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Il sarago Maggiore secondo Daniele Colangeli

| 21 Ottobre 2007 | 0 Comments

L’autore dell’articolo Daniele Colangeli – foto : Balbi

Un fine dicembre di qualche anno fa mi trovavo nel negozio di un amico, preso dai soliti discorsi di pesca. Tra gli interlocutori presenti c’era un tipo altezzoso che parlava di una gara di pesca in cui erano stati catturati molti saraghi. A quei tempi non avevo un’idea compiuta delle competizioni, però l’argomento, visti i contenuti, lo trovavo decisamente interessante.
Ad un certo punto della discussione posi la domanda magica: “in che zona si è disputata la gara?” Il tizio risponde con naturalezza: “Punta del Pecoraro!”
Bene, sapevo tutto: la zona, il punto dove uscire da terra… i saraghi erano praticamente già a pagliolo, anche perché mi consideravo un ‘fenomeno della pesca’. Difatti potevo vantare al mio attivo … diversi polpi, anche di grosse dimensioni, una murena sui tre chili e un grosso cefalo, nonché tordi a volontà.
L’inverno sembra non voler finire e la mia attrezzatura, ovvero muta da surf da tre mm senza cappuccio, non mi consente di affrontare il gelo nel modo migliore.
Finalmente arriva la primavera e con essa, in regalo, una muta bifoderata da 5mm con salopette, un vero lusso!
Una volta in acqua comincio a ‘pescare’ su un fondale di cinque metri, cercando di ignorare i miei amati polpi e con l’intento di individuare qualche pesce vero! Ma di saraghi nemmeno l’ombra. Quando, dopo diverse ore e provato dalla fatica prendo la via del ritorno, vedo un sarago entrare in una fessura: senza pensare mi dirigo sulla pietra e come un falco, una volta sull’uscio, al comparire della sagoma dorata del pesce sparo con precisione, estraendo uno splendido sarago.
Da quel momento decisi che se volevo cominciare a prendere qualche bel pesce dovevo rinunciare ai polpi almeno per un po’
Dopo qualche anno passato più in acqua che fuori, le mie idee su come insidiare i saraghi con successo si cominciavano a delineare: mi appostavo sul fondo eseguendo lunghi aspetti fino al comparire di piccoli saraghi, e insistendo dove se ne concentravano di più finiva che due o tre esemplari di grosse dimensioni comparivano fiduciosi e dopo un lento avvicinamento uno di loro veniva puntualmente catturato.

Daniele con un bel sarago – foto: Balbi

La tecnica funzionava bene e oltre ai saraghi capitavano anche orate, dentici e spigole.
Mi ero specializzato per i luoghi e le batimetriche che frequentavo; tra la fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta Santa Marinella era massacrata dal boom della trainetta, i pesci correvano come missili e non indugiavano mai sull’imboccatura delle tane. L’aspetto funzionava bene!
Un bel giorno un amico mi ‘segnala’ come giovane promettente ai vertici dello storico circolo Tirreno sub Roma, organizzandomi un uscita in mare con Alessandro e Nestore.
L’alta pressione invernale favorisce una bella visibilità verso baia di ponente; ancorato il gommone Alessandro si mette la maschera e controlla la visibilità, tira su la testa ed esclama una frase il cui senso mi sarà chiaro solo più avanti: “l’acqua è un cristallo’ Saraghi in morzata!”
Una volta in acqua, il fondale prescelto mi sembra monotono e basso; non capisco perché siano decisi a continuare con tanto entusiasmo in un luogo così insignificante. Decido di seguirli per capire come pescano.
Vedo Nestore sorvolare con eleganza il fondale soffermandosi di tanto in tanto. Alessandro fa lo stesso, plana con lentezza cercando di scorgere qualcosa: si ferma e spara un sarago nascosto sotto un fungo. Tutti e due impugnano corti pneumatici armati con fiocina. Dopo un’ora di osservazione comincio a pescare, ma il nuovo fondale non mi piace, non trovo uno spazio nel grotto per fare un aspetto. Attrezzato con il mio fedele 115 ad elastici mi sento un pesce fuor d’acqua.

Un sarago arpionato in tana – foto: Balbi

Finalmente decidono di spostarsi in un posto a me molto caro, infatti, in poco tempo prendo una spigola e un cefalo. Rientrando verso Roma chiedo loro il significato della pesca in morzata; le spiegazioni sono chiare come concetto, ma appaiono difficili da applicare: si tratta di sorvolare il fondale, cercando di mantenere contemporaneamente una buona visuale e una giusta distanza per arrivare a tiro della preda.
Si instaura una bella amicizia e altre uscite in mare frutteranno per me un grande bagaglio di esperienza.
Arriva il mese di luglio e l’alta pressione è di nuovo sull’Italia, così decido di uscire da Ladispoli con Antonio, un caro amico che mi fa assistenza con la barca. L’acqua non si vede tanto è pulita, così decido: saraghi’ in morzata!
Comincio a planare alla ricerca del fondale giusto, e dopo poco eccolo!
Un sarago gigante è fermo sotto un ciglietto, il cuore mi batte in petto, la paura che scappi e tanta; rimane fermo convinto del suo mimetismo, scendo e lo colpisco con precisione, fulminandolo: non ci credo, è il mio primo sarago in morzata!
A quel punto prendo consapevolezza e decido che per fare mia la ‘nuova’ tecnica devo praticarla appena mi si presentano quel tipo di condizioni.

L’anno successivo il tempo è inclemente, ma finalmente con il mese di febbraio l’alta pressione rifà capolino. Sono in mare con Gian Paolo, abilissimo pescatore di saraghi. Purtroppo l’acqua non concede una grande visibilità così decidiamo di pescare in una zona di cinquecento metri quadrati sui sette otto metri di fondo, armati di cinquanta e torcia. I pesci sembrano scomparsi e le classiche planate di osservazione appaiono inutili. Ad un certo punto, in risalita, vedo una codina nera entrare nel panettone di roccia isolato sulla sabbia.
Scendo, guardo bene, ma niente pesci; nuova discesa e da un buco vedo una coda mostruosa!
Di nuovo giù, mi affaccio e sparo ad un sarago da un chilo e quattrocento grammi. Guardando l’antro mi chiedo come un simile saragone potesse stare in un buco così piccolo. Per scrupolo controllo di nuovo e scorgo un altro esemplare identico. Non ci credo! Con acrobazie e contorsionismi dalla stessa tana estrarrò altri tre pesci, tutti sopra il chilo e duecento.
Alla fine di quella fredda ma intensa giornata presi la piena consapevolezza riguardo le tecniche più idonee per insidiare il sarago maggiore’ il quadro era finalmente chiaro.

Revisione e impaginazione a cura della redazione

Finalmente la preda è in superficie – foto: Balbi

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