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Arbalete in legno:gli Stradivari della pesca in apnea

| 20 Febbraio 2009 | 0 Comments

Questo breve viaggio si pone l’intento di far conoscere meglio l’universo del fucile da pesca in legno: un oggetto che negli ultimi anni ha conosciuto nuovo splendore ed evoluzione tanto da sembrare, agli occhi dei più, un’innovazione a dispetto delle sue antiche e lontane origini.

Tra prodotti artigianali e creazioni fai da te, la magia del legno contagia sempre più appassionati, tutti accomunati dalla voglia di possedere, non più un semplice arbalete, ma un oggetto che valorizzi le capacità  predatorie del pescatore e che sia esattamente come lo si è sempre immaginato.

Le assi di legno pronte per essere incollate.

Cenni storici

Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito al ritorno in auge dell’arbalete in legno, complice la scelta produttiva di alcune piccole realtà  artigianali e il sempre maggiore desiderio del pescatore sportivo di cimentarsi nella creazione della propria arma da pesca, quasi fosse un moderno cacciatore preistorico.

L’arbalete, o meglio il suo antenato, nasce in Polinesia (come la pesca in apnea del resto) quale strumento alternativo alle tradizionali lance in bambù che si erano fino ad allora adoperate.

In qualunque periodo evolutivo l’uomo ha cercato di servirsi dei materiali più abbondanti, più semplici da lavorare e adatti allo scopo, che si potesse procurare. In quest’ottica è facile capire perché sia stato proprio il legno la prima scelta per le realizzazioni delle armi subacquee. Aggiungiamo poi che, nei paesi tropicali, le essenze disponibili sono particolarmente adatte a lavorare in ambienti umidi e perfino in immersione, essendo difficilmente marcescibili.

Il fucile ad elastici, così come lo conosciamo oggi, nasce come evoluzione di un archetipo polinesiano formato da un fusto ligneo, da una coppia di elastici (ovviamente impossibili da paragonare alle gomme di oggi), da un’asta lunga e leggera e un primordiale scatto sito sulla parte alta dell’impugnatura, azionabile con il pollice.

Con uno di questi cimeli, anche se in versione un po’ più recente di quella degli albori, sembra che Massimo Scarpati abbia ripreso a pescare in apnea nel suo buon ritiro sardo.

L’evoluzione dell’arbalete in legno si compie principalmente tra Australia e Giappone, senza dimenticare la nativa Tahiti. Nella terra dei canguri vedono la luce le prime soluzioni monolitiche di massa importante espressamente pensate per il blue hunting, fusti tozzi, molto poco brandeggiabili ma adatti a sopportare carichi di trazione notevoli, spesso frazionati su più elastici.

Le morse stringono quello che diventerà il fusto del nostro fucile.

Dal Sol Levante invece prende forma l’arbalete in legno come oggetto di pregio, scultura, opera d’arte realizzata interamente a mano e con una cura del particolare a dir poco eccezionale, un oggetto unico realizzato solo su commissione. Gli atleti della nazionale giapponese ne hanno fatto sempre bella mostra, ai mondiali di Ilo, in Perù, ne regalarono uno in legno pregiato, che richiese ben due anni di lavoro, al nostro grande Renzo Mazzarri.

In Italia, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, dobbiamo a Franco Petrali, atleta e successivamente produttore di attrezzature subacquee, la commercializzazione del primo fusto in legno a sezione lenticolare. Articolo che permise a tanti di costruire il proprio fucile, anche se con l’utilizzo obbligato di pezzi commerciali per l’impugnatura e la testata, e che ha spianato la strada al “fai da te” nella pescasub.

Agli inizi di questo secolo abbiamo infine assistito alla nascita della prima realtà  artigianale che si specializzerà  rapidamente nella produzione di arbalete in legno: la Totemsub di Fabrizio D’Agnano, che farà  da apri pista per le tante aziende che oggi affollano il mercato nazionale, proponendo armi di assoluta qualità  e valore estetico.

Principali differenze tra fucili in legno e fucili di serie

Le motivazioni che spingono un pescatore alla scelta di un fucile in legno, piuttosto che in alluminio o in carbonio, sono varie.

Alcuni preferiscono usare un fucile in legno esclusivamente per motivi estetici, i più esigenti hanno però saputo vedere nel legno alcune peculiarità  tecniche che possono, all’occorrenza, rivelarsi determinanti nella scelta del fucile, tra le varie alternative offerte dal mercato.

Sembrerà  superfluo o scontato ricordare che il legno ha un peso specifico che gli consente di galleggiare, oltre a godere di ottime proprietà  meccaniche, e questo permette di realizzare fusti con masse molto importanti, senza pesare negativamente sul bilanciamento.
Tale condizione sarebbe impensabile con l’impiego di altri materiali, poiché si costruirebbe un attrezzo troppo pesante, ingestibile in un ambiente impegnativo come quello acquatico.

Il concetto di massa applicato alla balistica di un fucile subacqueo è fondamentale, la sua
conseguenza naturale è che, costruendo fusti in legno con masse notevoli, si potranno armare tali macchine, semplici e micidiali, con potenze rilevanti: doppia o tripla gomma, adatte a scagliare aste di diametri generosi, a tutto vantaggio della gittata e della capacità vulnerante del dardo.

L’utilizzo di un pantografo può facilitare la lavoazione ma non è indispensabile.

Va da se che i fucili in legno esprimono la loro valenza tecnica nelle misure lunghe o comunque sovra-potenziate mentre; per le altre categorie di fucili, la scelta sarà  dettata più da motivazioni di maneggevolezza, bilanciamento o forma.

Se l’analisi delle motivazioni che hanno fatto riscoprire il legno si fermassero qui si perderebbe di vista quella che è stata la ruolo principe del legno negli ultimi anni: costruirsi artigianalmente la propria arma.

Tutto sommato è abbastanza semplice. Manualità, qualche attrezzo e un po’ di spazio, hanno permesso, a tanti volenterosi, di avventurarsi nella realizzazione di pezzi unici, sbizzarrendosi nella ricerca di soluzioni non solo estetiche ma soprattutto nell’ideazione di accorgimenti tecnici ed ergonomici che, per motivi diversi, non si sarebbero potuti prevedere sui prodotti di serie.

Qualcuno si è accontentato di riprodurre fucili esistenti; altri invece hanno colto l’occasione per mettere sul tavolo da lavoro tutta la loro fantasia e voglia di migliorare quell’attrezzo che corona ogni nostra corretta e astuta azione di caccia.
Il fucile in legno è equiparabile a quello che, per gli appassionati di motori, è rappresentato da una Harley Davidson, è completamente personalizzabile, dalla forma all’allestimento, dall’ergonomia dell’impugnatura alla cura dei più minimi particolari.

E’ certo! Un fucile in legno non si compra né si costruisce allo scopo di risparmiare denaro: se il processo costruttivo sarà  totalmente artigianale, non esiste prezzo che possa ripagare i costi sostenuti, le ore impiegate e il valore affettivo.
Che emozione però pensare di poter costruire un fucile, il compagno con cui pescherai; la soddisfazione finale, ma anche la fatica, sono tali che quasi mai ci si libera dei fucili fai da te.

Progettare il proprio fucile in legno: quali domande devo farmi?

Prima di tutto è utile porsi alcune domande di buon senso che sono le stesse da farsi quando si procede all’acquisto di un qualsiasi fucile subacqueo:

In quale zona e condizioni meteo-marine penso di utilizzarlo?
A quale tipo di pesca e di preda dovrebbe essere dedicato?

La nostra creatura inizia a prendere forma.

Le risposte saranno la base di partenza del nostro progetto che dovrà  rispondere alle nostre esigenze finali.
Se l’obiettivo è un arma per l’agguato in acqua bassa, magari da utilizzare in zone con visibilità  variabile, si opterà per progettare un’arma snella e versatile, che preveda un solo elastico.
Se, al contrario, si vuole un’arma dedicata all’aspetto in acqua limpide, si potrà  optare per ideare un’arma lunga e con massa importante, magari con la possibilità  di installare potenza extra, tramite alloggiamenti per più elastici.

E’ bene chiarire subito un concetto chiave: la differenza tra un pezzo di legno che somigli esteticamente ad un fucile ed un fucile performante, dato per scontato che sia ben costruito, risiede unicamente nel bilanciamento finale e nel corretto dimensionamento del sistema propulsivo (fusto / asta / elastici).

Su questo tema non si possono non ricordare gli articoli di Giorgio Dapiran e di Filippo Anglani che, oltre ad essere gli unici disponibili, sono dei veri e insostituibili trattati analitici dell’universo “arbalete” e dei suoi delicati equilibri.

Le ultime raccomandazioni progettuali sono quelle di considerare sempre misure grezze, suscettibili di correzioni, anche importanti, e di procurarsi subito tutti gli accessori (scatola di scatto, asta, elastico e mulinello) perché anche da questi dipenderà il bilanciamento finale della nostra creazione.

La scelta della materia prima

Il legno è, di fatto, un composito naturale formato da una complessa rete di fibre legnose orientate prevalentemente in senso longitudinale. Si caratterizza per la grande resistenza alla flessione, agli urti, alle medie temperature, per elasticità, leggerezza, facilità di lavorazione ed elevato rapporto resistenza/peso.

Prima di iniziare il nostro lavoro teniamo pronti tutti gli accessori che utilizzeremo.

Di tutte queste che variano anche sensibilmente da un’essenza all’altra, quelle fondamentali per la scelta di un buon legno per arbalete, saranno la massima resistenza alla flessione, un’ottima lavorabilità e un peso specifico appropriato.

Limitandoci a queste qualità possiamo identificare una lunga lista di essenze valide; in realtà il ventaglio si restringe molto quando dobbiamo selezionare dei legni che siano immarcescibili perfino se usati in immersione.

Anche se si procederà sempre a impermeabilizzare l’intero manufatto con prodotti ad hoc, i risultati migliori si otterranno partendo da un legno che sia intrinsecamente a suo agio in ambiente marino.

I legni da prendere in considerazione sono, in ordine di qualità: teak, mogano, iroko e Douglas; questi almeno per la realizzazione dei fusti che richiedono qualità meccaniche adeguate al loro utilizzo.
Le impugnature, meno sollecitate, possono essere realizzate con legni diversi, pregiati, anche se non propriamente marini come radica di noce o ulivo, legno di ginepro o paduk.

Le essenze e le loro caratteristiche

Per comodità ci limiteremo ad una sommaria carrellata sulle caratteristiche meccaniche e di lavorabilità delle quattro principali essenze con cui poter realizzare i fusti, oltre che il fucile intero.

Teak: colore bruno cupo uniforme, duro, resistente e leggero. Di facile lavorazione, non si spacca e, a stagionatura avvenuta, ha una ridottissima variazione di dimensioni. E’ forse la miglior essenza in assoluto per applicazioni marine ma ha il difetto di essere difficilmente reperibile ed estremamente costoso.

Mogano: colore rosso bruno chiaro con zone lucenti oro e riccamente venato, duro, si lavora bene ricevendo anche perfetta pulitura e lucidatura. Si ritira pochissimo, non è soggetto a deformarsi, la sua venatura rettilinea gli conferisce grande resistenza alla flessione.

Ecco la nostra creatura in quella che sarà la sua forma definitiva.

Iroko: colore giallo bruno, talvolta variegato dopo la stagionatura, tessitura media e fibre non sempre regolari. Un po’ meno duro dei precedenti, si lavora agevolmente, a volte presenta delle concrezioni calcaree e la sua segatura è irritante. La lucidatura dà buoni risultati previo accurato riempimento dei pori.

Douglas: colore chiaro, quasi mielato, venatura sottile e fitta, diventa rossiccio e di venatura fiammata all’invecchiare della pianta. E’ mediamente pesante e di durezza discreta, si lavora con facilità purché sia legno giovane, quello vecchio tende fendersi con facilità. Pulitura e lucidatura danno buoni risultati.

Segnaliamo inoltre che alcuni artigiani, che operano, sul mercato nazionale utilizzano anche essenze atipiche come quercia e tiglio.

Il Lamellare: scelta delle tavole e accoppiamento

Le essenze appena citate vengono quasi sempre accoppiate, anche alternando i legnami, a formare dei travetti “lamellari” che, opportunamente sagomati, si trasformeranno nel fucile vero e proprio. Basilare è l’accurata scelta di ogni singola tavola perché il peso specifico del legno non varia solo tra essenze ma anche tra tagli diversi della stessa essenza. E’ massimo alla base del tronco e nella parte centrale, raggiunge il minimo in cima e nelle porzioni esterne prossime alla corteccia.

Quindi un’arma per l’agguato nella risacca richiederà tavole più leggere rispetto ad un fucile per l’aspetto e i tiri piazzati da lontano.

In secondo luogo è cruciale il verso di incollaggio delle essenze poiché, per quanto stagionato, il legno rimane un materiale vivo e potenzialmente soggetto a deformazioni; è però possibile minimizzare questo rischio accoppiando i listelli in modo che la naturale propensione di uno a torcersi in un senso vada a contrastare la stessa attitudine di quello adiacente, così da creare un blocco praticamente indeformabile.

La differenza di colore evidenzia l’utilizzo di essenze diverse nella realizzazione del fucile.

Gli incollaggi sono da realizzare con resina epossidica bi-componente che ha la caratteristica di avere un notevole potere penetrante all’interno delle fibre del legno; questa farà, oltre che da adesivo, da cristallizzante per le fibre del legno, imprigionandole e limitando ulteriormente i naturali movimenti a cui il materiale e soggetto.

Questa è senza dubbio la tecnica più affidabile, bisogna comunque segnalare che qualche produttore confida nelle sue capacità di scegliere il legname, e di farlo stagionare a dovere, tanto da preferire il massello al lamellare, con risultati ugualmente validi.

Attrezzi, lavorazioni, collanti, resine e finitura

Un fucile in legno può essere realizzato con attrezzi di uso comune come la morsa, la lima, la sega, la pialla, un trapano, tanta carta vetrata e, soprattutto, un valido piano di lavoro sul quale operare.
Lavorate in un luogo aerato, luminoso, indossando sempre occhiali di protezione e mascherine anti-polvere.
Esistono attrezzi, come il pantografo (una piccola fresatrice manuale) e la colonna sulla quale fissare il trapano, che certamente agevoleranno le operazioni sia in termini di tempo che di risultato, ma che non sono tuttavia indispensabili. Gli errori principali, soprattutto sui primi esemplari, saranno dettati non dagli attrezzi ma piuttosto da calcoli sbagliati e da scelte realizzative che si verificheranno in corso d’opera.

L’unico vero grande nemico della resina è l’effetto sfogliante e deformante esercitato dai raggi UVA, pertanto come finitura utilizzeremo uno smalto poliuretanico bi-componente che ha la funzione di proteggere il nostro prodotto dai raggi del sole oltre a formare un ulteriore strato protettivo in aggiunta alla resina, quella la stessa che utilizzeremo per l’incollaggio e con cui rivestiremo tutto il manufatto.

Non potendoci addentrare nelle mille forme e dimensioni realizzabili, ci preme però indicare la sequenze delle operazioni da effettuare durante la costruzione e suggerire alcuni piccoli segreti, ammesso che lo siano, di carattere ebanistico.

Potremo scegliere di dare all’impugnatura una forma che ricalchi quella della nostra mano.

Dopo aver scelto dei legni stagionati, disponete e incollate i listelli, immorsateli saldamente e lasciateli riposare su un piano perfettamente rettilineo per il tempo necessario alla completa essiccazione della resina, non abbiate fretta, questa, come già detto, si infiltra all’interno delle fibre e potrebbe richiedere tempi di essiccazione anche lunghi (2-3 giorni).

Accertatevi che il risultato dell’assemblaggio sia un parallelepipedo con i lati bene in squadra e, se necessario, apportate le necessarie correzioni; riportate su questo tutte le dimensioni relative alle lavorazioni che dovrete eseguire, in modo che siano facilmente interpretabili.

Tutte le forature passanti come lo scasso per la scatola di scatto e la sede dell’elastico, oltre al guida-asta se previsto, dovranno essere eseguite per prime, quando ancora avrete quattro angoli retti e quattro facce integre sulle quali poter operare saldamente, a prescindere dal fatto che si lavori a mano libera o con l’ausilio del pantografo.

Se avete deciso di prevedere il guida-asta, partite da quello. Un fucile è preciso quando l’asta scagliata procede in modo perfettamente rettilineo rispetto alla traccia marcata dal guida-asta sul fusto e per tutta la gittata effettiva: se il guida-asta sarà realizzato senza difetti potremo già considerarci sulla buona strada, viceversa non è escluso che convenga ricominciare daccapo.

L’impugnatura potrà essere integrata nel fusto in fase di assemblaggio oppure potrà essere applicata successivamente mediante uno scasso cieco e l’aggiunta di una vite passante. La prima soluzione è più bella esteticamente e migliore a livello di robustezza finale mentre la seconda semplifica molto tutte le lavorazioni consentendo di lavorare su tutta la superficie del fusto senza mai andare ad interferire con l’impugnatura già montata.

Successivamente potrà essere incisa così da riprodurre fedelmente la presa della vostra mano, oppure semplicemente seguendo criteri ergonomici nell’intento di ottimizzare il suo utilizzo.

Nella testata si ricava una sede per i pesi, indispensabili per un bilanciamento perfetto dell’arma.

A lavorazioni ultimate sarà necessario dare una mano leggera di resina e montare tutti gli accessori per saggiarne il giusto posizionamento all’interno del fusto: l’asta dovrà entrare ed uscire senza difficoltà dal meccanismo di sgancio, il grilletto dovrà essere fluido e non trovare ostacoli.

Capiamo bene che le lavorazioni fin qui elencate necessitano di un minimo di manualità e magari della consulenza di qualcuno più esperto se si è dei completi novizi di piccola falegnameria; proprio per questo è possibile trovare in commercio, prodotto da Arbatec, un kit comprendente un fusto grezzo in cui le lavorazioni più complesse sono già state effettuate, potrebbe essere un buon punto di partenza per poi andare avanti con le proprie gambe.

Non si può poi non citare il sito Arbalegno.com, che rappresenta una vera miniera di informazioni, consigli e piccole dritte per chiunque voglia cimentarsi nel fai da te più impegnativo, oltre che mostrare le sue creazioni.

A questo punto siete pronti per un primo test di bilanciamento di massima.

Il bilanciamento

Disponendo di uno specchio d’acqua, magari salata, o alla peggio della vasca da bagno (non vorrete farlo più lungo della vasca vero?!) immergeteci il fucile, completo di tutti gli accessori ad eccezione dell’asta. Il fusto dovrà galleggiare senza ribaltarsi sul lato nella zona del castello mentre vicino alla testata dovrà essere leggermente negativo ma senza affondare; questo dovrà invece accadere, se avrete centrato le proporzioni, ad asta inserita.
Un fucile che non dovesse comportarsi così dovrà essere corretto perché potrebbe risultare difficilmente manovrabile, compromettendo la nostra azione di caccia.
Se il fucile invece rispondesse bene, anche dopo eventuali correzioni, si potrà procedere alle operazioni di resinatura protettiva e di finitura.

E’ quasi scontato che, nonostante il primo test positivo, durante le prime uscite in mare, si renda necessario qualche intervento di bilanciamento fine, per alleggerire o appesantire il fucile, che farete con l’ausilio di galleggianti o piombini da gommista.

Piccoli segreti

Non avvitate mai le viti direttamente nel legno, andreste a creare delle naturali zone di infiltrazione d’acqua che potrebbero minare la resistenza della struttura. Per evitarlo converrà praticare un foro con una punta di 3-4 mm di diametro che andrà riempito di un composto di resina epossidica e polvere di legno che, uniti, formeranno una sorta di stucco liquido; una volta essiccato completamente, forate con una punta più piccola, da 2 mm, e avvitate la vite che così farà presa nello “stucco” e non direttamente nel legno.
Per facilitare l’avvitamento, prima di fissarla, strofinate il filetto con un po’ di cera per mobili o di candela: la vite entrerà molto più agevolmente nella sede evitando anche di forzare.

E adesso che il fucile dei nostri sogni èrealtà?

In definitiva non cambia quasi nulla, non prenderemo più pesci o più grossi, non potremo considerarci più bravi di quando usavamo il nostro vecchio arbalete in alluminio, che pure tante soddisfazioni ci ha regalato, ma di sicuro ogni cattura avrà un sapore diverso, una gioia che solo chi ha provato a plasmare il suo inseparabile compagno d’avventure può capire.

Le foto pubblicate in questo articolo sono state fornite da Cristiano Battagliarin e Claudio Montan, utenti del Forum di Apnea Magazine, cui vanno i ringraziamenti della redazione.

 

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