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Allenare l’apnea

| 17 Giugno 2003 | 0 Comments

 

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Isole Tremiti 7 Giugno 2003

La grandissima evidenza che oggi ha la pratica dell’apnea, trova il suo motivo più rilevante nella rincorsa ai record di profondità, ai quali abbiamo assistito tutti noi in questi ultimi anni. L’indubbio fascino e richiamo al mondo degli abissi é stato quindi amplificato sia dai media che da personaggi che ben hanno comunicato il loro amore per l’attività (Umberto Pellizzari è al momento indiscutibilmente il massimo esponente) del profondismo e del mare. Sono così aumentati, a dismisura, i praticanti che si sono avvicinati con passione ed entusiasmo al mondo dell’apnea. Questo ovviamente obbliga coloro i quali si occupano di trasmettere informazioni sull’attività, a fornire le più idonee e confermate conoscenze a riguardo. Conoscenze che rivolte ai più debbono chiarire ed informare sulle reali possibilità di ognuno, specificando le interconnessioni fisiologiche che l’immersione in apnea comporta, i mezzi (esercizi) più idonei per migliorare le proprie performance, al fine di acquisire non solo nuove possibilità psicofisiche, ma soprattutto per ampliare i margini di sicurezza.
Quindi trovare soddisfazione nel miglioramento delle capacità individuali per meglio (con più garanzia) godere delle coinvolgenti sensazioni che tale attività fornisce, andando aldilà della misurazione prestativa da perseguire, evitando pericolose tentazioni di imitazione dei campioni. Detto ciò, pensiamo sia chiaro che l’allenamento all’apnea proposto in queste pagine ha l’intento di fornire informazioni adatte alla bisogna della gran parte dei praticanti l’apnea, fornendo specifiche sulla metodologia più conforme allo sviluppo delle proprie capacità, evitando qualsiasi danno alla propria persona e/o agli altri. L’approccio è sicuramente parziale, vista l’enorme importanza che il fattore psicologico riveste nell’effettuazione della pratica dell’apnea, del quale per ovvi motivi di spazio non ci occupiamo in quest’ambito.

IL METODO TEORICO

Prima di tutto è opportuno chiarire qual’è il modello teorico al quale bisogna fare riferimento, cioè a quali caratteristiche bio-fisiologiche, e tecniche il praticante deve tendere per migliorarsi. Se partiamo dall’assunto che l’apporto energetico a qualsiasi attività fisiologica dell’uomo, dipende principalmente dall’intensità della richiesta energetica e non già dalle condizioni in cui si svolge tale richiesta, possiamo con certezza affermare che l’apnea é una pratica che si svolge utilizzando, in massima parte, il meccanismo energetico di risintesi aerobico (Nota1).

L’apporto e l’utilizzo dell’ossigeno disponibile è fornito essenzialmente dalla:

    • capacità polmonare;

 

    • efficienza cardiovascolare;

 

    • attività enzimatica;

 

  • capacità ossidative muscolari.

Un’altro fattore di enorme importanza da considerare, è l’acquaticità, intendendo con questo termine la capacità acquisita verso l’adattamento all’elemento acquatico in modo da migliorare il rendimento biomeccanico (risparmio energetico) nei movimenti.
Riassumendo i fattori che sono maggiormente interessati per il miglioramento della performance di un apneista sono:

– per l’apnea statica

  • capacità polmonare;
  • tolleranza all’ipercapnia (aumento PpaCO2);
  • tolleranza all’ipossia (diminuzione PpaO2);
  • capacità volitive;
  • tecnica di rilassamento;

– per l’apnea dinamica (oltre ai fattori summenzionati

  • capacità di tollerare il lattato prodotto;
  • tecnica di pinneggiamento (rapporto tra ampiezza pinneggiata/metri percorsi, frequenza del ciclo di pinneggiata).

Tali elementi essendo i più importanti del modello bio-fisiologico e tecnico, possono già in via esemplificativa identificare i punti cardine che stabiliscono le basi di partenza per l’organizzazione di un piano di allenamento all’apnea.

PROGRAMMARE L’ALLENAMENTO

Si possono considerare quattro importanti fattori nel processo di condizionamento fisico e tecnico:

  • livello iniziale di partenza (test);
  • durata del periodo di allenamento;
  • frequenza degli allenamenti;
  • intensità degli allenamenti;
  • periodizzazione dell’allenamento.

Queste considerazioni portano alla costruzione di un piano di allenamento della durata di almeno un anno. A tal fine organizziamo due periodi di preparazione, il primo detto generale ed il secondo denominato periodo speciale; potremmo considerare anche un terzo periodo (quello agonistico) che si identifica nell’affinamento e nell’ottimizzazione delle capacità acquisite nei periodi precedenti. Nel nostro caso possiamo individuare tale periodo con il nostro allenamento a mare e/o lago, ove andremo a verificare le reali nuove possibilità fisico-tecniche. Ci sarà così modo di avere un’efficiente forma fisica, abbinata ad uno stato psicologico, che avremo parimenti curato nei periodi preparatori, tale da permetterci di godere appieno del fantastico mondo dell’immersione in apnea.

I test di partenza

La valutazione delle condizioni individuali di partenza sono un obiettivo imprescindibile di ogni programmazione dell’allenamento individualizzato. Per questo bisognerà organizzare batterie di test che valutino il reale valore al momento della testazione. Tali test devono essere poi riproposti a scadenze prefissate per verificare il lavoro svolto e permettere, eventualmente, di apporre modifiche, che dovessero risultare necessarie, al programma stabilito.
Si deve partire dai dati ricavati dalla visita medico sportiva per le attività subacquee che avremo cura di fare prima dell’inizio della preparazione. E quindi estrapolare la capacità vitale, il volume max di aria espirata ed inspirata, l’ECG a riposo e dopo sforzo e le relative frequenze cardiache rilevate. Nello specifico misurare il tempo di apnea statica dopo 4 atti respiratori completi ed i metri percorsi in una apnea dinamica sempre dopo 4 atti respratori completi. Inoltre per valutare le condizioni aerobiche iniziali, si farà effettuare un test di Cooper, che consiste nel nuotare per 12 minuti a ritmo libero, misurando la distanza percorsa nel tempo prefissato.
L’immersione subacquea svolta in apnea ha come caratteristica fisiologica fondamentale l’utilizzo del sistema esoergonico aerobico. La muscolatura interessata per la traslocazione è quella degli arti inferiori, supportata dall’azione tensoria di appoggio dinamico dei muscoli addominali e del dorso (tab. n°1). In particolare nella pratica dell’apnea, è molto rilevante l’apporto dei muscoli respiratori perciò è necessario esercitarli adeguatamente.

Movimento arti inferiori
Muscoli agonisti principali
Muscoli con funzione di appoggio dinamico
Fase discendente
quadricipite femoraleileopsoastibiale anterioreperoneiestensore lungo dell’alluce e delle dita piede
retti dell’addomegrande e piccolo obliquotrasverso dell’addome
Fase ascendente
Bicipite femoralegrande gluteotricipite suraleflessore lungo dell’alluce e delle dita del piede.
quadrato dei lombilunghissimo del dorsogran dorsale

Tab.1. Descrizione biomeccanica dei muscoli principalmente interessati dal movimento propulsivo del pinneggiamento.


Nota 1. I meccanismi energetici di risintesi dell’ATP (il composto chimico formato da una molecola di adenina legata attivamente a tre molecole di fosforo, che é l’unico elemento capace di produrre energia), ad oggi conosciuti, sono tre: il Meccanismo Anaerobico Alattacido (che fornisce energia ad altissima intensità ma per pochissimo tempo 6/8″), il Meccanismo Anaerobico Lattacido (che fornisce energia ad intensità appena inferiori del mecc. precedente, ma per più tempo, circa 40″), ed infine il Meccanismo Aerobico, che svolge le quotidiane funzioni metaboliche del nostro organismo (fornisce energia a bassa intensità ma per moltissimo tempo).
Quando il subacqueo si immerge utilizza per la quasi totalità il meccanismo aerobico (Elsner 1983) e le sue possibilità di prolungare l’apnea dipendono essenzialmente dai seguenti fattori limitanti: capacità vitale, quantità di mitocondri, capacità degli enzimi specifici (SDH), composizione delle fibre muscolari, capacità di sopportare elevate concentrazioni di anidride carbonica nel sangue, ed efficacia dell’apparato cardio-circolatorio. Situazioni in cui si é registrato un utilizzo importante nella partecipazione del meccanismo anaerobico sono state, quando si sono svolte apnee estreme a più di 8000m di quota (Data 1988). Ricordiamo che la sensibilità alla mancanza di O2 è accentuata nelle cellule nervose che utilizzano, per il loro funzionamento sia il meccanismo aerobico che quello anaerobico, ma in un rapporto tra loro di 83 a 17. Perciò si può addebitare, in massima parte, alla carenza di O2 una mancata glicolisi ossidativa e conseguentemente un deficit della quantità energetica necessaria al funzionamento neuronale (dell’attività cerebrale), che sfocerà nella sincope.
In condizioni di ipossia, l’ossigeno a disposizione, viene riservato in particolar modo, per le funzioni cerebrali e per l’attività cardiaca. Il metabolismo aerobico viene supportato da quello anaerobico solo in condizioni limite di ipossia, dopo riduzione della circolazione ematica locale dovuta a vasocostrizione periferica. Il lattato prodotto é di lieve entità e viene smaltito alla fine dell’immersione con un aumento della ventilazione, che paga il debito di O2 prodotto. In questi casi ovviamente i tempi di recupero si allungano notevolmente.
Si é anche riscontrato che durante l’apnea i livelli del lattato e dei piruvati si abbassano notevolmente e tale abbassamento perdura anche dopo molto tempo dalla cessazione dell’apnea (Ficini ed al., in Med. Sub. e Iper., 3/1983, pg.119-135). Tale fenomeno si deve addebitare sia alla vasocostrizione delle arterie muscolari che alla diminuizione della frequenza cardiaca (bradicardia da apnea per ipertono vagale). Gli stessi autori hanno verificato, nella ricerca pubblicata, che l’aumento del lattato e dei piruvati riscontrato in una prova da sforzo è espressione dell’accelerato metabolismo sia anaerobico che aerobico, e che tale sforzo, interrompendo la bradicardia da apnea determina un accelerato lavoro del muscolo cardiaco, causa secondo gli Autori della produzione di lattato e piruvati. Tutto ciò serve a meglio comprendere la risposta fisiologica all’abbassamento della PaO2 che viene risolta, sia con la bradicardia, sia dall’esclusione della circolazione periferica (circolo di resistenza), sia dal blood-shift, che dalla conservazione dei livelli di O2 rilevato nelle arterie cerebrali. (Torna su).

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