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Marco Bardi: condizionamenti del tiro e precisione

| 9 Novembre 2001 | 0 Comments

 

Foto: Charlie Patriarca

Pochi giorni fa sono andato a pescare con il gommone in una zona sotto costa. Il mare era leggermente mosso e la visibilità decente: c’erano insomma tutti i presupposti per una battuta in basso fondale.

Mentre inizio a vestirmi ripenso al racconto di un amico, che si lamentava di aver rotto la propria muta in liscio spaccato con estrema facilità.

Chiaramente, non appena penso che a me non è mai accaduto, ecco che, tirando un po’ troppo bruscamente, il pantalone si apre all’altezza della coscia.

Già ero nervoso per altri motivi, adesso sono nero !!

Iniziano le imprecazioni del caso, specialmente perché la muta di scorta che porto sempre in gommone non c’è: dopo mesi di sosta nel borsone, l’ho portata a casa per un lavaggio e lì è rimasta. Non ho scelta: o pesco con la muta squarciata o rinuncio.

Per fortuna l’acqua non è fredda, così mi avventuro. Appena immerso, mi rendo conto che ad ogni piccolo movimento litri di acqua entrano ed escono dallo squarcio e che questo inconveniente mi darà non pochi fastidi.

In compenso, però, le condizioni in acqua sono interessanti, anche perché la marea è nel suo momento migliore e la fase positiva durerà almeno altre due ore.

Al primo tuffo arrivano tre cefali di buona taglia.

Il mare fa ondeggiare leggermente il fedele Alluminum 90 in carbonio con il quale normalmente sono un vero “cecchino” e riesco a centrare il bersaglio anche nei tiri più difficili con un tasso di “cilecche” bassissimo.

Ecco che il cefalo giunge a tiro. Si muove lento, percepisco prima del tiro che qualcosa non va e’.. difatti sparo e sbaglio clamorosamente il pesce, che scappa in tutta fretta trascinandosi dietro anche gli altri due compagni.

“Si inizia bene”, penso tra me.

Effettuo il tuffo successivo a pochi metri di distanza dal primo, su un fondale di 4 metri. Ecco un altro cefalo, questa volta più grosso.

Scorre veloce davanti al fucile, miro e sparo, ma anche stavolta il tiro non è dei migliori e risulta basso: il cefalo è colpito in pancia e potrebbe strapparsi.

Mollo il fucile per lasciare che il pesce sia libero di dibattersi nella sagola in modo che l’arbalete, tendendo a galleggiare, ammortizzi i suoi strattoni.

La preda insagolata si perde più difficilmente, perché non ha punti d’appoggio su cui forzare e lacerarsi la ferita nel tentativo di liberarsi, cosa che invece accade quando resta sull’asta.

La scelta è azzeccata ed il pesce resta in sagola a tirare il fucile che, a guisa di un galleggiante da pesca, sale e scende sotto la sua trazione. Dopo un minuto circa il pesce ormai esausto si avvicina ai massi del fondo cercando qualche nicchia dove liberarsi dalla sagola: è questo il momento di afferrarlo, mettendolo a contrasto con la roccia. Una volta bloccata la preda a contrasto con i massi, infatti, è più facile afferrarla saldamente con le mani.

Recuperato il pesce risalgo, prendo il coltello a stiletto e metto fine alle sue sofferenze. Fisso la preda al porta pesci della cintura, un metodo che a me piace molto in quanto ritengo che possa attirare altri pesci durante la fase dell’aspetto.

Credo che uno o più pesci attaccati alla cintura, oltre a spezzare meglio l’immagine del subacqueo, servano anche a confondere le altre prede che, vedendo altri pesci vicino a quell’oggetto grande e immobile sul fondo, si sentono più tranquilli e indugiano meno nell’avvicinamento.

Sicuramente si tratta di opinioni personali e non di regole comprovate con metodo scientifico, ma alla base di questa impressione ci sono conferme accumulate in anni di prove e controprove.

Foto: Charlie Patriarca

Torniamo alla pescata. I tiri poco precisi mi preoccupano, ma in compenso sembra che ci sia un buon movimento di pesce. Dopo un altro tuffo andato a vuoto, ecco un bel sarago agitato ma a tiro: prima di sparare sento il nervosismo del tiro, una sensazione che compare solo quando non mi sento sicuro, infatti sparo effettuando un’ulteriore padella clamorosa quanto la precedente.

Per esperienza ho imparato che quando si hanno giornate negative si possono anche cambiare 100 fucili, ma la musica resterà la stessa.

Oggi mi sono immerso che già ero nervoso, poi la muta rotta e l’acqua che entra ed esce mi agitano ulteriormente.

Inoltre, il mare sul fondo mi sposta il fucile rendendo difficile il puntamento e, non ultimo, gli errori già effettuati non mi risollevano certo il morale.

Sarà una giornata nera.

Poco dopo è il turno di una spigola di 700 grammi circa: avanza nervosa e veloce, ma il tiro non è dei più difficili, eppure, senza troppa sorpresa, mi ritrovo con l’asta da una parte ed il pesce in fuga.

Non mi do per vinto e dopo pochi minuti ecco un altro cefalo: sbaglio anche quello.

Oggi c’è pesce ma non ci sono io.

La mia determinazione mi spinge a continuare e così, dopo due altre padelle, finalmente riesco a prendere un bel sarago che mi si mette di fianco davanti al fucile, offrendomi tutta la sua sagoma. Impossibile sbagliare, ma dopo averlo preso mi rendo conto di averlo colpito alto e troppo laterale: se fosse stato un cefalo avrei sbagliato anche questo!! Successivamente riesco a catturare un altro cefalo – che per fortuna mi si piazza davanti alla punta dell’asta, altrimenti non so come sarebbe andata. Insisto ancora, ma mi accorgo che il pesce inizia a diminuire in maniera evidente, inizia l’orario poco interessante che sommato agli sbagli, mi invita a desistere.

In questi momenti ripenso alle altre rare giornate in cui ho sbagliato di tutto. Per fortuna l’esperienza mi consola: so che si tratta di casualità e che quando ci sono motivi di tensione e nervosismo è più facile sbagliare il tiro. Poi la volta successiva di solito ritorno a fare tiri spettacolari che mi danno grande soddisfazione. Ho voluto raccontare di questa giornata non solo per dare qualche consiglio pratico sulla pesca in basso fondo, ma soprattutto perché ci insegna una lezione importante: la stessa persona con lo stesso fucile può risultare un vero “cecchino” un giorno ed un perfetto imbranato un’altro.

Molti pescatori subacquei che si scervellano per capire quale fucile sia più preciso dovrebbero riflettere su questo aspetto.

In certe giornate, qualunque tiro risulta “impreciso”, ma non per colpa del fucile, bensì per colpa di chi lo impugna. Se la cosa capita anche ad uno come me che si allena costantemente e che ha molta esperienza alle spalle, credo proprio che capiti un po’ a tutti.

Quel giorno, dopo ogni errore, mi veniva spontaneo controllare se l’asta era storta o se il fucile aveva problemi: niente di strano.

La conferma che tutto era perfettamente a posto l’ho avuta pochi giorni dopo, quando sono tornato in acqua con gli stessi attrezzi ma con tutt’altro stato d’animo: ho effettuato pochi tiri, ma tutti perfetti.

Riflettendo sulla mia esperienza, credo che anche il fatto di aver strappato il pantalone della muta proprio quel giorno non sia stata una mera coincidenza, ma piuttosto una conferma del fatto che la serenità gioca un ruolo essenziale nella buona riuscita di una battuta di pesca in apnea.

In anni di esperienza ho verificato che sott’acqua la mancanza di tranquillità si paga non solo con un’ apnea più corta del solito e quindi con una minore sicurezza, ma anche con una spiccata predisposizione agli errori, in primo luogo di tiro.

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