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Europa in movimento: le novita’ per la pesca in apnea

| 4 Maggio 2008 | 0 Comments

La pesca sportiva anche in apnea è sempre più interessata dai provvedimenti dell’Unione Europea. Foto: A Balbi

Dopo essere stata sostanzialmente ignorata per lungo tempo, da alcuni anni a questa parte la pesca dilettantistica ha inziato a fare capolino in documenti ed atti normativi comunitari. Leggendo i numerosi documenti disponibili si ha l’impressione che la pesca sportiva o ricreativa sia vista non solo e non tanto come un eccellente forma di sfruttamento ecocompatibile delle risorse marine, ma come un problema: quello della pressione sulle medesime risorse già messe a dura prova dal prelievo (troppo spesso irresponsabile!) della pesca professionale e della pesca illegale, ivi inclusa la concorrenza sleale operata dai finti sportivi (rectius: professionisti abusivi) ai danni dei professionisti. Certamente esistono atti in cui la Commissione pesca afferma di essere consapevole del potenziale economico della pesca sportiva (vedi Giornale dell’UE), ma più spesso considerazioni e proposte concrete si rivolgono unicamente a limitare e regolamentare questa forma di pesca, sul pressupposto che incida in ragione del 10% sul prelievo ittico complessivo, un dato che in tutta onestà appare esagerato quanto arbitrario.

L’esigenza di regolamentare la pesca sportiva negli stati membri in aderenza ad un set di principi comunitari si è concretizzata nella proposta di regolamentazione avanzata dalla Commissione Pesca già nel 2003, che ha iniziato a tradursi in atti normativi con il regolamento CE n. 1967/2006. Tale regolamento ha individuato gli attrezzi utilizzabili per la pesca non professionale e disposto, con riferimento al fucile subacqueo, il divieto di pescare di notte e con le bombole. Ad un anno esatto di distanza ha poi visto la luce il regolamento CE N. 1559/2007, che, nell’occuparsi della pesca del tonno rosso e dell’adozione di misure idonee a preservare il già martoriato stock del Mediterraneo, ha introdotto principi e indirizzi decisamente interessanti, sempre in accoglimento della proposta avanzata dalla Commissione nel 2003.

Il regolamento in oggetto, per iniziare, definisce due diversi tipi di pesca non commerciale: quella ricreativa e quella sportiva. La pesca sportiva è definita come la pesca non commerciale praticata da soggetti appartenenti a un’organizzazione sportiva nazionale o in possesso di una licenza sportiva nazionale, mentre quella ricreativa è la pesca non commerciale praticata da soggetti sprovvisti di tale tessera o licenza sportiva.

Foto: A. Balbi

Nel disciplinare la pesca non commerciale del tonno rosso, il regolamento 1559/2007 prevede limiti di cattura per imbarcazione, divieto assoluto di commercializzazione del pescato e, una vera novità, l’obbligo per gli Stati Membri di registrare i dati di cattura della pesca ricreativa e di inviarli alla Commissione. Infine, il regolamento impone a ciascuno stato membro di adottare i provvedimenti necessari a garantire, per quanto possibile, il rilascio dei tonni catturati vivi nell’ambito della pesca sportiva, in particolare del novellame.

Che tipo di considerazioni suggerisce questo provvedimento? In primo luogo, lo schema della formulazione, che in ossequio alla distinzione tra pesca ricreativa e pesca sportiva prevede due distinti articoli per disciplinare le due forme di pesca non commerciale. Di fatto, i due articoli sono di contenuto sovrapponibile, ma se questo schema sarà rispettato nei prossimi provvedimenti, in futuro potremmo avere delle norme differenziate per queste due distinte realtà. Personalmente, ho sempre ritenuto inopportuna ogni distinguo all’interno della categoria dei pescatori dilettanti, in quanto il pescatore sportivo resta soggetto alle regole della pesca non agonistica, ossia ricreativa, tutte le volte che pesca al di fuori di una competizione, ossia nella stragrande maggioranza delle sue uscite in mare. Anche sotto il profilo etico non ritengo che si pongano particolari distinzioni, in quanto l’accusa spesso rivolta agli agonisti -persino (sic!) da alcuni colleghi amatoriali- di uccidere per gusto di competizione può essere facilmente trasformata, nel caso dell’amatoriale, nell’accusa di uccidere per diletto. Parimenti infondate e strumentali le accuse agli agonisti di doversi allenare a prendere più pesce possibile al di fuori delle competizioni, e quindi in dispregio delle normative: gli attuali regolamenti premiano la varietà dei carnieri concedendo poco tempo per l’ispezione dei campi gara e creando una situazione che richiede gambe d’acciaio e fiuto per le prede, e i dati di prelievo delle competizioni, gli unici di cui si disponga, dimostrano che anche nei campionati maggiori ormai la media di catture pro capite è abbontantemente al di sotto del limite legale, valido per tutti gli amatoriali tutti i giorni dell’anno. Il resto sono chiacchiere prive di costrutto venate di più o meno inconsapevole masochismo e incredibilmente concepite scimmiottando modi e argomenti dei detrattori della disciplina. La verità è che nel terzo millennio il prelievo implica l’uccisione di un pesce per ragioni diverse dalla necessità di approvvigionamento di cibo, e che al di fuori della legalità -limite invalicabile per tutti- resta solo un giudizio personale, che in democrazia può e deve influire unicamente sulle scelte di condotta personali, come nel caso dei vegetariani (vero Mario Tozzi?) o degli animalisti. In ogni caso, visto che negli ultimi tempi si ha l’idea che questa distinzione tra “ricreativi” e “sportivi” trovi consenso diffuso anche presso la categoria, non posso che prenderne atto. Da tenere presente, però, che la distinzione fatta dal regolamento europeo non riguarda l’attività concretamente svolta al momento, ma il possesso di una tessera o licenza federale: tutti i tesserati FIPSAS, quindi, sono sportivi, anche coloro che -come il sottoscritto- non praticano agonismo, e soprattutto lo sono in ogni circostanza, anche quando si limitano a pescare al di fuori di ogni attività federale, in qualità di semplici amatoriali.

Torniamo al regolamento, che in secondo luogo introduce un obbligo per gli stati membri di registrare le catture della pesca sportiva, anche se solo per il tonno rosso, almeno per il momento. In Spagna il Ministero competente si è già messo in moto ed ha già annunciato la prossima emanazione di un decreto reale che, secondo le dichiarazioni del segretario generale del Ministero dell’Agricoltura e della Pesca, introdurrà un registro per le imbarcazioni della pesca marittima ricreativa e prevederà l’iscrizione delle imbarcazioni come requisito per la sua pratica. Il decreto istituirà anche un sistema di controllo delle catture -non solo quella del tonno rosso, a quanto è dato capire- con l’obbligo per i pescatori sportivi (rectius: sportivi e ricreativi) di effettuare una dichiarazione mensile che renda conto anche delle “imbiancate”. A tal fine pare che verranno implementati sistemi telematici per velocizzare le operazioni richieste.

Sono tanti i segnali riguardanti la possibile introduzione di una licenza per la pesca sportiva in mare a livello europeo Foto: A. Balbi

Il segretario Martín Fragueiro ha poi precisato che il nuovo decreto promuoverà la pesca “no kill” per le specie a protezione differenziata ed in particolar modo del tonno rosso, in accordo con le indicazioni dell’ICCAT (Commissione internazionale per la difesa del tonno che, secondo il regolamento ce 1559/2007, riceverà e valuterà tutti i dati di prelievo della pesca sportiva inviati dagli stati membri alla Commissione).

Le domande sono tante: come si adeguerà lo stato italiano al nuovo regolamento? Come assicurerà la registrazione delle catture da parte degli sportivi, visto che qui in Italia, contrariamente a quanto accade in Spagna, neanche sappiamo quanti siano? L’esigenza di misurare l’effettivo impatto della pesca ricreativa sul tonno rosso è un’eccezione alla regola della pesca sportiva libera o il primo step di un processo di regolamentazione che riguarderà l’intero fenomeno?

La distinzione operata dal regolamento tra pescatori ricreativi e pescatori sportivi appare la stessa puntualizzata dal Pres. Matteoli in occasione del Workshop sulla pesca in apnea nelle AMP tenuto all’Eudi Show 2008, di cui abbiamo pubblicato un resoconto video. E in Italia già hanno fatto la comparsa ordinanze delle CCPP che recepiscono, dando loro attuazione, le disposizioni del regolamento 1559/2007, peraltro mutuandone la terminologia (ad esempio l’articolo 7 dell’ordinanza 01/2008 di Vasto, che disciplina lo sbarco di tonno rosso nell’ambito della pesca “sportiva e ricreativa”).

Riguardo l’esigenza di introdurre un sistema di licenza o permesso per la pesca sportiva in Italia, gli indizi sono tanti e concordanti. Già sul finire degli anni novanta un gruppo di lavoro costituito presso il Ministero delle Politiche Agricole aveva studiato il problema, giungendo a formulare proposte concrete per l’introduzione di una licenza per la pratica della pesca sportiva. In occasione del tavolo di lavoro per la revisione del DPR 1639/68 costituito nel 2004 presso la Direzione Pesca e Acquacoltura del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, il direttore generale dott. Tripodi aveva chiaramente indicato l’esigenza di istituire una sorta di “permesso” o “licenza” al fine di censire la popolazione dei pescasportivi. A livello europeo il progetto Nº 96/018 intitolato Sport Fisheries In Eastern Mediterranean -agli atti dell’UE e realizzato con la partecipazione dell’Istituto di Ricerche sulla Pesca Marittima (IRPEM) di Ancona- analizzando la situazione della pesca sportiva in Italia sostiene che “In Italia, tanto i pescatori professionisti quanto quelli ricreativi hanno suggerito il bisogno di controlli più efficaci come mezzo per combattere la pesca illegale e mantenere il livello di mortalità dei pesci a livelli relativamente sicuri. Da parte delle autorità amministrative, l’introduzione di un sistema di rilascio di una licenza e il riesame delle regole sulla pesca sportiva erano considerate un problema di massima priorità.
Ancora, in un documento di risposta al Libro Verde dell’UE sottoscritto da due grandi associazioni internazionali di pesca sportiva, l’European Anglers Alliance e l’European Fishing Tackle Trade Association, si legge che “L’Unione Europea dovrebbe intraprendere azioni al fine di garantire la disponibililità di dati comparabili sulla pesca sportiva da tutti gli stati membri. Ciò costituirebbe la base per un dibattito più informato e sarebbe di sicuro aiuto ai nostri politici nel momento in cui prendono decisioni difficili sulle priorità […]”.

Per rispondere alla proposta di regolamento del 2003 cui accennavo in precedenza, la European Economic and Social Committee ha affermato “La EESC concorda sul bisogno di regolamentazione della pesca non commerciale o ricreazionale, come la Commissione fa nel capitolo VI della proposta. Comunque, considera che l’uso di palamiti di fondo debba essere proibito e che a tutti gli stati membri dell’UE debba richiedersi di istituire un sistema di licenza che permetterebbe di ricostruire l’esatta magnitudine di queste attività [….]”.

Foto: A. Balbi

La stessa esigenza è confermata da uno studio sulla pesca ricreativa e sportiva commissionato dall’UE nel 2004, in cui si legge che “Sebbene la percezione delle interazioni e dei problemi tra la pesca ricreativa e commerciale possano essere messe a fuoco da entrambe i lati, da un punto di vista gestionale la loro definizione e risoluzione è problematica, in particolare a causa della mancanza di una definizione di ciò che costituisce la pesca “sportiva” o “ricreativa”. Conseguentemente non è facile, al momento, dimostrare o quantificare opportunità e potenziali benefici di qualsiasi cambiamento nella gestione di questo tipo di pesca. E’ perciò necessario chiarire questi problemi attraverso definizioni pratiche ed una quantificazione della magnitudine di queste attività, in modo da poter meglio gestire le risorse marine ed aiutare la Commissione e gli stati membri a decidere se particolari azioni debbano essere intraprese in futuro. Queste azioni potrebbero includere un cambiamento dei criteri di gestione, o ulteriori ricerche su problemi che potrebbero essere identificati come cruciali per una gestione più oculata delle attività di pesca in relazione alla conservazione degli stock ed ai benefici del loro sfruttamento”. Nello stesso studio, decisamente interessante, si legge ancora che “in Italia, il settore ricreativo è frutto dell’evoluzione di ciò che in precedenza era la pesca per il sostentamento e non c’è alcun obbligo di possedere una licenza, così la regolamentazione della pesca ricreativa è difficile e porta a conflitti tra i settori della pesca ricreativa e professionale”.

Tutto ciò considerato, appare ragionevole ritenere che la licenza di pesca sportiva (tutta) sia solo una questione di tempo, una conclusione confermata anche dai recenti fatti della Regione Autonoma della Sicilia, la cui commissione pesca ha approvato alla prima riunione il progetto di introduzione di una licenza per la pratica della pesca sportiva.

Andiamo avanti. A rigor di logica, ogni norma che introduce limiti alla libertà dei cittadini dovrebbe essere adeguatamente motivata, possibilmente con dati di fatto e senza il ricorso, almeno nel medio e lungo termine, a semplici supposizioni o stime (o al noto “principio di conservazione”).
In quest’ottica la raccolta di informazioni riguardanti l’impatto della pesca sportiva sulle risorse ittiche del Mediterraneo appare opportuna, visto che -come accennato- nel dubbio si è arrivati a quantificarlo in oltre il 10% del prelievo totale e visto che, nel dubbio, la pesca in apnea finisce sempre per essere regolamentata in modo più severo o addirittura vietata (nelle AMP). Sarà interessante seguire da vicino gli sviluppi della normativa in Spagna, e tenere presente l’esperienza di quel paese per capire come adeguare la normativa nazionale a quella comunitaria, possibilmente senza svilire l’unica forma di pesca veramente sostenibile, capace di far fruttare il mare senza distruggerlo: la pesca dilettantistica.

Credo che l’attuale scenario non ci consenta di arroccarci su posizioni eccessivamente conservative, come la difesa strenua del diritto di pescare “tout court”, senza burocrazia, senza controlli e senza regole. Guardandosi intorno, vediamo come in altri paesi si stiano prospettando nuovi modelli di regolamentazione complessivamente oppressivi, con previsione non solo e non tanto di una licenza, ma di altre prescrizioni obbligatorie, come l’iscrizione al registro delle imbarcazioni, la comunicazione mensile delle catture, promozione della pesca no kill per specie come il tonno (ma anche, a quanto è dato capire, per la cernia). Ciò che occorre fare, secondo il mio modesto parere, è cominciare a pensare ad un modello di regolamentazione della pesca sportiva che possa assecondare le varie esigenze manifestate a livello comunitario senza affossare e disincentivare la nostra attività, che è e resta una risorsa per tutti gli stati membri dell’Unione che si affacciano sul mare (come accennavo, anche a livello europeo non mancano chiare indicazioni circa il valore della pesca ricreativa, ma troppo spesso sono corredate da una serie di “ma” e “però”, principalmente a causa della difficoltà di effettuare misurazioni ed alla corrispondente necessità di affidarsi a “stime” senza alcuna base dati attendibile). In quest’ottica, l’introduzione di un semplice permesso rilasciato senza troppe formalità potrebbe permettere non solo di informare gli aspiranti pescasportivi sui principali obblighi e divieti, ma anche di sfruttare la base di dati attualmente disponibile per elaborare delle proiezioni statistiche. Chiaramente ci riferiamo a tutte le forme di pesca sportiva, anche perché la percentuale dei pescatori in apnea è talmente ridotta che non avrebbe alcun senso contare solo questi ultimi. Il problema -quando si vanno a fare proposte- è che l’attuale deregolamentazione non disturba in alcun modo coloro che praticano la pesca di superficie, sia perché la possibilità di subire un controllo è minima, sia perché la tendenza delle istituzioni è quella di dare continui giri di vite principalmente alla pesca in apnea. Negli ultimi anni le cose si stanno evolvendo, e da tempo ormai certi provvedimenti che una volta riguardavano solo ed esclusivamente la pesca in apnea stanno iniziando ad interessare anche la pesca di superficie (penso, ad esempio, ai provvedimenti di fermo biologico nelle due isole maggiori, che negli ultimi tre anni sono stati estesi alla pesca di superficie), ma così come per anni i pescatori in apnea hanno sonnecchiato ed attuato la politica dello struzzo mentre si consumava l’erosione dei loro diritti, così adesso i pescatori di superficie mantengono un livello di attenzione piuttosto basso, e non prendono troppo sul serio -credo in modo del tutto legittimo- i segnali sempre più frequenti che testimoniano come, dopo il notevole ridimensionamento degli areali fruibili dai pescatori sportivi in apnea, si sia passati alla compressione dei loro diritti.

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