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FIPSAS e tutela della pesca in apnea: basta bufale

| 13 Dicembre 2007 | 0 Comments

Ma il protocollo per le attività subacquee riguarda anche il pescatore in apnea? Foto: A. Balbi

Solitamente Apnea Magazine si occupa unicamente di informazione, disinteressandosi di ciò che fanno e dicono i gestori e frequentatori di forum, gli imprenditori o i rappresentanti di associazioni del settore. Leggendo le numerose discussioni sull’argomento “FIPSAS e tutela della pesca in apnea” che affollano i forum nostrani negli ultimi giorni, però, ho provato un gran prurito ai polpastrelli, così ho deciso di rompere la tradizione per dedicare due parole a questi pescatori di granchi, veri professionisti della disinformazione e dei fischi per fiaschi. A ben vedere, ad una lettura dei forum il popolo degli appassionati cyberpescasub appare troppo spesso come un ammasso di oche starnazzanti. Questa impressione è sicuramente dovuta ad una piccola percentuale dei soggetti che scrivono sui forum, che a loro volta rappresentano una piccola percentuale degli appassionati, ma in pratica non c’è discussione in cui il diritto di manifestare la propria opinione non si trasformi, almeno per qualcuno, in licenza di sputare improbabili sentenze a raffica, con una serie di iniziative (sempre e solo verbali, ovviamente) bislacche, panegirici surreali, ricostruzioni dello scenario degne della saga di Matrix o Guerre Stellari e, denominatore comune di tutti i forum, teorie complottiste ed attacchi indiscriminati alla FIPSAS, conditi da falsità anche grossolane e smentite da atti e documenti di dominio pubblico.
Nei giorni passati gli attacchi alla FIPSAS si sono incentrati su due fattacci, in particolar modo: il protocollo per l’attività subacquea siglato con il Ministero dell’Ambiente da varie associazioni del settore, incluse la FIPSAS e Assosub, e la proposta di istituzione di un permesso per la pesca in apnea ricreativa inoltrato dalla FIPSAS al Ministero delle Politiche agricole.
Analizziamo i due casi e passiamo al setaccio il minestrone dei forum per separare il vero dal falso e ridimensionare la credibilità di alcuni nuovi guru, pur nella consapevolezza che nessuno sbugiardamento pubblico priverà certi personaggi della spocchia e della falsa convinzione di essere in possesso del verbo.

IL CODICE ETICO SUBACQUEO

In occasione dell’Eudi Show 2007, per la precisione il 10 marzo alle ore 11 durante la tavola rotonda Verdemare, il Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio ha presentato al pubblico questa sorta di decalogo del sub, realizzato grazie ad un “percorso di concertazione che ha visto il coinvolgimento di attivo dalla Direzione Protezione Natura del Ministero dell’Ambiente, anche da Icram, Federparchi, Adisub, Assosub, Cias, Cmas, Fipsas, Hsa Italia, Greenpeace Italia, Legambiente, Lega Navale Italiana, Mareamico, Marevivo, Verdi Ambiente e Società, WWF Italia e il Reparto Ambientale Marino delle Capitanerie di Porto”.
Questa concertazione si è realizzata all’interno del Tavolo Tecnico istituito dallo stesso Ministero dell’Ambiente con il preciso scopo di una definizione corale di “criteri, linee guida, standard di riferimento e proposte per il settore delle attività subacquee ricreative nelle aree marine protette”.

Qual è il problema con questo protocollo o decalogo che dir si voglia? I punti 3 e 4, che recitano:

3. Non uccidere, danneggiare o prelevare organismi marini
4. Non alterare il comportamento degli organismi marini (non inseguire, non toccare, non dar da mangiare agli organismi, limitare l’uso di dispositivi sonori e luminosi, etc.)

Apriti cielo e spalancati terra: la FIPSAS avrebbe firmato il protocollo, con ciò non solo ribadendo l’esclusione della pesca in apnea dalle AMP, ma addirittura appoggiando l’intenzione di eliminarla anche al di fuori delle aree protette, in quanto le modalità di recepimento delle norme del codice (ossia il modo in cui dal protocollo, privo di valenza normativa o regolamentare, le regole diventano concrete ed attuali nelle varie AMP) prevedono al punto 4 “L’adozione, su base volontaristica, anche nel resto del territorio nazionale, del codice di condotta…”.

Il pescasub non si limita ad osservare, ma effettua un prelievo, ossia pesca – Foto: A. Balbi

Mamma mia, ma è davvero così? Chiaramente no, si tratta di una bufala, di una palese manifestazione di disinformazione o… mala fede. Vediamo perché.

Leggendo le pesanti accuse rivolte alla FIPSAS, apparentemente ritenuta da molti come la vera responsabile della morte civile della pesca in apnea, mi sono chiesto come fosse possibile! Gli atti del Convegno tenuto il 31 marzo 2007 -ossia pochi giorni dopo la presentazione del protocollo- a S. Benedetto del Tronto sul tema “Parchi Marini, Pesca Sportiva e Pescaturismo: realta’ prospettive e possibili sinergie” riportano l’intervento del Presidente nazionale FIPSAS Ugo Claudio Matteoli, il quale ad un certo punto dice: “Siamo invece per delle AMP a misura d’uomo, dove ci siano delle regole, magari anche rigide, ma dove l’uomo e le sue attività continuino ad avere il loro ruolo; non un parco ‘soprammobile’, ma qualcosa da preservare ‘vivendolo’, qualcosa che preveda la presenza dei pescatori, ovviamente non nelle ‘zone A’, che non discrimini a priori certe attività, ma che, valutando caso per caso e con le opportune limitazioni, riesca a far pescare tutti i pescatori veramente ‘sportivi’, compresi quelli in apnea che non dovrebbero più essere considerati i reietti del mondo piscatorio. Non se lo meritano. Regole strette ed adeguati controlli. Questa è la medicina, non le campane di vetro”.

Inoltre, per esperienza diretta sapevo che lo stesso Presidente del Settore AS Alberto Azzali aveva sottoposto all’attenzione del Consiglio Federale un pacchetto di documenti da inviare al Ministero dell’Ambiente, con cui si proponeva una regolamentazione (ossia la riammissione) della pesca in apnea sportiva all’interno delle AMP. Il Consiglio Federale l’ha approvata, e la documentazione è stata inviata al Ministero.

Ma allora si può sapere che succede? Chi ha firmato sto benedetto protocollo? Della faccenda si è occupato un biologo grossetano del settore didattico della FIPSAS, il quale notoriamente non prova grande simpatia per la pesca subacquea, pur avendola praticata a suo modo in passato. Possibile che questo tizio abbia tradito tutta la FIPSAS, mettendo le sue componenti in contraddizione? Vi piace la teoria complottista? Bene, anzi male, perché è totalmente infondata, seppure intrigante.

Solo adesso passo alla prima cosa che si sarebbe dovuta fare, ossia all’analisi del documento, e solo per dimostrare che tutta questa storia è una buffonata dovuta all’incapacità delle persone di leggere e verificare le informazioni.

Articolo 2.2 del protocollo, intitolato “Definizione delle attività subacquee ricreative nelle AMP”.
Per “attività subacquee ricreative nelle AMP” si intende l’insieme delle attività effettuate a scopo turistico e ricreativo, finalizzate all’osservazione dell’ambiente marino sommerso delle AMP”.

Dopo aver suddiviso queste attività in base al metodo di immersione, in apnea o con bombole, il documento continua dicendo che “Entrambe le tipologie di attività, in assenza di un’adeguata gestione, implicano potenziali danni per l’ambiente marino, intenzionali o accidentali”.
Chi non va sott’acqua per osservare ma per pescare, quindi, non dovrebbe sentirsi toccato da questo documento. Qualcuno dice che il Ministro dell’Ambiente lo starebbe già usando come argomento per escludere la pesca in apnea dalle AMP in cui è ancora praticabile (leggo sul web che sarebbero tre, a me ne constano 2: Ustica e Tremiti). Se così fosse, basterebbe fargli notare che la pesca in apnea è un’attività finalizzata alla cattura del pesce e non alla sua osservazione, ma personalmente non sono in possesso di documentazione che attesti questo maldestro tentativo di piegare il protocollo a scopi che non gli sono propri.

La FIPSAS, in buona compagnia della CMAS -la confederazione internazionale che organizza i mondiali di pescasub, per capirsi- dell’Assosub e di tutti gli altri, ha solo sottoscritto questo documento in cui (vivaddio!):

1) si riconosce l’impatto ambientale dell’escursionismo subacqueo e si dettano regole per ridurlo al minimo;
2) si condanna l’illegale prelievo di organismi marini (pesca di frodo o pocketing) nelle AMP;
3) si condanna il feeding;
4) si riconosce che l’uso indiscriminato di fonti luminose arreca disturbo ai pesci;
5) si riconosce che l’escursionismo può impattare sul comportamento dei pesci.

Della pesca sportiva, invece, non dice NULLA. Quando si fa riferimento all’estensione delle regole di condotta al di fuori delle AMP “su base volontaristica”, molto probabilmente si intende dire che i sub, i Diving, le oasi del WWF eccetera possono adeguarsi alle norme del protocollo, pur non essendo tenuti a farlo. Nient’altro!

Non vado avanti, credo che ormai il messaggio sia chiaro: chi lancia certe accuse, in realtà il protocollo non lo ha manco letto integralmente, o se lo ha letto non lo ha capito.

L’esigenza di nuove norme per la pesca sportiva è condivisa dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali – Foto: A. Balbi

IL PERMESSO OBBLIGATORIO

Proseguiamo invece con l’altra patata bollente: il tesserino obbligatorio.
Qui si accusa la FIPSAS di voler lucrare sulla pescasub peggiorando la situazione, vale a dire facendo diventare a pagamento ciò che oggi è gratis. Nella migliore delle ipotesi si sostiene che in questa fase la strategia migliore sarebbe quella astensionistica del non fare nulla, ossia continuare la politica di sempre, che tanto bene non ci ha portato. Lo scenario è molto complesso, ed è oggettivamente difficile renderne l’idea in poche parole -ci vorrebbe un libro-, ma proverò a fare chiarezza iniziando con il contenuto di un documento ufficiale datato 15 novembre 2007 e firmato dal dott. Francesco Saverio Abate, attuale direttore generale della Direzione Pesca e Acquacoltura presso il Ministero delle Politiche Agricole e forestali: “E’ necessariamente indispensabile una regolamentazione della pesca sportiva, che è parte dell’ambizioso progetto di questa Amministrazione di costruire la pesca del futuro, non fatta solo di cattura e di mercato ma soprattutto di capacità di saper gestire un bene collettivo. L’impegno da assumere è quello di collaborare per il perseguimento di questo obiettivo comune per ottenere una disciplina uniforme sul territorio nazionale ed un aggiornamento delle normative che regolano la pesca sportiva in mare. Non esistono dati certi sul numero dei pescatori in mare che, al contrario dei colleghi di acqua dolce, non necessitando di alcun tipo di licenza, non risultano censiti. Dai dati forniti da autorevoli istituti di ricerca (CNR – IRPEM) che hanno considerato le valutazioni effettuate dalla Capitaneria di Porto in funzione delle imbarcazioni da disporto adibite alla pesca sportiva, si può affermare che il numero dei pescatori dediti alle varie pratiche possibili risulta di circa 1.500.000 unità, a questo dato bisogna sommare anche quello di quanti praticano la pesca da terra o in immersione”.
Vi propongo un altro interessante passaggio del documento: “Il Ministero, ritenendo utile l’approvazione di nuove norme in materia di pesca sportiva, si ripromette di sensibilizzare tutti i soggetti istituzionali preposti al fine di migliorare la normativa vigente per rendere trasparente e facilmente controllabile la legittima attività sportiva che avvicina al mare nel tempo libero, alla stregua di quanto avviene nelle acque interne. Un primo intervento può attuarsi con il miglioramento del controllo e della gestione eseguito dal Corpo delle Capitanerie di Porto. Particolare attenzione dovrebbe essere data all’accertamento della non commercializzazione del pesce pescato da parte dei pescatori non professionisti ed al rispetto da parte di questi alle leggi nazionali, europee ed internazionali poste a tutela delle specie ittiche e dell’ambiente marino”.

L’Italia è uno dei pochi paesi che ancora non prevede un sistema di permessi per la pesca sportiva in mare – Foto: G. Volpe

Non so cosa ne pensa il lettore, ma non mi pare che questo sia un buon momento per temporeggiare, perché il rischio è che mentre noi attuiamo la classica politica dello struzzo gli altri facciano le regole senza interpellarci. In ogni caso, alla luce del desolante scenario normativo che caratterizza la nostra disciplina e delle chiare intenzioni manifestate dalla Direzione generale della pesca del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali circa la necessità di censire i pescatori sportivi in mare, la FIPSAS ha pensato di impostare una strategia che possa impedire un ulteriore inasprimento delle norme che disciplinano l’esercizio della pesca in apnea e, ove possibile, assicurare poche norme inequivocabili valide, salvo poche eccezioni motivate, sull’intero territorio nazionale.
Lo scenario è il seguente: a prescindere dal Ministero, ogni volta che i rappresentanti federali vanno ad incontrare i Signori delle varie stanze dei bottoni si sentono ripetere che la pesca sportiva marittima rappresenta un problema continuamente lamentato da alcune categorie professionali, che la vendita abusiva del pescato è una regola per una parte significativa dei pescatori sportivi e che è assolutamente necessario porre un freno a questa illegalità diffusa. Nel 2004 la direzione generale della pesca delle Politiche Agricole dava per scontata l’istituzione di un tesserino con la revisione dell’attuale regolamento DPR 1639/68, che secondo il D.Lgs 153/2004 avrebbe dovuto vedere la luce entro luglio 2005. Il fatto che le elezioni ed altre circostanze abbiano di fatto impedito all’esecutivo di assolvere gli obblighi imposti dal decreto legislativo (che ha forza di legge), è evidente che prima o poi -più prima che poi, a giudicare dalle informazioni che giungono dal Ministero- queste nuove regole arriveranno, e forse, con esse, anche il permesso/patentino/licenza/chiamatelo-come-vi-pare (anche se la licenza sarebbe una cosa ben precisa, diversa da ciò che è stato proposto dalla FIPSAS).

Anche in considerazione del fatto che l’Italia è praticamente l’unico paese UE del Mediterraneo a non aver implementato un sistema di permessi per la pesca sportiva in mare e che l’UE ha più volte manifestato l’esigenza di imporre agli stati membri l’adozione di un simile sistema, la FIPSAS ha ritenuto opportuno anticipare le mosse dell’esecutivo, nella convinzione che l’istituzione di un documento obbligatorio per la pratica della pesca in apnea non sia in sé vessatorio, se concepito in un certo modo, e che anzi presenti degli indiscussi vantaggi, primo fra tutti la possibilità di un contatto preventivo tra l’aspirante pescasub e le istituzioni, durante il quale si possa ricevere un chiaro opuscolo con tutte le regole del gioco. E’ sufficiente garantire al documento: 1) un basso costo; 2) una distribuzione efficiente; 3) una effettiva utilità (una polizza RC per chi svolge un’attività che presenta ineliminabili margini di rischio e che si attua con l’uso di uno strumento dal significativo potenziale offensivo non è un’idea così peregrina, a meno che non si ritenga più giusto continuare a pescare a 500 metri dalle spiagge frequentate dai bagnanti).

Nel tempo, la situazione normativa della pesca in apnea non è migliorata – Foto: A. Balbi

Ovviamente, la strategia federale non mira unicamente ad ottenere questo tesserino, di cui, in altre circostanze, avremmo fatto tutti volentieri a meno. Il fatto è che l’illegalità diffusa lamentata dall’esecutivo e l’assoluta inadeguatezza dell’attuale assetto normativo lasciano presagire ulteriori giri di vite. Dico ulteriori perché se anche qualcuno si è distratto e non ha seguito l’evoluzione degli eventi, da quel gennaio 2004 durante il quale si tenne un tavolo di lavoro al Ministero per la revisione del regolamento e la concertazione sul tesserino (altro che lontane direttive UE, a noi la volontà di censire i pescasportivi in mare è stata comunicata già allora in modo molto esplicito) di cose in peggio ne sono cambiate parecchie:

1) con circolare del Comando Generale CCPP si è riaffermata l’obbligatorietà del barcaiolo a prescindere dal trasporto contemporaneo di bombole e fucili;
2) si è eliminata la possibilità di pescare nel Parco de La Maddalena causa “troppo pesce bucato al ristorante”;
3) si è eliminata la possibilità di pescare in apnea nei parchi delle 5 Terre e delle Ciclopi. Anche per Ustica si prevedeva la stessa cosa, ma il decreto di modifica è stato bloccato dalla Corte dei Conti per ragioni slegate dal tema di nostro interesse. Tra l’altro, l’amp delle 5 terre è stata ampliata e si vocifera di ulteriori ampliamenti in vista;
4) si sono inasprite le regole dei fermo pesca in Sicilia e Sardegna;
5) si sono irrigiditi i controlli per il rispetto delle distanze da costa nell’Adriatico, dove per molti pescapneisti l’unica possibilità di pescare durante la stagione balneare sono le scogliere frangiflutti, poste a 3-400 metri da riva. Prima la pescasub all’alba e al tramonto era tollerata, dal 2007 pare che non lo sia più;
6) si sono intensificati i controlli verso i pescatori sportivi, inclusi quelli in apnea. Controlli mirati per verificare il rispetto delle quote di pescato*;
7) è entrato in vigore il primo regolamento UE sulla pesca marittima nel Mediterraneo contenente norme dirette espressamente alla pesca sportiva, inclusa quella in apnea. Il segnale potrà apparire insignificante, ma credo sia legittimo pensarla diversamente;
8) in uno schema del D.lgs poi cambiato poco prima dell’emanazione a fine maggio, si quadruplicavano le sanzioni amministrative per le infrazioni alle regole della pesca sportiva! In pratica, allontanandosi a più di 50 metri dalla boa si sarebbe rischiata una sanzione di 4.000 euro!

Tralascio gli atti dei processi su questioni attinenti la nostra materia, che ispirano vero e proprio terrorismo psicologico, e tralascio anche altri aspetti relativi alle AMP che confermano un certo trend non propriamente positivo per la nostra disciplina.

La sostanza è che la proposta del tesserino segue a distanza di 3 anni quella di revisione dell’articolato normativo e a distanza di 1 anno quella dell'”ordinanza tipo” discussa a giugno 2007 presso il Comando Generale delle CCPP.

I nemici della pesca in apnea non stanno fra gli appassionati – Foto: G. Volpe

Questa richiesta, in altre parole, fa parte di una strategia: quella di porsi come interlocutori e mettere a disposizione della collettività il nostro patrimonio culturale per favorire una legislazione tecnicamente adeguata, che conduca a poche norme chiare ed inequivocabili in grado di valorizzare e tutelare l’onesto appassionato di pesca in apnea sotto ogni profilo, da quello della sicurezza fino a quello del sacrosanto diritto di praticare la propria disciplina preferita senza arrecare disturbo o danno agli altri cittadini e colpendo in modo inesorabile l’illegalità. Quindi nessun atteggiamento masochistico e nessuna voglia di imporre tesseramento o brevettazione a chicchessia, sono tutte panzane. Semplicemente, per essere interlocutori autorevoli ed ottenere ascolto sulle varie questioni occorre abbandonare la logica corporativa e l’approssimazione tipica dei forum per porsi su un piano superiore, in modo da poter valutare ogni aspetto alla luce delle esigenze collettive e della situazione “in fatto e diritto”. Quando si fanno proposte normative è sempre meglio appoggiarsi, per quanto possibile, agli esempi offerti dalla normativa degli altri paesi dell’UE… ed è difficile mantenere la credibilità se di ogni modello possibile si prende solo ciò che fa più comodo.

Nel porsi come interlocutore delle istituzioni e tentare di migliorare la situazione della disciplina, la FIPSAS ha adottato una linea di condotta che certamente non è l’unica possibile, ma che di sicuro non si concilia con l’idea dell’Armata Brancaleone o, peggio, con quella del covo di traditori e opportunisti. Se mai la via seguita dalla FIPSAS dovesse portare al successo, ne beneficierebbe, fra gli altri, l’intera categoria dei pescatori in apnea, tesserati e non.
Vi dirò di più: la scelta della FIPSAS è molto coraggiosa, perché comunque, a giudicare dall’andazzo dei forum, ogni fatto negativo le sarebbe attribuito in modo diretto. Se non facesse nulla e il Ministero procedesse a dettare nuove norme senza aver sentito la nostra voce, la colpa sarebbe dell’inazione della FIPSAS (sul tema delle AMP, non a caso, spesso si vede incolpare la FIPSAS di aver “permesso” la nostra esclusione dalle zone C); nel caso di un’azione decisa, ogni insuccesso sarebbe a maggior ragione colpa della FIPSAS; se il Ministero prendesse solo le proposte in cui si è ceduto qualcosina senza però offrire nulla in cambio, sarebbe ancora colpa della FIPSAS; se il 90% delle proposte FIPSAS fosse accettato, comunque si incolperebbe la FIPSAS per il 10% respinto. Se tutto andasse bene, invece, sarebbero in molti a rivendicare la paternità del successo, magari confezionando lettere al Ministero retrodatate.

Per concludere: chi vuole criticare la strategia federale ha tutto il diritto di farlo, perché come dicevo la scelta della FIPSAS non è l’unica possibile, ma solo quella che è stata ritenuta migliore dai suoi attuali tecnici e rappresentanti. Però si deve avere l’educazione di criticare senza tirare fuori falsità palesi ed accuse infamanti che chiudono ogni possibilità di dialogo, alimentando un odio disinformato di cui onestamente non abbiamo bisogno.

Quasi dimenticavo… giusto per chiarezza, visto che anche su questo punto si fa una gran confusione: la FIPSAS non ha proposto il tesseramento federale obbligatorio per chi intende praticare la pesca in apnea sportiva, sarebbe difficile anche solo pensarlo. La FIPSAS ha solo chiesto che il rilascio del permesso presupponga il possesso di una polizza RC per danni procurati a se stessi e a terzi o, in alternativa, la tessera FIPSAS che già ne contiene una, al pari di quanto accade in Francia e Spagna.

* L’aumento di controlli in mare, magari in egual misura per tutti, sarebbe un fatto estremamente positivo se le norme da applicare fossero meno confuse ed ingiuste. Allo stato attuale, ogni accertamento è un vero terno al lotto, non si sa mai cosa fare per essere irreprensibili.

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