia alimentare del predone per portarlo a tiro.

Al contrario, ad inizio stagione è possibile non solo catturare dentici in qualunque orario, ma addirittura è possibile effettuare più tiri nello stesso branco piuttosto spesso. Proprio sulle secche dell’Argentario, in cui i dentici sono notoriamente difficili e diffidenti, mi è spesso capitato di effettuare anche tre o quattro catture all’interno dello stesso branco, ma unicamente in questo periodo magico.

In tale periodo, inoltre, si presentano condizioni particolarmente vantaggiose anche sotto un altro profilo molto importante, ovvero la profondità di esercizio: come è noto, il periodo a cavallo tra primavera ed estate (spesso, dalle mie parti, tutta l’estate) è caratterizzato da una mancanza di omogeneità di temperatura nell’acqua, cioè dalla presenza delle cosiddette lame di acqua fredda, il termoclino, a profondità variabili ma comunque generalmente comprese fra i 10 ed i 20 metri.

Questa situazione, se da un lato contribuisce ad aumentare il nervosismo del dentice, che notoriamente non ama l’acqua fredda, dall’altro agevolerà moltissimo la nostra azione di pesca, consentendoci di effettuare i nostri aspetti a quote molto più accessibili della norma.

Tutto questo è sicuramente vero, a patto, però, che siamo comunque in possesso della corretta tecnica di pesca di questo stupendo predone, poiché se è vero che troveremo condizioni più favorevoli, è altrettanto vero che il dentice rimane pur sempre una preda molto selettiva e impegnativa, specialmente per quanti si cimentano per la prima volta in questa tecnica.

E’ bene puntualizzare come l’acquaticità e la tecnica di immersione rivestano fondamentale importanza per l’aspetto in generale, e a maggior ragione per l’aspetto al dentice, pertanto un buon aspetto inizia senza dubbio con una capovolta perfetta. Cominceremo la pinneggiata di discesa solo dopo che le nostre pinne avranno superato il pelo dell’acqua, per evitare spruzzi e gorgoglii che potrebbero innervosire le potenziali prede presenti nei paraggi. Raccomando di sfilare sempre di bocca lo snorkel, non solo per velocizzare la fuoriuscita dell’aria in esso contenuta, ma principalmente per motivi di sicurezza: all’atto della riemersione lo sforzo per svuotarlo dall’acqua soffiandovi potrebbe essere pericoloso, specialmente dopo un tuffo “tirato”.

Foto: Charlie Patriarca

La pinneggiata sarà ampia e fluida, al fine di ottimizzare il consumo di ossigeno, e sarà interrotta poco oltre la quota in cui saremo divenuti negativi per effetto della compressione di muta e gabbia toracica. Da qui proseguiremo in caduta, avvitandoci al fine di perlustrare una più ampia porzione di fondale ed eventualmente avvistare le potenziali prede. E’ molto importante saper calibrare correttamente la nostra zavorra, che dovrà essere ridottissima al fine di consentirci una discesa molto lenta. Un avvicinamento alla postazione troppo veloce avrebbe il duplice effetto negativo di spaventare i dentici e di non suscitare la loro curiosità. Mantenendo, al contrario, una velocità di discesa ridotta, appariremo alle nostre prede come un incauto invasore del loro territorio di caccia più che una reale minaccia, inducendole ad avvicinarsi per verificare più da vicino di che cosa si tratti. Durante la discesa il fucile, che sarà un arbalete o un oleopneumatico di lunghezza compresa tra 90 e 110 cm. in relazione alla visibilità in acqua, verrà impugnato capovolto, con il braccio disteso lungo il corpo, al fine di occultarne quanto più possibile la sagoma alla vista dei dentici. Il momento della presa di contatto con il fondo, al pari della discesa, riveste un’importanza cruciale, pertanto giunti a pochi metri dalla postazione prescelta rallenteremo ulteriormente la caduta assumendo una posizione che ricorda quella dei paracadutisti in caduta libera, ed utilizzeremo le pinne come dei timoni al fine di raggiungere l’appostamento.

Quindi ci appoggeremo aiutandoci con la mano libera, curando di evitare l’urto con gli scogli di cintura e torcia, che potrebbero produrre rumori indesiderati ed in grado di innervosire le nostre prede.

L’arma dovrà essere posizionata in posizione aderente al fondale, mai a sbalzo, ed il braccio che la impugna dovrà essere leggermente inflesso, in modo da garantirci l’agevole assestamento della linea di mira in relazione alla direzione di provenienza dei dentici. E’ il caso di accennare, sebbene l’argomento richieda ben altro spazio, alla questione “mimetismo”. Sinceramente non sono un biologo e non conosco molto della fisiologia dei pesci né del loro modo di percepire la realtà che li circonda, ma al semplice livello empirico, cioè dell’esperienza pratica, ho notato un qualche giovamento nell’indossare, specialmente per la pesca del dentice, capi mimetici. Progressivamente sono arrivato a mimetizzare tutta la mia attrezzatura, dalla maschera alle pinne, non so fino a che punto per convinzione e fin dove per il semplice piacere di personalizzare la mia attrezzatura. Credo comunque che, pur non rappresentando un dettaglio dei più importanti, possa contribuire a diminuire la diffidenza dei pennuti nei confronti dell’uomo immerso, specialmente in condizioni particolari come può essere la mancanza di un nascondiglio che ci occulta perfettamente.

 

Marco Bardi con un dentice

A questo punto è necessario spendere qualche parola circa un altro dei dettagli più importanti dell’aspetto al dentice, ovvero proprio la scelta dell’appostamento. Tale scelta è variabile in relazione al tipo di fondale in cui si svolge la nostra azione di pesca, ma rispetterà comunque delle regole base. In pratica è fondamentale appostarsi in posizione pianeggiante o in leggero declivio, quindi sono sconsigliabili gli appostamenti effettuati su terrazzine a sbalzo nel blu, in quanto il dentice predilige, in fase di approccio, il contatto con il fondo (queste terrazzine risultano, al contrario, ottime poste per pelagici quali palamite e ricciole).

Pertanto di norma le zone migliori saranno le propaggini rocciose poste alla base del sommo, a profondità spesso elevate.

Ottime le zone di roccia mista ad alghe, che offrono molte opportunità di occultamento e risultano spesso frequentate dal dentice. Purtroppo ad inizio stagione, per la presenza del termoclino, non saranno molte le secche che offriranno appostamenti del genere a quote minori, ma posti del genere esistono ed è importante imparare a conoscerli per sfruttarli al meglio quando le condizioni lo permettono. In presenza di taglio freddo, saranno quindi i pianori subito sotto al cappello a costituire i terreni di caccia del dentice e sarà lì che noi dovremo cercare un appostamento sufficientemente coperto. Come accennavo, il luogo che più si addice a questa tecnica di pesca è sicuramente rappresentato dalle secche isolate. In questo tipo di fondale giocano un ruolo importante le correnti, che determinano la disposizione della mangianza e di conseguenza il movimento dei branchi di predatori. Studiare i movimenti della mangianza è la chiave per arrivare alla cattura del dentice, in quanto il comportamento dei piccoli pesci quali castagnole, menole e boghe può indicarci la presenza del predone e la sua probabile direzione di arrivo. Appare evidente che con l’esperienza e l’assidua frequentazione di questi posti impareremo a conoscerne gli appostamenti più redditizi, che saranno sempre gli stessi, in quanto il dentice è un predone piuttosto abitudinario. Ho notato molto spesso come la scelta della postazione influenzi moltissimo la possibilità di cattura : ci sono appostamenti più o meno graditi dal dentice, dai quali è possibile alternativamente solo avvistarlo oppure portarlo a tiro.

La cosa che non sono ancora riuscito a capire è il motivo di questa preferenza che il dentice attribuisce ad alcune postazioni che, nell’arco di molti anni, mi hanno regalato tantissime catture.

Tornando alla tecnica vera e propria, giunti sul fondo è necessario rimanere perfettamente immobili ed è consentito, al massimo, ruotare impercettibilmente e molto lentamente il capo a destra e a sinistra al fine di ampliare il nostro campo visivo ed essere, quindi, in grado di avvistare i predoni in avvicinamento anche se provenienti da un’angolazione maggiore.

Il fucile potrà essere mosso per aggiustare il tiro solo quando le prede sono ancora lontane ed è bene che gli occhi siano leggermente socchiusi, poiché possono tradire le nostre cattive intenzioni.

Può talvolta risultare proficuo ritrarsi progressivamente, secondo la “tecnica del polpo”, all’interno della nostra postazione, mano a mano che il branco di dentici si avvicina, al fine di indurlo a percorrere quel metro in più che può significare per noi l’opportunità di effettuare il tiro.

Maxfox, autore dell’articolo

Per quanto concerne il tiro, questo dovrà essere effettuato nel momento esatto in cui il dentice inizia la virata di allontanamento, chinando leggermente il capo per poterci vedere meglio (i pesci non sono dotati di vista frontale), poiché questo è il punto in cui la preda è più vicina a noi. Credo che capire qual è il momento giusto per effettuare il tiro rappresenti per l’aspettista quel salto di qualità che trasforma la cattura di un dentice da un evento occasionale e sporadico in un fatto piuttosto “normale”: vedrete che saranno sempre più rari i casi in cui, pur riuscendo a portare a tiro il predone, sbagliando il tiro lo padellerete o lo perderete strappandolo.

Infatti, una volta capito qual è il momento in cui premere il grilletto, mirando tra l’occhio e la bocca del dentice, vi accorgerete che riuscirete a colpirlo quasi sempre nello stesso punto, ovvero sul fianco, dietro la testa e lungo la linea laterale, un punto vitale e che garantisce un’ottima tenuta. In caso di tiri molto lunghi, noterete che il punto di impatto si sposterà progressivamente verso la coda del predone ma riuscirete comunque a metterlo a pagliolo se colpirete la sua linea laterale.

Personalmente ho catturato molti dentici sparati al limite, colpendoli addirittura nel peduncolo caudale!

Nel caso in cui le prede non giungano perfettamente a tiro, probabilmente a causa di una nostra manovra errata oppure perché non ci siamo appostati nel posto giusto, è preferibile non tirare e tentare nuovamente cambiando postazione.

Se ci accorgiamo della presenza di un branco di dentici in lontananza e riteniamo che durante la sommozzata sia improbabile il loro arrivo a tiro, è preferibile sgattaiolare via dall’appostamento, percorrendo qualche metro a contatto del fondo in direzione opposta a quella di provenienza delle prede, per poi tentare un successivo aspetto con maggiori probabilità di successo. Salvo rare eccezioni, se i dentici non vengono a tiro dopo tre o quattro tentativi, ciò significa che non è giornata o sono particolarmente nervosi per altre ragioni (rumore di imbarcazioni, presenza di reti nelle vicinanze, taglio freddo accompagnato da acqua fumosa sul fondo etc.), pertanto è inutile perdere tempo: faremo più fortuna spostandoci su un’altra secca. Un altro tipo di fondale che si addice alla pesca del dentice è il grotto, in cui oltretutto è ancora più probabile l’incontro con il predone a profondità esigue.

Un sub attende all’aspetto

Nel Lazio, ad esempio, pescando nel grotto è possibile portare a tiro dentici di mole anche in 10 metri d’acqua. In questo tipo di fondale, generalmente omogeneo, le postazioni devono di preferenza essere individuate nelle piccole chiazze di sabbia che intervallano la distesa di concrezione coralligena, in quanto dette chiazze si trovano ad una quota più bassa (in genere 1-2 metri) rispetto a quella della concrezione stessa. In tal modo avremo l’opportunità di occultarci completamente alla vista delle potenziali prede, da qualunque direzione provengano. Nei casi di alte cigliate o panettoni isolati di grotto, invece, vale quanto detto per le secche isolate: le postazioni migliori saranno da individuarsi alla base del ciglio o del panettone, caratterizzate di norma da grotto basso misto ad alga.

In presenza di termoclino, al contrario, sarà il pianoro sopra alla cigliata o al panettone ad offrirci le maggiori opportunità di cattura, a patto di riuscire a trovare appostamenti sufficienti ad occultarci completamente.

Vale la pena di spendere due righe sulla tecnica di recupero del dentice, che può raggiungere notevoli dimensioni e che offre una potente reazione alla cattura.

Innanzi tutto, occorre precisare che, stante la consistenza piuttosto tenera delle carni, è opportuno adoperare attrezzature specifiche.

Personalmente, utilizzo aste tahitiane da 6,5 mm, che uniscono buone doti di penetrazione ad una velocità notevolissima, su cui monto o una monoaletta lunga 7-8 cm o una doppia aletta, che mantengo aderenti all’asta a mezzo di un o-ring di opportuno diametro al fine di evitare il classico tintinnio prodotto dall’aletta che cade sull’asta nel momento in cui ci appostiamo ed il fucile passa da una posizione verticale a quella orizzontale. E’ importante che le estremità delle alette vengano piegate leggermente verso l’alto utilizzando un paio di comuni pinze, al fine di favorirne l’apertura una volta colpita la preda. Inoltre, è bene scegliere delle alette con un profilo “morbido”, privo cioè di bordi taglienti che potrebbero favorire la lacerazione delle tenere carni del dentice: all’occorrenza, è possibile smussarne gli spigoli troppo taglienti adoperando una comune lima.

 

Maxfox con un carniere di dentici

Un altro accorgimento utile consiste nel fissare il monofilo di nylon che collega l’asta al fucile non nel foro posto nel codolo, ma in quello più avanzato: in tal modo, nel caso riusciamo a trapassare completamente il dentice, avremo la garanzia che non potrà più andare a finire sull’asta, situazione che gli consentirebbe di fare forza sulla stessa per lacerarsi le fragili carni e liberarsi.

Una volta colpito, il predone reagirà in modo fulmineo, cercando di intanarsi nel primo anfratto che troverà o, in mancanza, infilandosi nelle alghe: è importante assecondare la prima sfuriata del dentice filando la sagola del mulinello, accessorio obbligatorio, e guadagnare la superficie mantenendo il contatto con la preda, ma senza esagerare con la trazione.

Una volta riemersi, fisseremo il fucile alla nostra boa segnasub, regolando la sagola in modo che rimanga in leggera tensione, quindi, impugnando il secondo fucile (di norma un’arma corta da tana che terremo fissata alla boa), scenderemo lungo la sagola e, individuato il dentice, lo colpiremo nuovamente.

Tenete presente, infine, che pescando all’aspetto in profondità, con buona visibilità, saremo spesso costretti a tiri molto lunghi (4-6 metri), pertanto è di fondamentale importanza essere dotati di un’arma idonea, potente ed efficiente: io sono solito montare sui lunghi arbaletes che utilizzo gomme da 16 mm di una misura inferiore (ad es. sul modello da 100 cm monto gomme del 90), abbinate ad una ogiva snodata con astine scorciate al massimo. Ultimamente ho riscontrato ottimi risultati utilizzando gomme da 18 mm, molto potenti anche nella misura standard. Caricare il fucile diventerà un po’ più faticoso ma sarà un dispendio di energie ben ripagato da catture altrimenti impossibili.

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