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Combattere il divieto di pesca sub nelle aree marine protette

| 29 Aprile 2014 | 5 Comments

Nella prima parte dell’articolo dedicato al tema della discriminazione dei pescatori in apnea all’interno delle aree marine protette abbiamo appurato che la nostra esclusione non è imposta dalla legge quadro sulle aree protette come qualcuno vorrebbe rappresentare, ma è frutto di una scelta squisitamente politica poggiata su argomenti pseudo-scientifici aggregati in un Dossier prodotto dall’apparato burocratico del Ministero dell’Ambiente, alla cui analisi si è dedicata la seconda parte dell’articolo.

DSC_6063Lo scenario che abbiamo dipinto non è dei più rosei, ed anche la storia del passato recente non induce a particolari slanci di ottimismo, posto che ad oggi i risultati ottenuti da chi ha tentato un’azione di tutela dei nostri diritti sono poco incoraggianti. Potremmo scrivere fiumi di parole per ricordare tutte le iniziative messe in atto da vari soggetti della nostra categoria, ma ve le risparmiamo volentieri, limitandoci a citare il ricorso al TAR proposto da AAMPIA avverso il regolamento dell’AMP Secche della Meloria, che proprio un paio di settimane fa avrebbe dovuto entrare nel vivo ma che, a causa di un mozzicone di sigaretta, è stato rimandato a data da destinarsi. Non volendo urtare la sensibilità di nessuno ricordiamo che grazie all’azione di pressione di PescApnea nel 2009 si giunse all’approvazione di una modifica del disciplinare approvato dalla Regione Liguria, reintroducendo la possibilità di regolamentazione della pesca in apnea all’interno dell’area di tutela della Mortola, la cui istituzione è successivamente saltata, ma questa vicenda non ha spostato di una virgola il problema delle AMP, che sono cosa statale rimessa alla discrezionalità tecnico amministrativa degli apparati ministeriali, decisamente meno sensibili alle implicazioni elettorali del nostro malcontento.

Come combattere il divieto di pesca sub nelle AMP?

La domanda è semplice: esistono vie d’uscita? Forse sì. Il ricorso al TAR di AAMPIA potrebbe rappresentare una soluzione? Forse no. Ovviamente auguriamo  la migliore fortuna agli amici dell’AAMPIA, ai quali Apnea Magazine è sempre stata vicina con intenti e pensiero, ma non possiamo ignorare il contenuto dell’ordinanza di rigetto della richiesta di sospensiva, che conteneva una sorta di anticipazione del giudizio di merito.

Recentemente, però, una nuova vicenda sembra aprire uno spiraglio ed indicare una possibile linea d’azione. Premessa fondamentale: le Aree Marine Protette sono “cosa” del Ministero dell’Ambiente, mentre la regolamentazione della pesca professionale e sportiva “in generale” sono affari di competenza del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Pur essendo due pezzi dello stesso apparato, i due Ministeri hanno un DNA totalmente diverso: mentre per il Ministero dell’Ambiente il mare e la natura sono patrimonio da tutelare, per il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali sono risorse da sfruttare in modo sostenibile. Capite che tra un ministero abituato a regolamentare allevamenti animali e prelievo ittico ed uno abituato a proteggere ambiente, flora e fauna c’è una certa differenza di vedute spesso difficilmente conciliabile. Ragioni di coerenza fanno sì che argomenti di tipo emozionale possano sviluppare impatto significativo sul Ministero dell’Ambiente e non anche su quello delle Politiche agricole.

DSC_9665Ebbene, credo che dovremmo fare tesoro di quanto recentemente accaduto nell’AMP Regno di Nettuno, perché la vicenda dimostra che questo diverso modo di vedere le cose, o se preferite questa mancanza di pregiudizi nel Ministero delle Politiche Agricole, può essere sfruttata per contrastare certi atteggiamenti “talebani” del Ministero dell’Ambiente. In estrema sintesi, è accaduto che 15 imprese di pesca locali abbiano impugnato il regolamento dell’AMP nella parte in cui vietava la pesca con il cianciolo all’interno dell’area protetta. Si dà il caso che durante l’iter istitutivo, grazie alla loro pressione, sia la regione Campania che il Comune di Procida avessero richiesto al Ministero delle Politiche Agricole un parere sulla compatibilità di questo tipo di pesca all’interno dell’area, e che il Ministero avesse poi dato risposta affermativa, spiegando che questa tipologia di pesca non può impattare né sulle praterie di posidonia né sui cetacei marini, elementi centrali nelle finalità istitutive dell’area, e che la normativa nazionale già prevede il divieto di praticarla su fondali con profondità inferiore a 50 metri. Posto che il Ministero dell’Ambiente non ha tenuto in considerazione questo parere né lo ha superato con valutazioni ritenute congrue da parte della magistratura amministrativa, il TAR ha annullato il regolamento disponendo la regolamentazione del cianciolo all’interno dell’AMP, non senza aver prima chiarito che la definizione delle deroghe al divieto generale di cattura o uccisione prevista al comma 5 dell’art 19 L. 394/91 è soggetta al sindacato di legittimità della giurisdizione amministrativa. Come a dire: quando si decide se una certa attività possa essere ammessa in deroga al divieto generale previsto dalla legge quadro lo si deve fare nel rispetto dei principi dell’ordinamento.

Facciamo due conti

Durante l’iter istitutivo gli enti locali giocano un ruolo importante, perché discutono il canovaccio di regolamentazione proposto dal Ministero. Se in quel momento oltre a tentare l’inclusione delle proprie istanze nelle controproposte di regolamentazione degli enti locali la nostra categoria li esortasse ad inoltrare una richiesta di parere al Ministero delle Politiche Agricole, ovviamente formulata e circostanziata in modo accurato, sarebbe possibile ottenere una risposta positiva e, in tal caso, il Ministero dell’Ambiente non potrebbe liquidarla senza neanche prenderla in considerazione, perché altrimenti si realizzerebbe una situazione del tutto sovrapponibile a quella che ha condotto all’annullamento del regolamento dell’AMP Regno di Nettuno da parte del TAR della Campania.

E’ chiaro che se il Ministero delle Politiche agricole rispondesse picche, ravvisando incompatibilità tra la pesca in apnea e le finalità istitutive dell’area anche in zona C le cose si metterebbero male, ma a ben vedere non peggio di quanto stiano adesso: oggi siamo tecnicamente morti, più che proibire la pesca in apnea in ogni centimetro quadrato di AMP non possono fare. Ci sono ragioni, però, per ritenere che il Ministero delle Politiche Agricole possa offrire un giudizio più spassionato e scevro da valutazioni di tipo emozionale, che invece giocano un ruolo di primo piano nelle determinazioni del Ministero dell’Ambiente (ammettere la caccia subacquea nei parchi “fa brutto” non ci pare un argomento possibile per chi è avvezzo a regolamentare allevamenti animali, pesca professionale et similia).

Cosa dovremmo fare in pratica?

Chi oggi fronteggia l’istituzione di un’AMP sotto casa, ha la possibilità di tentare questa via in parallelo alle attività “classiche”. Per prima cosa, dovrà confezionare una richiesta di parere ben congegnata, che metta in evidenza la disparità di trattamento tra la nostra forma di pesca e tutte le altre, commerciali e non. Poi dovrà esercitare pressione affinché gli enti locali coinvolti (regione, province e comuni) facciano propria la richiesta di parere, che peraltro offre loro la possibilità di accontentare la nostra categoria senza però assumere alcun impegno, sterzando la questione sul Ministero. A quel punto, non dovremmo far altro che attendere il responso, sperando in un esito positivo. Qualora ciò si verificasse ma il Ministero dell’Ambiente tirasse dritto per la propria strada, ignorando non solo le nostre istanze eventualmente trasfuse nelle controproposte di regolamentazione, ma anche il parere del Ministero delle Politiche Agricole, potremmo ripercorrere il cammino dei professionisti del Regno di Nettuno e fare ricorso al TAR con un precedente positivo da spendere in sede di giudizio.

Questa soluzione funzionerebbe? Difficile a dirsi, bisognerebbe tentare. Pur non essendo esperti di diritto amministrativo, abbiamo l’impressione che l’operazione nel Regno di Nettuno  – sostenuta e guidata da Flai-Ggil – abbia sin qui prodotto ottimi risultati almeno dalla prospettiva dei professionisti del cianciolo e che, pertanto, non sarebbe una cattiva idea tentare di giocare la stessa carta anche con la nostra tecnica di pesca, ingiustamente bollata come incompatibile con le esigenze di tutela del mare. A nostro giudizio, infatti, la pesca in apnea è un chiaro esempio di prelievo virtuoso, non riusciamo davvero a capire come sia stato possibile trasformarla nell’unica forma di pesca da stigmatizzare ed escludere sistematicamente da ogni centimetro di area protetta mentre tutti gli altri, professionisti e sportivi, continuano ad essere ammessi.

 

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Category: Approfondimenti, Normativa

Commenti (5)

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  1. Santo Riillo ha detto:

    Acuta osservazione…. vedremo di metterci subito all’opera… e vedere se riusciamo a far smuovere la montagna…

  2. Dario ha detto:

    Faccio parte di un gruppo di pescatori subacquei napoletani che si stanno attivando proprio sulla scia creata dalla recente pronuncia del TAR riguardo l’ammissione del cianciolo nell’AMP Regno di Nettuno per far valere anche noi i nostri diritti legittimi ma violati.
    L’articolo di cui sopra riporta una tristissima verità: i pescasub non sono in grado di unirsi per dare voce alle loro richieste.
    Dobbiamo, invece, essere un fronte unico e riacquistare i nostri diritti violati prima che sia davvero troppo tardi.

  3. Biodni ha detto:

    Mi capita di passare sul vostro sito per curiosità. Sono apneista, amante della natura che osservo con passione ma non pesco anche se mi piacerebbe provare (visto che adoro il pesce).
    Vi scrivo dalla Svizzera e vedo le vostre diatribe sulla pesca nelle aree protette con una grande tristezza. Mi capita spesso di venire in Italia al mare e devo dire che trovo nella maggior parte dei casi dei fondali particolarmente poveri e malconci. Unici posti dove con piacere si possono osservare un po’ di bei pesci sono, ma non sempre, le areee protette. Aree protette che di certo sono ambienti di riproduzione che vanno anche a favore di tutte le altre zone “desertiche” che restano (oserei dire, a mo’ di provocazione, lasciate).
    Credo fermamente che, considerata la crescente pressione sulla fauna ittica in Italia, delle aree con divieto di pesca siano non solo giustificate ma fortemente auspicabili. E questo anche a favore della pesca.
    Pensate ai fondali e al mare di 50 anni fa e riflettete sull’enorme pressione dei turisti, dei pescatori, dei subacquei e della pesca professionale che è andata crescendo fino allo stato attuale: non pensate che si sia giunti ad un punto in cui mettere in discussioni certi valori oggi non più giustificati come il “diritto dei pescasub” a favore di un mare più vivo? Neanche un poco?
    Dai, il mare è fatto per viverlo ma merita anche rispetto. Rispetto per la vita che ospita e rispetto per sè stessi. Il fatto che usate termini aggressivi (talebani ambientalisti mi fa comunque sempre ridere) dimostra che il mare non basta per tutti i pescasub. Ma io credo che il mare sia prima di tutto un ambiente che merita maggior rispetto.
    Spero in futuro con mari più vivi, con più aree protette contro l’ingordigia umana e vi auguro comunque un’ottima pesca.
    Biodni

  4. Davide Serra ha detto:

    Biodni,
    non c’è una sola AMP che funzioni nel modo che tu auspichi.
    Allo stato attuale qualsiasi attività di pesca, seppur regolamentata, è permessa ad eccezione della pesca in apnea.

    Le zone A di tutela integrale sono sempre piccolissime e disposte strategicamente il più lontano possibile dagli interessi della filiera turistica e della pesca industriale locale.

    Studi scientifici hanno dimostrato come nella amp italiane non si riscontri alcun incremento significativo di biomassa tra le zone C e circostanti zone non sottoposte a vincolo; a differenza di quanto riscontrato nelle riserve della vicina Corsica.

    Il ruolo di polmone di ripopolazione è fortemente contestato, laddove è invece dimostrato che, soprattutto per grossi pesci bentonici, facciano più da attrattore (sempre le zone A s’intende) desertificando le zone limitrofe.

    In buona sostanza le AMP italiane a tutto servono tranne che a tutelare l’ambiente e la fauna marina.

  5. Antonino Izzo ha detto:

    Il comune che accetta una AMP lo fa per soldi , bene allora si deve intervenire sulla giunta comunale , anche promettendo fondi in cambio di un mancato assenso , è l’unico sistema , non apriranno mai le zone C alla pesca sub l’ignoranza anche tra i politici dilaga , poi sono i primi a mangiare il pesce delle AMP pescato illegalmente .
    La rabbia è tanta e le parole sono finite , non è valso a nulla neanche iscriversi alla FIPIA e la Federazione non ha nessuna intenzione di aiutarci , ci resta solo diventare bracconieri .

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